(Il Giornale, 28 febbraio 2016) - Chi ha assassinato Giulio Regeni mutilandolo e infierendo in modo crudele sul suo corpo è un criminale che meriterebbe la condanna a morte, pena contemplata in Egitto e che in questo caso sarebbe appropriata. Ma chiunque esso sia stato, l'ha fatto per nuocere agli eccellenti rapporti tra l'Italia e l'Egitto, sul piano energetico, economico, politico, della sicurezza e in prospettiva anche militare.  

Se ieri la Procura di Roma ha chiarito che dall'esame del computer di Regeni e dal resto dell'attività istruttoria, non emergono legami con servizi segreti, non aveva avuto contatti con persone equivoche, che i dati raccolti nell'ambito delle sue ricerche non sono usciti fuori dall'ambito universitario, in aggiunta al fatto che non risultano schedature di Regeni fatte in Egitto, perché mai il governo egiziano avrebbe dovuto assassinarlo? Oltrettutto, se il governo fosse stato il mandante di questo crimine, mai e poi mai avrebbero abbandonato il suo martoriato corpo in una strada pubblica, affinché potesse essere individuato, recuperato e rappresentare oggettivamente un atto d'accusa contro il governo stesso.  

All'opposto, il governo di Al Sisi ha tutto l'interesse a salvaguardare, valorizzare e incrementare gli eccellenti rapporti con l'Italia, che è il primo Paese importatore e il terzo Paese esportatore dell'Egitto, con un interscambio che nel 2014 è stato pari a 5.180 miliardi di euro, diventando il più importante mercato italiano in Africa.

Abbiamo un precedente su cui riflettere. Il 31 ottobre 2015 fu un meccanico, cugino di un terrorista dell'Isis, a piazzare la bomba nella stiva dell'aereo russo esploso in volo poco dopo il decollo da Sharm El Sheikh, provocando la morte di 224 persone. Quell'attentato ha nuociuto ai buoni rapporti tra la Russia e l'Egitto e, soprattutto, ha nuovamente paralizzato il turismo, la linfa vitale dell'economia egiziana. 

Ebbene è fondato ipotizzare che l'assassinio di Giulio sia stato perpetrato da unprofessionista della tortura, funzionario dei servizi di sicurezza ma colluso con gli estremisti islamici, che ha agito con l'obiettivo deliberato di far ricadere la responsabilità sul regime egiziano.

Il fatto che Giulio si occupasse e intrattenesse rapporti con i sindacati, molti dei quali sono infiltrati dai Fratelli Musulmani, che parlasse l'arabo e si muovesse con disinvoltura in ambienti ostili al governo, ha fornito delle giustificazioni a quanti hanno automaticamente addossato la responsabilità del crimine al governo. 

Tra loro figurano tanti sciacalli nostrani, nostalgici della menzogna mediatica della “Primavera araba”, accecati dall'odio nei confronti di Al Sisi al punto da preferirgli i terroristi dei Fratelli Musulmani. Questi sciacalli non saranno mai contenti. Non hanno ancora capito che solo con un regime laico, anche se autoritario, possono dire di tutto e di più contro il regime stesso. Ma qualora si affermasse un regime teocratico, a cui mirava il deposto presidente dei Fratelli Musulmani Morsi, non verrebbe riconosciuto loro alcun diritto, neppure il diritto elementare alla vita.
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