Io accuso l’islam di essere la causa dell’attuale barbarie e di tutti gli atti di violenza commessi in nome della fede islamica.

Non accuso i musulmani, che per lo più sono persone pacifiche, amabili e amichevoli, ma l’islam in quanto ideologia politica. Tra i fedeli musulmani – nostri fratelli umani – ho innumerevoli amici, fedeli e irreprensibili, che auspicano essi stessi un islam umanista e pacificato. Molti musulmani – come pure ex-musulmani – non sono responsabili di questa barbarie in nome di Dio. Non sono quindi queste persone coloro che sto accusando… ma l’islam in quanto tale.

E non accuso nemmeno i terroristi né il terrorismo. E neppure unicamente i Fratelli Musulmani o la nebulosa di gruppuscoli gravitanti attorno a questa confraternita jihadista e violenta. Come pure non accuso né l’islamismo né l’islam politico e radicale.

Accuso semplicemente l’islam, che, per sua natura, è al contempo politico e radicale.

Come già scrissi oltre venticinque anni fa, l’islamismo è l’islam senza veli, in tutta la sua logica e il suo rigore. È presente nell’islam come il pulcino nell’uovo, il frutto nel fiore, l’albero nel seme. Esso è portatore di un progetto di società volto a stabilire un califfato mondiale, fondato sulla sharia, unica legge legittima, poiché divina. Si tratta di un progetto universale e globalizzante: totale, totalizzante e totalitario.

L’islam è contemporaneamente religione, stato e società: din wa-dawla. Ed è infatti così che è sempre stato, sin dalle sue origini più remote.

Con il passaggio da Mecca a Medina (l’Egira), l’islam passò dallo status di religione a quello di stato teocratico. Questo fu anche il momento in cui Muhammad cessò di essere un semplice capo religioso per divenire comandante militare, governante e leader politico. Religione e politica divennero così legate indissolubilmente: “L’islam è politica o nulla” (Imam Rouhollah Khomeini).

Accuso di deliberata menzogna coloro che pretendono che le atrocità commesse da musulmani «non abbiano nulla a che spartire con l’Islam». È infatti proprio in nome del Corano e delle sue precise ingiunzioni che questi crimini vengono perpetrati. Il solo fatto che l’appello alla preghiera e l’incitazione all’uccisione degli infedeli siano preceduti dal medesimo grido “Allah-u-akbar” (Dio è il più grande) è altamente significativo.

Accuso i sapienti dell’islam del decimo secolo di avere promulgato decreti – divenuti ormai irreversibili – che hanno condotto l’islam nelle secche odierne.

Il primo di questi decreti – quello «dell’abrogante e dell’abrogato» – consiste nel dare priorità ai versetti medinesi, latori di violenza e intolleranza, a detrimento dei versetti meccani, invitanti alla pace e alla concordia.

Al fine di rendere irreversibile tale disposizione, vennero promulgati altri due decreti: quello di dichiarare il Corano «parola increata di Allah», e dunque immutabile, e quello di interdire ogni ulteriore sforzo interpretativo, dichiarando «definitivamente chiusa la porta dell’ijtihad (sforzo di riflessione)». La sacralizzazione di queste decisioni ha fossilizzato il pensiero islamico e contribuito a mantenere i Paesi islamici in uno stato di stagnante arretratezza cronicizzata.

Accuso l’islam di essersi arenato in un dogmatismo, da cui non riesce a uscire: auto-imprigionatosi nella trappola del rancore, accusa l’intera umanità delle proprie sconfitte, in un’opera di vittimizzazione e auto giustificazione.

Accuso al-Azhar, in teoria incarnazione dell’islam moderato, di alimentare uno spirito di odio, fanatico e intollerante, presso i milioni di studenti e imam provenienti dal mondo intero per formarsi presso le sue istituzioni. Al-Azhar così è divenuta una della principali fonti del terrorismo nel pianeta.

Accuso al-Azhar per il rifiuto sistematico di riformare i suoi programmi e i suoi manuali scolastici e universitari. Nonostante le reiterate richieste del Presidente egiziano al-Sisi di purgare tutti i testi incitanti all’odio, alla violenza e alla discriminazione, nulla ancora è stato realizzato.

Accuso al-Azhar per il suo rifiuto di condannare lo Stato Islamico (Daesh) e l’islamismo salafita/wahhabita, prova di una reale prossimità con il terrorismo.

Accuso il Grande Imam di al-Azhar, lo sheikh Ahmad al-Tayyeb, nonostante molti anni di studi a Parigi e una tesi dottorale sostenuta alla Sorbonne, di persistere nel conformarsi alle correnti oscurantiste e retrograde, mentre da parte sua ci si attendeva la promozione di un pensiero innovatore in seno a questa istituzione venerabile. Al contrario, egli ha ristabilito testi incitanti alla violenza e all’intolleranza nei testi scolastici e universitari delle istituzioni legate ad al-Azhar, malgrado alcuni fossero stati già scartati dal suo predecessore, lo sheikh Muhammad Tantawi.

Accuso al-Azhar di non ricorrere ai «nuovi pensatori islamici» di Oriente e di Occidente, al fine di intraprendere con loro una profonda riforma dell’islam.

Accuso le grandi Nazioni occidentali che, pretendendo di difendere i valori di libertà, democrazia e inerenti ai diritti dell’essere umano, collaborano invece attivamente con un islam fondamentalista per gretti interessi economici e finanziari.

Accuso l’Occidente di aver inventato con gli islamisti il mendace concetto di «islamofobia» per tacitare ogni critica in relazione all’islam.

Accuso non poche dirigenze europee di cedere alle rivendicazioni liberticide di un islam di ora in ora più aggressivo e con sempre maggiori pretese, il cui scopo chiaramente proclamato è la pura e semplice conquista dell’Occidente. Queste stesse dirigenze tradiscono così i loro popoli e svendono il loro patrimonio storico. In nome di un’ideologia multiculturalista, di un universalismo selvaggio e di aperture senza limite alcuno, costoro contribuiscono alla rovina di un grandioso lascito di civiltà e cultura.

Accuso il lassismo di una certa sinistra liberale, incapace in Francia di imporre le leggi della Repubblica a una minoranza che avversa ogni tentativo di integrazione. Le dirigenze, asservite per interessi elettorali a banlieues pronte a esplodere, hanno preso parte al degrado sociale dei «quartieri perduti della Repubblica», il che equivale alla capitolazione dello Stato.

Accuso la Chiesa Cattolica di portare avanti con l’Islam un «dialogo» fondato su compiacenza, compromessi e doppiezza. Dopo oltre mezzo secolo di iniziative unilaterali, siffatto monologo è oggi a un punto morto. Cedendo al «politicamente corretto», e con il pretesto di non offendere l’interlocutore musulmano in nome della «convivenza», si fa ben attenzione a evitare le questioni spinose e vitali. Ogni dialogo verace inizia con la verità.

Accuso i principali media di manipolazione e di falsità, offrendo una lettura distorta del reale, fornendo cifre tendenziose, statistiche falsate e «sondaggi» truccati. Questa sistematica disinformazione calpesta la deontologia e l’etica più elementari per gli interessi di grandi gruppi finanziari che li sovvenzionano, dettando le linee editoriali.

Anziché indignarsi per gli atti di terrorismo, sempre più frequenti, è giunta l’ora di fronteggiare la «reale» realtà, osando ricorrere alla parola giusta.

È giunta l’ora di riconsiderare il problema posto dall’islam senza tergiversare, senza paura e senza indulgenza. Il politichese e il relativismo conducono solo al peggio. Gli Stati occidentali hanno l’obbligo morale e legale di preservare la loro integrità territoriale, il loro stile di vita, la loro cultura e i loro valori in relazione a un islam bellicoso e dichiaratamente ostile alla civiltà occidentale.

I musulmani che non si riconoscono in questo deflagrare di odio e di violenza si confrontino con acribia, senza infingimenti e pregiudizi, con loro stessi, con i loro testi fondativi, con la loro storia, come pure con la loro odierna, tragica situazione nel mondo. Piuttosto di promuovere un dialogo tra cristianesimo e islam, o tra islam e Occidente, urge la promozione di riforme e dialogo intra-islamici. Che i musulmani possano riconoscere che il loro problema è endogeno, avendo il coraggio di affrontarlo in piena lucidità e umiltà, cessando di mettere la testa sotto la sabbia.

È giunto il tempo di superare le etichette di sinistra e destra, progressista e conservatore, socialista e democratico, repubblicano e liberale, di giudeo-cristiano e musulmano, al fine di trovare tra tutti gli esseri umani una base comune di valori e principi. Ora, personalmente non riconosco una base simile se non nella Carta Universale dei Diritti dell’Uomo, promulgata dall’ONU nel 1948, che tutti i Paesi arabi e musulmani hanno rifiutato di sottoscrivere nella sua interezza.

È giunto il tempo di porre l’Essere Umano al centro della discussione, in una comune ricerca della verità. Poiché «la verità e l’amicizia ci sono ugualmente care, è sacro dovere tuttavia accordare la preferenza alla verità» (Aristotele, Etica Nicomachea, I, 4, 1096 a 13).

Unicamente un vero confronto con il reale permetterà che «amore e verità si incontrino di nuovo… che giustizia e pace si abbraccino» (Salmo 85, 11).