Cari amici, tutti gli italiani devono rendere omaggio a Sergio Marchionne. Non solo perché nell’ora del lutto il senso civico e l’umana solidarietà ci inducono a stringerci affettuosamente ai familiari e ai suoi cari. Ma anche perché Marchionne è stato un Grande italiano. La sua opera conferma che il genio italiano è una qualità rara che il mondo intero ci invidia. Ha salvato due multinazionali dell’automobile, la Fiat e la Chrysler, dal sicuro fallimento, unendole in un polo automobilistico che ha azzerato i debiti e realizza utili. Ha posto fine a decenni di sostanziale parassitismo della Fiat, che è stata più di altre la grande impresa italiana che ha campato con gli aiuti dello Stato, privatizzando gli utili e socializzando le perdite. Per pervenire a questo inimmaginabile traguardo ha avuto il coraggio e la determinazione di sfidare e sconfiggere dei poteri forti, quali il Sindacato di estrazione comunista con un radicato pregiudizio anti-imprenditoriale, e la Confindustria monopolizzata da una oligarchia imprenditoriale legata ai partiti politici prevalentemente di Sinistra. Marchionne è stato un uomo di profonda cultura umanistica, in parallelo alla sua straordinaria capacità imprenditoriale. Laureato prima in Filosofia, poi in Giurisprudenza e infine in Gestione d’impresa, Marchionne è stato sensibile alla dimensione umana del lavoro, compatibilmente con le scelte imprenditoriali assunte.

Per tutte queste ragioni Marchionne merita il nostro rispetto e la nostra gratitudine. Contemporaneamente l’onestà intellettuale ci impone di dire anche ciò che non abbiamo condiviso di Marchionne. L’aver trasferito gran parte dell’attività produttiva e la sede legale e fiscale all’estero, è stato un sostanziale tradimento dell’Italia che ha dato alla Fiat, sotto forma di cassa integrazione, incentivi alla rottamazione, acquisizioni privilegiate per la Pubblica amministrazione, scelta di un sistema di trasporti a beneficio delle automobili a discapito del trasporto ferroviario, aereo, navale e fluviale, un ammontare di denaro inestimabile che certamente avrebbero potuto fare dello Stato il vero proprietario della Fiat. Torino ha cessato di essere una capitale mondiale dell’automobile. Considerando il taglio della produzione e la perdita di un vasto bacino indotto di piccole e medie imprese che erano funzionali alla Fiat, la cura Marchionne ha provocato un vuoto occupazionale e ha determinato una crisi economica e sociale di ampia portata. La salvaguardia dei posti di lavoro in Italia è stata subordinata all’imposizione di un sistema di lavoro ferreo di stampo americano. Di fatto Marchionne ha anteposto l’interesse dell’azienda che gestiva a quello dell’Italia come “casa comune”, ha privilegiato la globalizzazione imprenditoriale rispetto alla tutela dell’italianità, è stato un protagonista della macro-dimensione che trascende ogni frontiera mortificando la micro-dimensione della sovranità nazionale. La Fiat ha cessato di essere un marchio italiano, un simbolo di emancipazione e di sviluppo come lo fu nel dopoguerra, un vanto dell’Italia per decenni. L’unica consolazione è che la “testa pensante”, il gruppo dirigente e la struttura che crea le nuove auto, resta a Torino. Una realtà che ci conferma che l’Italia si connota essenzialmente come artefice della qualità, anche quando si decide di trasferire all’estero la produzione della quantità. Lo stesso Marchionne, proprio perché è stato un amministratore straordinario, ha preso atto che la “testa pensante” della nuova multinazionale dell’automobile, dovesse continuare a restare in Italia. Con questa scelta Marchionne ha confermato la sua profonda anima italiana. Figlio di un carabiniere, emigrato in Canada, ha concluso la sua vita terrena stringendo la mano ai carabinieri. Noi amiamo ricordarlo come un Grande italiano, con i suoi successi e insuccessi, con le sue virtù e i suoi limiti. Come tutti i Grandi italiani.