(Il Giornale, 16 luglio 2017) - Si può morire fisicamente una volta per sempre e si può morire fisicamente un po' alla volta. C'è chi perde la vita letteralmente e c'è chi perde la vita sostanzialmente. Ci sono donne che vengono assassinate dal marito o dall'amante, ci sono donne che muoiono in quanto donne per volontà dei genitori e della società. Ci sono femminicidi causati da morbose e irrefrenabili pulsioni individuali, ci sono crimini contro l'integrità fisica e psichica delle donne sottomettendole alla mutilazione genitale, che si perpetra nel nome di una ancestrale tradizione legittimata dalla cultura egemone che risale a circa 4 mila anni prima di Cristo, prevalentemente nei paesi nilotici e dell'Africa sub-sahariana.

Nessuno di noi potrebbe mai accettare un'atrocità che priva la donna del godimento sessuale, che la costringe a vivere con immani sofferenze fisiche e psichiche, che le procura facilmente delle infezioni e talvolta la conduce alla morte. Nessuno di noi potrebbe mai legittimare un'ideologia che identifica la donna a oggetto sessuale nella totale disponibilità del marito, che ordina di aprire o di richiudere la vagina a piacimento prima di metterla incinta e subito dopo il parto, trasformando l'organo sessuale femminile in una innaturale e terrificante cintura di castità.

La mutilazione genitale femminile è totalmente in contrasto con le nostre leggi e con i valori fondanti della nostra civiltà, che sostanziano l'essenza della nostra umanità, a partire dalla sacralità della vita che implica l'inviolabilità dell'integrità fisica e psichica della persona; la pari dignità tra uomo e donna, anche per quanto concerne il godimento sessuale; la libertà di scelta individuale, che non può essere irrimediabilmente lesa dalla decisione imposta a un minore dalla famiglia e dalla società.  

Eppure, in quest'Europa ammalata e vittima dell'ideologia del multiculturalismo, dove si arriva a concepire che ogni «comunità» etnica o religiosa possa auto-amministrarsi sulla base delle proprie regole e addirittura delle proprie leggi, qualcuno è arrivato ad affermare un presunto di «diritto a essere mutilate genitalmente». Il problema si pone quando un nostro magistrato deve giudicare una donna straniera maggiorenne, capace di intendere e di volere, che afferma di volere consapevolmente e liberamente essere sottoposta alla mutilazione genitale. Succede che chi nasce in una società in cui tutte le donne sono genitalmente mutilate e cresce con il convincimento che solo così si diventa «pure» e «perbene», possa auto-convincersi della bontà di questo crimine.

Ebbene liberiamoci definitivamente del multiculturalismo, del comunitarismo, del relativismo valoriale e giuridico. Affermiamo in modo chiaro che le nostre leggi, i nostri valori e la nostra civiltà sono una linea rossa invalicabile. Con la stessa fermezza dobbiamo dire «no al femminicidio» e «no alla mutilazione genitale femminile»: sono entrambi crimini che uccidono comunque la donna.

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