Cari amici, ventisette anni fa, il 12 luglio 1992, seppellii mia madre nel cimitero che sta sul retro della Grande “Moschea del Profeta”, che custodisce la tomba di Maometto, a Medina, la seconda città sacra dell’islam dopo la Mecca. È stata l’esperienza finora più tragica della mia vita, che ad oggi tendo a rimuovere e che non ho mai metabolizzato. L’ho fatto per esaudire l’ultimo desiderio di mia madre: essere sepolta vicino a Maometto. Nell’attesa aveva scelto di vivere da pensionata a Medina per poter pregare tutti i giorni nella Grande “Moschea del Profeta”.
L’ideologia islamica del wahhabismo vigente in Arabia Saudita, assolutamente conforme a ciò che Allah prescrive nel Corano e a ciò che ha detto e ha fatto Maometto, vieta il culto dei morti perché è solo Allah che si può adorare e pregare. Ed è così che il cimitero è senza insegne e senza lapidi. Di fatto si riduce ad un’area desertica del tutto spoglia. Ottemperando alla tradizione che affida la sepoltura ad un uomo della famiglia, da figlio unico fui io a occuparmene. Con una pala scavai una fossa. Poi mi aiutarono a posare il corpo di mia madre avvolta in un ampio lenzuolo bianco che annullava le sue fattezze presentandola del tutto informe. Infine il momento più doloroso, la copertura della fossa con la sabbia scavata che colpì direttamente e violentemente il corpo della mamma. Dopo aver colmato la fossa riportandola al livello del terreno desertico, vi posai sopra una pietra. Ma non appena mi allontanai di pochi metri e rivolsi lo sguardo in direzione della fossa, non la potei più individuare perché le pietre erano tutte uguali in un disordine naturale.
Affinché non resti nulla, proprio nulla, delle spoglie mortali, gli inflessibili custodi dell’ortodossia islamica rinvangano periodicamente il terreno, disseppelliscono i morti ed eliminano definitivamente ogni traccia. Credo che sia il modo più disumano per congedarsi dai propri cari. Dopo aver concepito le persone come schiave sottomesse al loro dio Allah, l’islam nega qualsiasi traccia di umanità alla dolorosa cerimonia del funerale per eliminare la presenza del defunto non solo sul piano fisico ma anche in quello della memoria.
Dal 12 luglio 1999 non ho più potuto commemorare il ricordo di mia madre. Non avrebbe senso andare a Medina perché lei non sta più dove la seppellii. In ogni caso non potrei andarci perché sono un apostata avendo abbandonato l’islam, e la sanzione contemplata per l’apostata è la morte. Non mi resta che ricordarla nel mio cuore e nella mia mente. Come ho fatto nella dedica “A mamma Safeya” contenuta nel mio libro “Il Corano senza veli”.
A mamma Safeya
Rivedo il tuo sguardo tenerissimo
specchio dell’innocenza radicata nell’anima
con gli occhi di un’orfana persi nel vuoto
privata degli affetti e sfortunata in amore.
Giovane mamma temprata dalla sofferenza
hai donato al tuo unico figlio tutta te stessa
concependomi come la missione di vita
per regalarmi quella felicità che ti fu negata.
Per te l’islam è stato un’ancora di certezza
la fede ha compensato le ingiustizie terrene
ma per un destino che non è mai casuale
mi hai affidato a un’educazione cristiana.
Da adulta con uno sforzo immane
imparasti a leggere per recitare il Corano
e a scrivere per potermi inviare delle lettere
che ad oggi mi commuovo solo a toccarle.
Il duro lavoro ti ha portato in giro per il mondo
ho patito immensamente per la tua lontananza
il collegio è stato una straordinaria scuola di vita
ma ho pianto spesso in una solitudine incolmabile.
I miei studi e soprattutto il mio amore per l’Italia
la tua scelta di vivere nella terra più sacra dell’islam
ci hanno confinato in due mondi inconciliabili
condannandoci a una dolorosa frattura familiare.
Ricordo l’ultima volta che ci siamo rivisti
isolata dietro il vetro per un male incurabile
incrociandosi i nostri sguardi hanno condiviso
che l’essenza della vita è la vita stessa.
Le mie lacrime adagiando il tuo corpo
in una fossa scavata e subito ricoperta
poco distante dalla tomba di Maometto
realizzando il tuo ultimo desiderio.
Senza una lapide sei fisicamente scomparsa
gli inflessibili custodi dell’ortodossia islamica
reprimono l’umana devozione per i propri cari
da vivi e da morti ci si sottomette solo ad Allah.
Ma tu sei sempre viva dentro di me
ciò che io sono me l’hai donato tu
l’amore assoluto e la dedizione totale
alla causa che dà un senso compiuto alla vita.
Ti rivedrò quando toccherà a me
guardare la vita per l’ultima volta
ti abbraccerò forte come non ho fatto mai
nulla e nessuno ci separerà mai più.