(Il Giornale, 8 maggio 2017) - Le elezioni presidenziali in Francia segnano la fine non solo dei partiti tradizionali di destra, di centro e di sinistra, ma del partito stesso concepito come l'istituzione che veicola il consenso dei cittadini, sostanzia l'attività politica, legittima la democrazia. È vero che ormai dal crollo del Muro di Berlino i partiti hanno perso la loro connotazione ideologica e si sono trasformati in meri ricettacoli di potere, al punto da condividere gli stessi contenuti a prescindere dalla loro collocazione politica.

Ma ora siamo ad una svolta sul piano dell'identità, della ragion d'essere e degli obiettivi. Ci troviamo di fronte ad un bivio che impone una scelta epocale: la salvaguardia degli Stati nazionali sovrani, di un modello di sviluppo che affida l'economia reale alle micro, piccole e medie imprese, un modello di società che mette al centro la famiglia naturale e la rigenerazione della popolazione autoctona, un modello di civiltà laico e liberale dalle radici ebraico-cristiane, greco-romane, umanistiche e illuministiche; oppure la confluenza degli Stati nazionali negli Stati Uniti d'Europa, il fagocitamento dell'economia reale nella grande finanza speculativa, l'omologazione dell'umanità nel meticciato antropologico promuovendo l'immigrazionismo e l'omosessualismo, l'affermazione dell'ideologia globalista incentrata sul relativismo valoriale e religioso.

Il duello tra Macron e la Le Pen ha sostanziato lo scontro tra il globalismo e il localismo, tra la macro e la micro dimensione, tra il Nuovo Ordine Mondiale e la sovranità nazionale, tra due concezioni diametralmente opposte della vita stessa.

I partiti tradizionali sono comunque morti. Da un punto di vista economico sono delle società fallite, alla ricerca spasmodica di voti e di consenso da monetizzare per mantenersi a galla. Così come politicamente hanno perso credibilità, come ormai da anni attestano gli indici di gradimento dei cittadini, al punto che ormai si votano i leader più che i partiti.

Anche in Italia dobbiamo orientarci al confronto tra due schieramenti, quello globalista che aspira agli Stati Uniti d'Europa, e quello localista che difende l'Italia sovrana. Oggi i rapporti di forza sono decisamente a favore dei globalisti. Macron non ha vinto per meriti propri, ma per una straordinaria mobilitazione contro la Le Pen, che ha visto convergere tutti gli altri principali partiti, il Presidente della Repubblica, i mezzi di comunicazione di massa, la Chiesa cattolica, i protestanti, i musulmani, gli ebrei, i massoni, la grande finanza e l'Unione Europea.

In questo contesto si modifica radicalmente la stessa sostanza della democrazia, perché sono troppi i condizionamenti che i cittadini subiscono nel processo di formazione della corretta conoscenza della realtà e della successiva elaborazione della libertà di scelta. È in atto un terremoto politico che ha già sepolto i partiti tradizionali e rischia di dare il colpo di grazia alla democrazia.

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