Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, principale sponsor sia dei Fratelli Musulmani sia dello “Stato islamico” dell'Isis, che sta arrestando giornalisti e dissidenti e trasformando la Turchia in una teocrazia islamica, ha dichiarato: “Il termine ‘islam moderato’ è brutto e offensivo. Non esiste l’islam moderato. L’islam è l’islam.”
Le parole di Erdogan sembrerebbero smentire apertamente i sostenitori dell’esistenza di un islam “moderato”, almeno per chi ritenga che un islamista come Erdogan possa conoscere meglio l’islam di quanto possa mai conoscerlo qualunque intellettuale occidentale.                                                        
La precisazione è necessaria perché i nostri illuminati esperti di islam occidentali e apologeti dell’islam di solito non danno molto credito alle parole dei musulmani, che trattano pertanto come un branco di mentecatti incapaci di comprendere la realtà a loro più familiare e di descriverla compiutamente, quando pretendono di spiegare ai musulmani come Erdogan quello che in realtà i musulmani stessi penserebbero davvero e vorrebbero dire. 
A conferma dell’esistenza di questa vena di razzismo ed arroganza, i difensori dell’islam e professionisti dell’anti-razzismo presuppongono che il terrorismo islamico, piuttosto che manifestare un progetto egemonico prettamente islamico, rappresenti una reazione degli islamici ad una provocazione degli occidentali, facendo appello al mito del “buon selvaggio” e alla teoria del Jihad reattivo su esso fondata. La teoria del Jihad reattivo implica, però, che gli islamici, come popolazione, siano incapaci di intendere e volere pienamente, di prendere decisioni autonome e perseguire propri sogni e progetti, per quanto discutibili, ma siano in grado soltanto di reagire appunto agli stimoli esterni, alle provocazioni, alle azioni degli occidentali, queste sì totalmente consapevoli, responsabili, ed espressione di sogni e progetti endogeni.
È dunque mai esistito, e domanda ancora più pertinente, esiste oggi l'islam "moderato", oppure "l'islam è l'islam", come spiega Erdogan? 
Per tentare di rispondere, potrebbe essere utile chiedersi perché mai Erdogan giudichi l'espressione "islam moderato" "brutta e offensiva". 

L’ipotesi etnocentrica
Non è che Erdogan possa sentirsi comprensibilmente offeso quando viene considerato alla stregua di un ritardato mentale dai nostri esperti di islam occidentali impegnati a spiegargli cosa sia davvero l’islam?
Ai nostri esperti di islam, però, questa possibilità non passerà neppure per l’anticamera del cervello, bloccata dalla presunzione di rappresentare non solo l’elite intellettuale del pianeta, ma anche i paladini globali dei diritti umani, antirazzisti per definizione. 
Essi, guardando la realtà attraverso il filtro della propria cultura, impiegheranno quindi, con ogni probabilità, un approccio etnocentrico all'interpretazione delle parole di Erdogan, e presupporranno senza dimostrarlo che l'islam sia una "religione di pace" e quindi non abbia senso parlare di un "islam moderato", che implicherebbe l'esistenza di un islam estremista e violento.
La violenza espressa dai seguaci dell'islam verrà liquidata sottoscrivendo la teoria del Jihad reattivo, cioè descrivendola come una comprensibile reazione a qualche ingiustizia o sopruso subito per mano dell'Occidente imperialista e colonialista.
I nostri esperti pertanto si convinceranno che Erdogan ritenga "brutta e offensiva" l'espressione "islam moderato" per le loro stesse ragioni, cioè perché "l'islam è l'islam", una meravigliosa religione di pace e fratellanza universali, i cui fedeli possono all'occorrenza deformarne e corromperne il messaggio originale divenendo "estremamente" violenti, ma solo se provocati. Eppure è facile dimostrare l'infondatezza della teoria del "Jihad reattivo" sulla base della documentazione storica.                                                                                                                                  La cronologia degli eventi storici mostra in modo inconfutabile come l'aggressione islamica nel passato abbia preceduto qualunque invasione o colonizzazione occidentale, e, per citare un esempio molto più recente specifico e calzante, come il terrorismo islamico ai danni degli ebrei si sia manifestato prima della fondazione di Israele e dell’occupazione dei territori abitati dai palestinesi.
Inoltre, e paradossalmente per i sostenitori del multiculturalismo e della sostanziale equivalenza di tutte le culture, anche se non tutti i musulmani sono terroristi, con rare eccezioni, i terroristi sono tutti musulmani. 
In Afghanistan, Iraq e nel resto del mondo gli attacchi a moschee e fedeli riuniti in preghiera sono perpetrati da altri musulmani, non da cristiani o ebrei; nell’Africa sub-sahariana, nonostante nel corso della storia dell’islamizzazione del continente africano siano stati brutalmente trucidati milioni di cristiani e animisti, i cristiani non hanno lanciato una Guerra Santa contro i musulmani; gli ebrei, a dispetto della Shoah, non hanno mai intrapreso una feroce campagna terroristica contro i tedeschi per vendicare i terribili torti subiti; i nativi americani, pur potendo vantare innegabili ragioni storiche di rivalsa contro gli invasori bianchi, vivono pacificamente nelle riserve e gestiscono i casinò; gli indiani non si fanno saltare in aria nella metropolitana di Londra per punire gli inglesi per il passato coloniale; i tibetani non stanno seminando il terrore a Pechino o in altre città della Cina per vendicarsi della distruzione dei loro meravigliosi templi.                                                                                                                                               I più probabili responsabili degli attacchi terroristici dell'11 Settembre 2001 non avrebbero dovuto essere islamici, ma giapponesi, che durante la II Guerra Mondiale avevano già impiegato aerei in missioni suicida. Eppure, gli abitanti del Paese del Sol Levante, nonostante il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, hanno in realtà sviluppato un rapporto di amicizia e collaborazione economica e sono divenuti i migliori alleati degli USA nel lontano Oriente, invece di riportare in auge le gesta dei kamikaze di Pearl Harbor.
Perché, nonostante membri a pieno titolo della comunità umana, i musulmani sono così diversi dagli appartenenti a tutte le altre culture nella gestione delle proprie vertenze politiche e nella presunta rivendicazione dei propri diritti o nel perseguimento delle proprie legittime aspirazioni alla giustizia? Che cosa distingue i musulmani dal resto del mondo? La risposta è semplice ed ovvia per tutti, tranne che per gli esperti ed apologeti dell’islam: ciò che differenzia i musulmani dal resto dell’umanità è l’islam.

L’ipotesi islamica
È possibile spiegare le parole di Erdogan da un altro punto di vista, meno etnocentrico, più islamico. È possibile che Erdogan, dimostrando un’intelligenza molto superiore a quella di uno scimmione attribuitagli dai nostri intellettuali, stia applicando la strategia di inganno degli infedeli sancita e raccomandata dal Corano denominata Taqiyya. In altre parole, è possibile che il nostro autorevole islamista, ben conoscendo la mentalità occidentale degli esperti di islam e il loro etnocentrismo, stia mentendo, o descrivendo la realtà in modo ingannevole, dicendo proprio quello che gli infedeli si aspettano di sentire, al fine di favorirne lo svolgimento del ruolo di Cavallo di Troia ai danni dell’Occidente. 
Oppure, più probabilmente, Erdogan, irritato dall’arroganza e dal sottile, ma evidente razzismo, dei suoi interlocutori occidentali, potrebbe più candidamente descrivere il puro e semplice punto di vista islamico, cioè definire l'islam reale, senza applicare parametri tipicamente occidentali come "moderato" o "estremo". 
L'islam è intrinsecamente e potenzialmente violento, ma può apparire "moderato" o "estremo" ai nostri occhi a seconda delle circostanze, in funzione del livello di violenza espresso di volta in volta. 
La violenza è infatti un parametro chiave di giudizio nella cultura occidentale, in cui vige il rispetto dei diritti e della dignità della persona, e in cui la non-violenza viene spesso ritenuta un valore supremo proprio dagli esperti di islam e paladini dei diritti umani. 
Nell’islam, però, la non-violenza non costituisce un valore da perseguire ad ogni costo, ma un semplice strumento per raggiungere lo scopo. Semmai, la violenza è in parte la manifestazione più naturale e prevedibile di una cultura radicata nella mentalità, tradizioni e usanze di predoni del deserto in uno stato di belligeranza quasi costante con i clan rivali. 
A volte, può non essere necessario utilizzarla e quindi può covare sotto la superficie come un fuoco mai del tutto spento, sempre pronta però a divampare da un istante all’altro, perché parte integrante della fisiologia dell’islam.                                                                                                                 Ad esempio, in Egitto, in occasione della Primavera Araba, Obama e i governi occidentali commisero l'errore di giudicare i Fratelli Musulmani "moderati" nel confronto con Al Qaeda e i Salafiti perché apparentemente a sfavore dell'uso (esclusivo) della violenza e la disponibilità a partecipare a elezioni democratiche, e favorirono la loro ascesa al potere. Una volta al potere, i Fratelli Musulmani cominciarono a trasformare radicalmente la società attraverso l'imposizione della sharia e scatenando proprio quella violenza che alla vigilia delle elezioni avevano dato la falsa impressione di voler rinnegare. 
L'aspetto più importante dell'islam non è il livello di violenza espresso, che può variare e quindi ingannare, in particolare chi è alla disperata ricerca di segnali di “moderazione”, ma la "sottomissione", che rende l’islam sempre e comunque "estremo" per quanto ci riguarda. 
La "sottomissione", pressoché ubiquitaria nell'islam, infatti, è antitetica al valore supremo più caro all'Occidente, la libertà, e quindi rende ogni forma di islam "estrema" e intollerabile, almeno per chi ama la libertà e ha davvero a cuore i diritti umani.                                                                                                                                           
Da dove nasce e qual è la funzione della “sottomissione” nell’islam? 

L’islam come possibile soluzione alle divisioni e alla violenza originali della cultura beduina della Penisola Arabica 

Sin dalle origini l’islam è per definizione, e paradossalmente, oltre che "sottomissione", anche "divisione", basti pensare alla tradizionale spaccatura tra sunniti e sciiti, che al suo interno contiene ulteriori sfumature e gradazioni di interpretazioni e correnti. 
Dico "paradossalmente" perché l´associazione "sottomissione" e "divisione" è contro-intuitiva, ci si aspetterebbe "uniformità" e "unione" dalla sottomissione, non divisioni e spaccature. Il paradosso si può forse spiegare antropologicamente riconoscendo la "sottomissione" come il vano tentativo di risolvere il problema della "divisione" e della violenza all’interno di una cultura frammentata lungo linee familiari e tribali.                                                                                                      È possibile che il Profeta abbia tentato di porre rimedio alla frammentazione e alla violenza fisiologiche nella sua cultura tribale inventando l’islam, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto, con la "sottomissione", garantita e regolata da una miriade di regole e dettami, controllare la violenza intestina e indirizzarla, incanalarla verso l´esterno, verso un progetto egemonico di conquista. Questo beduino del deserto non immaginava che non solo il Corano non avrebbe eliminato il problema della frammentazione originale, ma che le innumerevoli regole e prescrizioni sancite dal suo libro sacro, invece di garantire il controllo assoluto, avrebbero offerto ulteriori motivi di divisione legati alle diverse interpretazioni dei singoli individui. La violenza verso gli infedeli potrebbe, dunque, rappresentare l’altra faccia della frammentazione originale e un carattere distintivo dell’islam, perché espressione del "disperato" tentativo di risolvere la frammentazione e la violenza autodistruttive interne. 
La violenza non ha mai abbandonato completamente la storia della civiltà islamica, è la ragione della sua forza e pericolosità, ma anche paradossalmente della sua debolezza, perché nasce al suo interno, è presente sin dalla fase embrionale, e finisce sempre prima o poi per ritorcersi contro i suoi appartenenti.                                                                                                                                                                                                      Tirate le somme, e presi in debita considerazione qualche breve interludio di relativa pace e il contributo positivo offerto dal Califfato Abbaside alla cultura, l’islam non è stata la soluzione magica o "divina" auspicata da Maometto ai problemi interni ed ha solo agito come un loro amplificatore, estendendo questi problemi al resto del mondo, generando schiavitù, sofferenze, povertà, ignoranza e distruzione anzitutto per le popolazioni islamiche.
L’islam non sembra capace di rinnegare le sue origini che lo vedono muovere i primi passi all´interno di clan di predoni governati dalla "legge della giungla".
È possibile auspicare un’inversione di rotta, un cambiamento rivoluzionario che possa rendere l’islam compatibile con la dignità della persona e i diritti umani, a dispetto della sua fisiologia potenzialmente violenta e della sua natura antitetica alla libertà? 
Sembrerebbe di sì, a giudicare dalle vicende della Primavere Araba in Egitto, ma questa rivoluzione non può prescindere dal riconoscimento dell’esistenza di un problema all’interno dell’islam e da un’assunzione di responsabilità da parte del mondo islamico.

L’islam è all’origine di tutti i problemi del mondo islamico
Sebbene la maggior parte dei musulmani siano non solo persone di buona volontà, ma prime vittime dell'islam radicale, sarà sempre relativamente facile per gli islamici radicali reclutare combattenti fra i musulmani fino a quando il mondo islamico non si assumerà le proprie responsabilità per i propri problemi e i propri fallimenti e userà l'Occidente e Israele come capro espiatorio per non essere costretto a fare i conti con il proprio passato. 
Come spesso viene ricordato dagli apologeti dell'islam per distinguere l'islam, presunta religione di pace professata dalla maggioranza degli islamici, dal terrorismo islamico perseguito, invece, da uno sparuto manipolo di presunti fanatici, che deformerebbero il messaggio originale o genuino del Corano, i musulmani rappresentano le prime vittime dell'islam radicale incarnato dai Jihadisti.
La maggioranza dei musulmani, però, non è vittima dell'islam radicale solo oggi, lo è stata, purtroppo, già in passato.                                                                                                                                 In effetti, il mondo islamico, proprio a partire dalle sofferenze patite oggi per mano dei fondamentalisti islamici, dovrebbe riconoscere di essere da sempre una vittima, non anzitutto dell'Occidente e di Israele, ma dell'islam stesso, intendendo con questo termine la sua versione storica, prevalsa nell'arco dei suoi 1300 anni di storia.
Per quanto concerne, infatti, la povertà, l'arretratezza, l’ignoranza,  prevalenti nei paesi islamici, che agevolano la diffusione del fondamentalismo islamico e il reclutamento di Jihadisti, esse sono per lo più il frutto di errori interni alla storia della civiltà islamica, più specificatamente una serie di decisioni, due delle quali di importanza critica, prese nel passato dai governanti e dai leader religiosi del mondo islamico, che hanno impedito alla civiltà islamica di tenere il passo con i rapidi progressi dell'Europa cristiana. 
1. Quando in Europa fu inventata la stampa nel XV secolo, e la notizia giunse alle orecchie del Sultano Beyazid II in Istanbul, costui avrebbe voluto promuoverne la diffusione anche nell'Impero Ottomano. Gli ulema, però, si opposero proprio in nome dell'islam, una religione meno flessibile ed adattabile rispetto alle esigenze della modernità di quella cristiana.
Gli ulema decretarono che utilizzare la stampa per riprodurre la parola di Allah conservata nel Corano avrebbe costituito un sacrilegio. Pertanto, l'uso della stampa fu proibito ai musulmani per quasi quattro secoli, fino al 1729, ma concesso agli ebrei e ai cristiani dell'Impero, segnando così per sempre le sorti del mondo islamico. In breve, grazie a questa singola invenzione, la conoscenza si diffuse con rapidità inaudita nell'Europa cristiana, accelerando il progresso scientifico e tecnologico che permise all'Occidente di riguadagnare terreno, superare e distanziare il mondo islamico.
2. La dhimmitudine, ovvero l'usanza radicata nella tradizione islamica di trattare i sudditi di religione non-islamica come cittadini di serie B, o come schiavi, che da un punto di vista economico e strategico non costituiva un problema all'inizio delle conquiste arabe all'interno della Penisola Arabica, con il crescere dell'estensione dei territori e delle popolazioni di infedeli controllate, si rivelò controproducente. In caso di guerra, a settori crescenti della popolazione non era concesso di combattere per l'Impero, mentre costoro potevano invece costituire una potenziale quinta colonna. Non solo, ma, come accadde per lo più nell'Impero Ottomano, i dhimmi erano spesso relegati a ruoli nell'ambito economico, quali il sistema bancario, del commercio e dei trasporti marittimi che in Occidente guidarono i progressi dal mondo medioevale a quello moderno. Un altro elemento di auto-castrazione in qualche modo correlato al concetto e allo stato di dhimmitudine, che ha pesato soprattutto in epoche più recenti nel confronto con l'Occidente e altre culture, è la condizione della donna, ancora oggi sottomessa e spesso relegata al compito esclusivo di compiacere l'uomo, fare figli e cucinare. Anche e anzitutto le donne islamiche, prima che i dhimmi in senso stretto acquisiti con le conquiste militari, avrebbero potuto giocare un ruolo più importante e arricchente nella civiltà islamica, se il loro potenziale contributo non fosse stato precluso o limitato in modo significativo fino ad oggi dall'islam.

Segnali di moderazione dal mondo islamico 
La Primavera Araba ha fatto sbocciare un fiore di autocritica e responsabilizzazione dell’islam e del mondo islamico di portata storica. Gli sviluppi della Primavera Araba in Egitto hanno visto emergere islamici genuinamente moderati del calibro del presidente egiziano Al-Sisi, disposti non solo a combattere esplicitamente l’islam radicale incarnato dai Fratelli Musulmani, Hamas e l’Isis, ma anche a riconoscere pubblicamente per la prima volta le responsabilità del mondo islamico nella generazione dei gruppi fondamentalisti.
 Al-Sisi, rompendo con la tradizionale vittimizzazione del mondo islamico e parallela demonizzazione dell’Occidente, nel suo discorso “rivoluzionario”all’Università
di Al-Azhar, ha, infatti, esortato le guide religiose islamiche ad attuare una riforma religiosa per rendere l’islam compatibile con il resto del mondo, proprio a partire dal riconoscimento delle sue responsabilità storiche nella genesi del terrorismo islamico. 
"…E' inconcepibile che l'ideologia che noi santifichiamo faccia della nostra intera nazione una fonte di preoccupazione, pericolo, morte e distruzione nel mondo intero. Non mi riferisco alla "religione" bensì alla "ideologia" - il corpo di idee e di testi che abbiamo santificato nel corso di secoli, al punto che rimetterli in discussione diventa difficile. Abbiamo raggiunto il punto in cui questa ideologia e' ostile al mondo intero…Non potete vedere le cose con chiarezza quando siete imprigionati in questa ideologia. Dovete uscirne e guardare le cose da fuori, per avvicinarvi a una visione illuminata. Dovete opporvi a questa ideologia con determinazione. Abbiamo bisogno di rivoluzionare la nostra religione...Il mondo intero aspetta le vostre parole, perché la nazione islamica e' lacerata, distrutta, avviata alla rovina. Noi stessi la stiamo conducendo alla rovina".
http://www.memritv.org/clip/en/4704.htm

Questo promettente messaggio dalle implicazioni decisive per il conflitto in atto e per il futuro non solo del mondo islamico, ma anche della civiltà occidentale e dell’umanità intera, non sembra, però, per ora, essere riuscito ad aprire una breccia nel terzomondismo dell’intellighenzia occidentale, che persiste imperterrita nella controproducente vittimizzazione del mondo islamico e correlata demonizzazione della propria civiltà e di Israele.
Paradossalmente, gli apologeti occidentali dell'islam, che difendono a spada tratta l'islam fino al punto di censurare sistematicamente l'aggettivo "islamico" dalle descrizioni dei massacri perpetrati in suo nome, continuano a deresponsabilizzare l'islam, finendo, loro malgrado, per alimentarne la violenza, in primis proprio ai danni delle comunità islamiche, e secondariamente dei cristiani e le altre minoranze religiose.