L’applicazione della nuova procedura di “risoluzione” bancaria utilizzata per Banca Marche, Banca Etruria, Carife  e Cassa di risparmio di Chieti ha sollevato un vespaio di polemiche. La novità della nuova disciplina bancaria sta nel fatto che non potrà più essere lo Stato a farsi carico di eventuali banche in difficoltà, limitando    l’intervento pubblico  soltanto a circostanze straordinarie per evitare che la crisi di un intermediario abbia gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema finanziario nel suo complesso. L’attivazione dell’intervento pubblico, come ad esempio la nazionalizzazione temporanea, richiede comunque che i costi della crisi siano ripartiti con gli azionisti e i creditori attraverso l’applicazione di un bail-in almeno pari all’8 per cento del totale del passivo.
In merito alla recente applicazione della procedura di risoluzione, come ama definirla il ministro Padoan, possiamo evidenziare alcune cose.
In primo luogo, è da porre in evidenza come sia stata la dimensione dei crediti in sofferenza a generare la crisi degli istituti di credito e non le obbligazioni subordinate sottoscritte da più o meno ignari risparmiatori. Quindi, la causa del dissesto va rintracciata nella gestione delle banche e nella  maldestra erogazione del credito; prova ne è il fatto che degli iniziali 8,5 mld di crediti in sofferenza, solo 1,5 miliardi di euro sono stati iscritti in bilancio nella “bad bank”, con una svalutazione impressionante dell’ 83%.
In secondo luogo, dovremmo porre in discussione il sistema di vigilanza che a quanto sembra ha fatto davvero poco per impedire agli istituti di credito di continuare nella loro politica di credito folle e sconsiderato. Banca d’Italia e Consob sono corresponsabili per non aver impedito, ostacolato e reso note alla clientela , le difficoltà che gli istituti di credito attraversavano. Il vigilare presuppone un intervento antecedente il manifestarsi del problema; qui abbiamo una entità, o meglio due, Banca d’Italia e Consob che invece intervengono sempre e solo a posteriori. Visco si discolpa: “ Abbiamo agito con tempestività ed in osservanza delle disposizioni di legge.”; qualche dubbio su ciò lo abbiamo, dal momento stesso che controllore e controllato rispondono alle stesse medesime proprietà. Nel caso di Banca Etruria ad esempio, gli ispettori della Banca d’Italia rilevarono che già nel 2013, a fronte di un andamento negativo della gestione che portò ad una perdita d’esercizio di 300 milioni di euro, vennero elargiti bonus per 3 milioni al personale. Chi doveva vigilare e non vigilò? Chi doveva intervenire fattivamente e non lo fece? Chi sono i responsabili di questa assurdità?
Coloro che oggi si affannano nel cercare di far recuperare qualche denaro ai risparmiatori, attraverso i 100 milioni di euro del FITD, sono gli stessi che han votato la legge  (“Direttiva europea sulla risoluzione delle crisi bancarie” - BRRD), recepita nell’ordinamento italiano lo scorso 16 novembre 2015  con il Decreto Legislativo 180/2015. Evidentemente, questa gente, quando vota e decide non ha la consapevolezza di ciò che promuove, oppure agisce sulla base di una strategia ben definita.
I risparmiatori che hanno sottoscritto obbligazioni subordinate hanno perso complessivamente circa 300 milioni di euro. E’ una cifra  assai limitata. Ripagare tutti i risparmiatori indiscriminatamente non è giusto; si dovrà verificare caso per caso, singolo contratto per singolo contratto e non proporre risarcimenti a pioggia. La truffa ed il raggiro di cui certamente moltissimi clienti e correntisti sono stati vittime, dovranno essere risarciti fino all’ultimo centesimo; coloro che invece, per lucrare un maggior guadagno, hanno deciso di investire su titoli ad alto rischio,  non dovranno essere risarciti. 



In conclusione, la crisi e la conseguente “risoluzione” dei quattro istituti di credito  è solo un piccolo assaggio di quello che accadrà nel futuro.  Il sistema bancario italiano non è sicuro come amano ripetere Padoan e Visco. Anche alla luce degli Accordi di Basilea 3, i requisiti minimi per il patrimonio bancario saranno, nel 2019, pari solo al 10,5% delle attività. Né la BCE, né la Banca d’Italia sono oggi in grado di controllare l’espansione del credito, la destinazione e la qualità dello stesso. Per anni, si è permesso al sistema bancario di crescere a dismisura, in barba a qualsiasi sana e prudente gestione del rischio. La crescita esponenziale del debito creato dalle banche e gli interessi sullo stesso, gravano su tutto il sistema economico reale e lo strangolano, sottraendo risorse che altrimenti potrebbero essere destinate ad attività  in grado di produrre beni e servizi. In Italia, il debito privato di imprese, famiglie e banche è pari al 196% del PIL; parliamo di circa 3.195 miliardi di euro,  cui sono connessi interessi passivi annuali di circa 130 miliardi, che rappresentano un costo improduttivo insostenibile per il sistema reale. Fino a quando potrà proseguire questa follia?  
I nodi stanno venendo al pettine. Questo è solo l’inizio.