«Sono cresciuto credendo nella teoria del complotto secondo cui gli Stati Uniti d’America e l’Occidente, tra cui Israele, tramano giorno e notte per distruggere l’islam e il mondo musulmano. È così che le organizzazioni terroristiche spingono le persone comuni a combattere a loro nome contro gli Stati Uniti e Israele». Mosab (figlio di Sheikh Hassan Yousef, uno dei fondatori dell’organizzazione terroristica palestinese Hamas)

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Sebbene la maggior parte dei musulmani siano non solo persone di buona volontà, ma prime vittime dell'islam radicale, sarà sempre relativamente facile per gli islamici radicali reclutare combattenti fra i musulmani fino a quando il mondo islamico non si assumerà le proprie responsabilità per i propri problemi e i propri fallimenti e userà l'Occidente e Israele come capro espiatorio per non essere costretto a fare i conti con il proprio passato.

Come spesso viene ricordato dagli apologeti dell'islam, per distinguere l'islam, presunta religione di pace professata dalla maggioranza degli islamici, dal terrorismo islamico perseguito da uno sparuto manipolo di presunti fanatici che deformerebbero il messaggio originale o genuino del Corano, i musulmani rappresentano le prime vittime dell’islam radicale incarnato dagli Jihadisti.

La maggioranza dei musulmani, però, non è vittima dell'islam radicale solo oggi, lo è stata purtroppo già in passato.

In effetti, il mondo islamico, proprio a partire dalle sofferenze patite oggi per mano dei fondamentalisti islamici, dovrebbe riconoscere di essere da sempre una vittima, non anzitutto dell'Occidente e di Israele, ma dell’islam stesso, intendendo con esso la sua versione storica prevalsa nell'arco dei suoi 1300 anni di storia.

Per quanto concerne, infatti, la povertà e l'arretratezza dei paesi islamici, che agevolano la diffusione del fondamentalismo islamico e il reclutamento di Jihadisti, esse sono per lo più il frutto di errori interni alla storia della civiltà islamica, più specificatamente una serie di decisioni, tre delle quali di importanza critica, prese nel passato dai governanti e dai leader religiosi del mondo islamico, che hanno impedito alla civiltà islamica non solo di mantenere la superiorità di cui godeva nel Medioevo, ma anche di tenere il passo con i rapidi progressi dell'Europa Cristiana.

Quando in Europa fu inventata la stampa nel XV secolo, e la notizia giunse alle orecchie del Sultano Beyazid II in Istanbul, costui avrebbe voluto promuoverne la diffusione anche nell'Impero Ottomano, ma gli ulema si opposero proprio in nome dell'islam, una religione meno flessibile ed adattabile rispetto alle esigenze della modernità di quella cristiana.

Gli ulema decretarono che utilizzare la stampa per riprodurre la parola di Allah conservata nel Corano avrebbe costituito un sacrilegio. L'uso della stampa fu proibito ai musulmani per quasi quattro secoli, fino al 1729, ma concesso agli ebrei e ai cristiani dell'Impero, segnando così per sempre le sorti del mondo islamico. In breve, grazie a questa singola invenzione, la conoscenza si diffuse con rapidità inaudita nell'Europa Cristiana, accelerando il progresso scientifico e tecnologico che permise all'Occidente di riguadagnare terreno, superare e distanziare il mondo islamico.

La dhimmitudine, ovvero l'usanza radicata nella tradizione islamica di trattare i sudditi di religione non-islamica come cittadini di serie B, o come schiavi, che da un punto di vista economico e strategico non costituiva un problema all'inizio delle conquiste arabe all'interno della Penisola Arabica, con il crescere dell'estensione dei territori e delle popolazioni di infedeli controllate, si rivelò controproducente. In caso di guerra, a settori crescenti della popolazione non era concesso di combattere per l'Impero, mentre costoro potevano invece costituire una potenziale quinta colonna. Non solo, ma, come accadde per lo più nell'Impero Ottomano, i dhimmi erano spesso relegati a ruoli nell'ambito economico, quali il sistema bancario, del commercio e dei trasporti marittimi che in Occidente guidarono i progressi dal mondo medioevale a quello moderno. L'aspetto forse piu' interessante della dhimmitudine è, però, ciò che essa suggerisce della natura "parassitaria" della civiltà islamica (e dell'islam), che nella migliore delle ipotesi, all'apice del suo splendore, ha sfruttato le altre civiltà e culture, dopo averle ridotte allo stato di dhimmi, come un "buon parassita" farebbe col suo ospite, evitando di ucciderlo per non segare il ramo su cui riposa. Relativamente parlando, proprio come un parassita, l'islam non ha creato nulla di nuovo, si è limitato a riprodursi efficientemente a spese dei suoi ospiti. In questo ambito, ha offerto il meglio di sé, sfruttando modalità riproduttive dalla resa molto elevata come la poligamia. Le energie necessarie alla gestione dei "doveri coniugali" nei confronti di più mogli sono state liberate risparmiando le risorse energetiche necessarie al lavoro quotidiano. Con l'eccezione delle attività militari e di ordine pubblico, l'esecuzione di pressoché tutti i doveri lavorativi necessari alla sopravvivenza e al funzionamento della società sono stati affidati ai dhimmi, a cui pertanto sono da attribuire i rari esempi di contributi costruttivi della civiltà islamica. Proprio come avviene in natura nelle specie parassite, in cui il tasso riproduttivo elevato è decisivo per far fronte all'elevata mortalità della fase di ricerca e infezione dell'ospite, il tasso demografico garantito dall'azione sinergica della poligamia e dalla dhimmitudine ha alimentato la conquista e l'espansione islamica, caratterizzate da un tasso di mortalità prevedibilmente elevato. A differenza dei parassiti animali, però, il tasso demografico umano elevato non solo ha ampiamente sostituito i combattenti caduti in battaglia, ma li ha motivati con il desiderio di soddisfare finalmente i propri istinti sessuali e di procurarsi mogli. In una popolazione umana normale, infatti, la percentuale di maschi e femmine alla nascita si distribuisce intorno al valore del 50%.

La poligamia, quindi, crea inevitabilmente una penuria di donne nelle società che la praticano, che spinge gli uomini sprovvisti di partner sessuali a ricercarle altrove. Non è un caso che uno degli effetti più preoccupanti dell'immigrazione islamica in Europa sia stato l'aumento drammatico delle percentuali di stupri.

In ultima analisi, l'islam, nella misura in cui è riuscito ad incanalare i conflitti tribali e la violenza intestina verso l'esterno, si è dimostrato esclusivamente un efficiente e potente amplificatore della cultura tribale dei predoni del deserto della Penisola Arabica.

Un'altra ferita auto-inflitta fu l'usanza detta Timar, un sistema feudale adottato dall'Impero Ottomano proprio quando l'Occidente si stava affrancando dai vincoli del feudalesimo, che aggiunse un freno ulteriore allo sviluppo economico.

Il mancato riconoscimento delle suddette responsabilità storiche dell'islam nella generazione dei problemi del mondo islamico crea i presupposti per la crescita del terrorismo islamico e preclude ogni genuino tentativo di riforma dell'islam in senso moderato, sempre che ciò sia possibile in assenza di un'autorità unica e suprema, l'equivalente di un Papa, e di una gerarchia, come invece avviene appunto nel Cristianesimo.

La violenza islamica è, infatti, anche di tipo reattivo, ma la reazione scaturisce dalla perpetua vittimizzazione del mondo islamico e parallela demonizzazione dell'Occidente e Israele operate dai leader arabi e dagli islamici radicali con l'aiuto degli apologeti occidentali dell'islam.

Questa violenza è il frutto anche dell'ignoranza, in particolare di quella delle vicende storiche, diffusa nel mondo islamico proprio a causa dell'islam a partire dalla summenzionata decisione di portata storica di bandire l'uso della stampa nel XV secolo. La mancanza di conoscenza storica si rivela essere terreno fertile per la propaganda anti-occidentale esercitata dai leader islamici attraverso i mass media, le scuole e le moschee.

I leader islamici arabi, per esempio, anche quando "filo-occidentali", hanno tradizionalmente usato l'Occidente e Israele come capri espiatori per lavarsi le mani dei propri fallimenti e dell'incapacità di promuovere lo sviluppo e il successo economico dei propri paesi, a dispetto della frequente presenza di ricchissimi giacimenti petroliferi nel sottosuolo.

I governanti del mondo islamico, oltre che indirizzare la frustrazione popolare e fomentare l'odio verso l'esterno, hanno in un certo senso confermato la tesi di Karl Marx usando la religione islamica come "oppio dei popoli", per sopperire alla mancanza di benessere economico e materiale. Queste guide politiche, invece di assumersi le proprie responsabilita' ed aiutare le popolazioni islamiche a fare i conti col proprio passato riconoscendo il ruolo decisivo giocato dall'islam nel determinare la poverta', il degrado, l'arretratezza e le sofferenze del mondo islamico, hanno semmai utilizzato l'islam e il conflitto con l'Occidente e Israele per distogliere l'attenzione della gente dalla realtà, e per legittimarsi come leader. La costante demonizzazione dell'Occidente e dello Stato Ebraico e il perverso uso strumentale dell'islam per giustificare l'odio anti-occidentale, o anche per neutralizzare i propri avversari politici, se da una parte hanno consentito ai governanti arabi e islamici di restare al potere nonostante tutto, dall'altra hanno alimentato la crescita del fondamentalismo islamico fino al punto di costituire una minaccia anche per la stabilità degli stessi paesi islamici. Per tentare di controllare il "malvagio" genio islamico che essi stessi avevano liberato dalla lampada e minacciava di ritorcersi contro di loro, i governanti arabi, da una parte hanno utilizzato il pugno di ferro sul fronte interno, dall'altra sono stati obbligati a finanziare ed addestrare i terroristi islamici contro bersagli esterni, tentando in questo modo di deflettere le ire dell'islam radicale lontano da sé.

Agli islamici radicali, infatti, non era sfuggita la non piena ottemperanza ai precetti coranici da parte dei leader arabi, preoccupati di mantenere "buoni" rapporti con l'Occidente, di modernizzare i loro paesi, o di "rispettare" la libertà religiosa di minoranze come quella cristiana.

Come risultato, i fondamentalisti avevano cominciato a disprezzare e condannare i governanti arabi, esigendo l'applicazione integrale della sharia, e indirizzando i propri sforzi anzitutto nella direzione di rovesciare i leader filo-occidentali ed esponenti del nazionalismo arabo, prima che in quella di muovere guerra all'Occidente ed Israele.

Pertanto, chi nei paesi occidentali sposa la teoria del Jihad reattivo criticando in modo esagerato l'Occidente e Israele, a cui attribuisce le responsabilità dei problemi del mondo islamico e del Terzo Mondo, sta amplificando il messaggio di odio anti-occidentale trasmesso dalla strategia adottata per decenni dai leader islamici per restare al potere, e favorendo ulteriormente la crescita dell'islam radicale.

La martellante demonizzazione di Israele e dell'Occidente, portata avanti anche nei paesi occidentali dai mass media, dagli intellettuali, e dai leader politici e religiosi, funge da cassa di risonanza per il suo corrispettivo nel mondo islamico, favorendo il reclutamento nelle fila dell'Isis di giovani immigrati islamici alla ricerca di una nobile causa per cui vivere e combattere.

Paradossalmente, gli apologeti occidentali dell'islam, che includono nei propri ranghi anche chi difende implicitamente l'islam bandendo sistematicamente l'aggettivo "islamico" dalle descrizioni dei massacri perpetrati in suo nome, sebbene spesso armati delle più nobili delle intenzioni, quando deresponsabilizzano il mondo islamico e l'islam, finiscono per alimentare la violenza islamica, in primis ai danni delle comunità islamiche, e secondariamente dei cristiani e le altre minoranze religiose. Gli islamici sono, infatti, le vittime predestinate dell'islam...