Sempre più spesso capita di sentire o leggere commenti che descrivono l'Isis come una “mostruosa creatura” degli Usa.

Credo sia un errore tipico della nuova sinistra terzomondista, ma commesso anche dall'estrema destra e da illustri membri delle gerarchie ecclesiastiche, quello di attribuire le responsabilità del terrorismo islamico anzitutto all'Occidente e agli Usa, o comunque a fattori esterni all'islam.
 
Obama ha finanziato e addestrato in chiave anti-Assad i jihadisti che avrebbero poi contribuito a fondare l'Isis o a rinfoltirne le fila, ma l'Isis non è una creatura degli Usa. 

I jihadisti esistevano già ed erano stati generati dal Corano, e dalla propaganda anti-occidentale dei dittatori arabi e islamici, Obama li ha "solo" aiutati a portare avanti il progetto pre-esistente di "omologazione globale islamica", cioè il Califfato, probabilmente illudendosi di poterli usare come mercenari per perseguire il progetto di omologazione globale della nuova sinistra e dei suoi alleati della finanza speculativa mondiale, cioè il NWO (New World Order).  

Pensare che il terrorismo islamico sia una “nostra” creazione, o nella misura in cui i jihadisti sarebbero semplici mercenari al “nostro” soldo, oppure, secondo la teoria del Jihad come reazione al colonialismo e imperialismo occidentali di matrice cristiana e giudaica, come risultato di una reazione prevedibile alle nostre provocazioni, ci consente di illuderci di aver trovato l'interruttore per controllare e spegnere all'occorrenza la violenza islamica. 

Questa è, però, proprio la stessa pericolosa illusione di Obama, e, come vedremo, forse anche di Putin.

Su questa illusione di controllo si è fondata la decisione di aprire le porte dell’Europa all'immigrazione islamica, approvata entusiasticamente dalla sinistra radical-chic allo scopo di diluire la cultura tradizionale cristiana dell'Occidente e creare un bacino di voti.

Come evidenziato, però, dalla mancata integrazione degli islamici nelle società occidentali e il loro evidente sforzo di islamizzarle, non sono in realtà Obama, Soros e l'alleanza della nuova sinistra e della finanza speculativa mondiale a controllare i musulmani, ma i musulmani a sfruttare la sinistra radical-chic terzomondista anticristiana e antisionista (antisemita) come cavallo di Troia.

In altre parole, chi accusa gli Usa di aver creato il terrorismo islamico è vittima del medesimo errore commesso dagli Usa, cioè quello, probabilmente scaturito dall’etnocentrismo e da una venatura di razzismo, di sottovalutare l’islam e i suoi fedeli.
Costoro, a differenza di noi occidentali, sarebbero dei “buoni selvaggi”, incapaci di intendere e volere pienamente e quindi di nutrire sogni e ambizioni egemonici di portata globale paragonabili ai nostri, in grado soltanto di reagire agli stimoli da noi forniti sotto forma di armi e denaro o provocazioni.

Oggi, soprattutto chi è pregiudizialmente ostile agli Usa, da una parte demonizza gli americani , criticandone la presunta propensione a creare terroristi “scendendo a patti con un diavolo per combatterne uno più brutto”, come accaduto in passato in Afganistan, dove Reagan sostenne i mujaheddin di Osama Bin Laden contro i russi, e di recente in Siria, dove Obama ha appoggiato Al-Nusra contro Assad favorendo la nascita dell’Isis, dall’altra esalta la lungimiranza di Putin e l’utilità dell’intervento russo in Medio Oriente.

Eppure, l'intervento russo in Siria sembra proprio un’ottima idea adesso, ma non significa che ci apparirà tale automaticamente anche domani, così come appoggiare Osama Bin Laden contro i russi in Afghanistan era parsa un'idea intelligente a priori, ma un giorno, l'11 settembre del 2001, gli Usa se ne sarebbero pentiti amaramente. 

L'errore, comunque giudicato tale col senno di poi, commesso dagli Usa, di “allearsi con un diavolo per combatterne uno più brutto”, non è, infatti, prerogativa esclusiva degli americani. 

Sebbene Putin, con i suoi bombardamenti a tappeto su diversi gruppi jihadisti, stia dando l'impressione di non voler distinguere all'interno dell'islamismo, questo non significa che la pericolosa strategia “Divide et impera”, o le sue variazioni sul tema, non siano mai state impiegate, o siano state completamente abbandonate anche da Putin. 

I suoi alleati sciiti, Iran ed Hezbollah, sono, infatti, estremisti islamici come i loro corrispettivi sunniti, con cui condividono l'odio verso coloro che chiamano "miscredenti", e, in effetti, l'operazione militare russa contro l'Isis e altri gruppi jihadisti sunniti, oggi viene portata avanti avvalendosi anche della collaborazione dell'Iran e di milizie islamiche radicali sciite iraniane ed Hezbollah. 

Domani, una volta fugato il pericolo rappresentato dall'Isis con l'aiuto degli estremisti islamici sciiti, in cambio di concessioni e benefici economici e armamenti, potrebbe essere necessario affrontare una minaccia magari più grave, stavolta posta da islamici radicali sciiti, usciti rafforzati dall'indebolimento dei propri nemici sunniti e dalla ricompensa ricevuta in cambio del proprio aiuto, forse persino dotati di armi atomiche grazie alla miopia di Obama e alla decisione di allearsi con loro di Putin. 

Se questo dovesse accadere, come è possibile e forse anche probabile alla luce di quanto accaduto in passato, col senno di poi si potrà lanciare contro i russi la stessa accusa oggi riservata agli Usa, cioè che abbiano creato il terrorismo islamico, generando stavolta un “Frankenstein islamico sciita”.  
 
Ulteriori spiacevoli sorprese potrebbero scaturire dai reali obiettivi dell’intervento russo e dal fatto che gli interessi nazionali russi potrebbero solo parzialmente coincidere con quelli dell'Europa. 

Putin potrebbe, in realtà, non essere interessato o non in grado di porre fine al conflitto in Siria, che ha destabilizzato un'area forse definibile come il "nostro cortile", generando un flusso enorme di immigrati problematico da gestire. 

La Russia di Putin, che sta riempiendo il vuoto di potere lasciato dagli Usa in Medio Oriente, potrebbe limitarsi a proteggere la propria base navale a Tartus, utile a garantire la presenza russa nel Mediterraneo, e ridimensionare le ambizioni e la minaccia posta dall'Isis e altri ribelli, in particolare la coalizione Jaysh al-Fatah e Al-Nusra, che minacciano più da vicino l'area geografica strategicamente più importante, in prossimità della costa, dove sorgono Latakia e la base navale russa.
I russi potrebbero, infatti, voler lasciare attivo il conflitto per controbilanciare la destabilizzazione creata dalla Nato nel "cortile russo" in Ucraina.

Senza nulla togliere all'utilità a breve termine dell'intervento russo e alla nostra "incondizionata" approvazione per questa iniziativa, poiché la Russia di Putin non sta attaccando l'Isis e altri jihadisti solo ed esclusivamente per salvare i cristiani, fare un favore all'umanità e all'Europa, ma anche ed anzitutto nel perseguimento di importanti interessi nazionali, sarebbe stato meglio se l'Europa fosse stata, una volta tanto, in grado di perseguire i propri interessi e agire al posto di Putin.
 
Parrebbe, invece, che la deriva post-bellica verso l'estremo del globalismo dalla posizione originale di attenzione prioritaria al proprio paese, alla proprie radici e identità, per ridurre l'enfasi su se stessi, ritenuta responsabile del nazionalismo che aveva portato ai conflitti mondiali, abbia compromesso la capacità europea di identificare e salvaguardare i propri reali interessi.                           

In ogni caso, ormai è troppo tardi per togliere a Putin l'iniziativa.

Di fronte a questi dubbi sulla possibile evoluzione a lungo termine dello scenario geopolitico, forse c’è comunque una ragione ulteriore per essere ottimisti in merito all’intervento militare russo.

Questa ragione è la constatazione che esso possa rappresentare la logica conseguenza del perseguimento dei propri interessi nazionali e la manifestazione del ruolo di simbolo di quell’attaccamento alla propria identità nazionale, alle proprie radici e tradizioni cristiane, giocato oggi dalla Russia, che i globalisti della nuova sinistra di Obama e della finanza speculativa mondiale di Soros vedono come fumo negli occhi. 
Al di là dei rischi di alimentare la crescita della minaccia islamica sciita, o delle possibili ricadute negative per gli interessi europei, una vittoria per i propugnatori del processo di riscoperta della propria identità e delle proprie radici cristiane può rappresentare, comunque, una sconfitta per i promotori del processo di distruzione delle identità nazionali e sostenitori della dittatura dell’omologazione e del pensiero unico.  
L’attaccamento russo alla propria identità è, infatti, ciò che l’Europa dovrebbe recuperare al più presto per riuscire in futuro a riconoscere e proteggere i propri reali interessi e a difendersi efficacemente dai progetti egemonici di omologazione globale sia dei globalisti occidentali, sia di quelli islamici.