Cari amici, il 12 novembre 2003 un commando di terroristi islamici suicidi fece esplodere il quartier generale dei Carabinieri a Nassiriya in Iraq, perpetrando una strage. Morirono 12 carabinieri, 5 militari e due civili italiani, in aggiunta a nove iracheni. L'attentato terroristico venne rivendicato da Al Qaeda di Bin Laden. 

Ebbene 15 anni dopo dobbiamo seriamente prendere atto che l'Italia è sempre a rischio. Un attentato terroristico simile potrebbe ripetersi, non solo in un'area di guerra come l'Afghanistan, ma anche all'interno stesso dell'Italia.

La verità è che, ad oggi, non abbiamo imparato la lezione di quella strage. Innanzitutto la necessità di dire chiaramente che siamo in guerra, che in guerra bisogna combattere, che bisogna combattere per vincere e sconfiggere il nostro nemico. Purtroppo ad oggi le missioni militari italiane, nel quadro della Nato o comunque multilaterale, vengono enfaticamente camuffate come operazioni di «peacekeeping», ovvero finalizzate al mantenimento della pace, o di «peace-enforcing», ovvero finalizzate a imporre la pace sulla base di un accordo già raggiunto tra le forze belligeranti. In entrambi i casi le nostre forze vengono concepite come «forze di pace». Nel modo più assoluto si nega che siano «forze di guerra», impegnate in una guerra, e che di conseguenza, debbano combattere per sconfiggere il nemico. Eppure il nemico c'è al punto tale che, rispetto al 2003, si trova ormai dentro casa nostra, anche se finora, a differenza di quanto è successo in Gran Bretagna, Francia, Spagna e Belgio, non ha finora perpetrato delle stragi. Per ragioni di opportunità tattiche. Perché ad oggi l'Italia si presta ad essere un territorio di transito dei terroristi e dei loro complici, purché ci risparmino.

Così come noi italiani non abbiamo ancora capito che siamo tutti sulla stessa barca. Quindici anni fa la bandiera arcobaleno, emblema dei pacifisti o meglio pacifinti perché, da un lato rivendicano la pace, dall'altro predicano l'odio in particolare contro gli Stati Uniti e Israele, aveva di fatto sostituito il tricolore. Fu l'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che proprio in concomitanza con i funerali delle 19 vittime italiane della strage di Nassiriya, esortò gli italiani a esporre il tricolore nelle proprie case e invitò i Sindaci a donare la bandiera nazionale ai nuovi sposi e ai nuovi cittadini italiani. Dopo l'intervento internazionale in Afghanistan nel 2001, a seguito degli attentati terroristici islamici che abbatterono le Due Torri Gemelle a New York l'11 settembre 2001, gli italiani si divisero sulla legittimità della guerra. Per due anni l'Italia era spaccata tra chi si identificava nella bandiera arcobaleno, che veniva esposta ovunque, e chi timidamente difendeva il tricolore. In questo periodo i gruppi islamici organizzati in Italia arrivarono al punto di giustificare la strage di Nassiriya con delle dichiarazioni pubbliche e nei sermoni pronunciati nelle moschee.

Cari amici, quindici anni dopo la strage di Nassiriya dobbiamo finalmente dire a viva voce che «siamo in guerra», una guerra scatenata non solo dai terroristi «tagliagole», coloro che sgozzano, decapitano, uccidono e si fanno esplodere, ma soprattutto dai terroristi «taglialingue», quelli che all'occorrenza indossano giacca e cravatta e ci impongono, attraverso il controllo delle moschee, di non dire e di non fare nulla in contrasto con ciò che Allah prescrive nel Corano e ciò che ha ordinato Maometto. Quindici anni fa la guerra del terrorismo islamico era principalmente fuori di casa nostra. Oggi è principalmente dentro casa nostra. Allora era più facile sconfiggere il nemico esterno perché militarmente noi siamo comunque più forti. Oggi è di gran lunga più difficile sconfiggere il nemico interno, perché si avvale e sfrutta spregiudicatamente le nostre stesse leggi fuorviate, la nostra stessa democrazia malata, la nostra stessa civiltà decadente.

Dobbiamo mobilitarci per dar vita al fronte più ampio possibile di italiani che, al di là della loro appartenenza partitica o ideologica, assumano la consapevolezza che siamo tutti sulla stessa barca e che dobbiamo tutti combattere per salvaguardare questa nostra civiltà che si fonda e che legittima la sacralità della vita di tutti, la pari dignità di tutti, la libertà di scelta di tutti.