A proposito dell'attribuzione di una pensione "italiana" a extracomunitari di almeno 65 anni, c'è qualche notiziola curiosa, che merita d’esser conosciuta. In alcuni paesi del Nord Africa, chi nasce femmina non sempre viene registrato all'anagrafe. E in molti casi le bambine non vengono nemmeno iscritte ad una scuola pubblica: fra le immigrate in Italia di origine marocchina, pare che circa l’80% sia analfabeta, secondo quanto reso noto da una associazione che si occupa di donne marocchine presenti nel nostro paese. Anche la mancata scolarizzazione concorre a non far emergere la mancata registrazione anagrafica nei paesi d’origine.

Oggi le cose tendono a cambiare, ma questa fino a qualche decina di anni fa era la consuetudine, che sembra perduri oggi nelle campagne e nei villaggi, per ignoranza, trascuratezza, mentalità. In quei paesi non è raro il caso di donne, specialmente se ultracinquantenni, ma talvolta anche più giovani, che non conoscono con esattezza la propria data di nascita. E non è un’ignoranza di comodo: semplicemente i loro genitori, a suo tempo, non si sono presi la briga di segnalare ad una qualche autorità la venuta al mondo di una figlia.

Ci possono essere poi anche difficoltà oggettive: è comprensibile che in certe località isolate tra monti e deserti non sia presente un ufficio dell’anagrafe o qualcosa che gli assomigli. Quando poi si presenta la necessità, per una di queste donne non-registrate, di richiedere alle autorità del loro paese un documento d’identità, l'interessata, o più spesso qualcun altro per lei, dichiara alle autorità l'anno presunto della nascita, che talvolta nemmeno i genitori di prole numerosa con esattezza ricordano. E una volta bastava per i documenti l’indicazione dell’anno. In quanto a completare la data con il giorno e il mese, questa è stata un'innovazione relativamente recente, resa soprattutto necessaria dal rilascio di documenti per l'espatrio, che richiedono l'indicazione della data di nascita completa. Il problema viene (o veniva) sbrigativamente risolto nei paesi d’origine attribuendo generalmente d’ufficio come data di nascita il “1° gennaio”, in tutti i casi di data “ignota”, completando così l’indicazione dell'anno.

Il fatto che tante immigrate risultino nate il 1° gennaio, complica la soluzione di problemi d’omonimia fra immigrate in Italia, specialmente per l’attribuzione del codice fiscale e della tessera sanitaria. Questo problema è ben noto agli uffici competenti e viene posto in evidenza dalla gestione informatizzata dei dati, presso i nostri uffici, poiché i programmi di cui i computer si avvalgono non possono interpretare ogni tipo di informazione o far fronte a qualsiasi problema o incongruenza.

Ora per l’attribuzione di pensioni in Italia a extracomunitari di almeno 65 anni, su richiesta di parenti o congiunti immigrati da noi, la necessità di rettifica o di completamento di dati anagrafici nel paese di provenienza si può prestare a dimostrare l’avvenuto raggiungimento dell’età (65 anni) da parte della persona destinataria del beneficio: d’altronde chi può contestare un documento formalmente valido di uno stato estero, anche se la data di nascita riportata non può avere garanzie di esattezza? A ciò si aggiunge l’introduzione dell’uso del cognome, in popolazioni in cui al nome, per secoli, seguiva solo la dizione “figlio di-figlia di “ (bin- bint, ben-bent, ecc). Anche in questo caso gli stessi extracomunitari potranno raccontare la storia di cognomi auto-attribuiti, nonché spiegarvi l’origine e il significato d’un cognome, comparso per la prima volta nei documenti del padre o più raramente del nonno. E’questa un’altra complicazione riguardo alla certificazione dell’identità personale: ma può apparire secondaria rispetto a questioni di date.

Non c’è quindi solo il problema dei cinesi, che secondo una voce popolare “non muoiono mai”, perché, si diceva, i documenti degli scomparsi venivano riciclati dai viventi. E la diceria non è comprovata. Il nostro paese è meta di immigrazione da parte di persone appartenenti a centinaia di gruppi etnici, spesso entrate nel nostro paese del tutto prive di documenti, non di rado volontariamente distrutti dagli interessati per potersi qualificare come rifugiati, perseguitati politici, ecc. E’ questo il caso di moltissimi migranti africani che sbarcano quotidianamente sulle coste italiane: qualcuno un vero e proprio documento d’identità non l’ha mai avuto, ma molti, anzi troppi, si sono liberati d’ogni documento prima di partire. Ciò rende impossibile identificare non solo i vivi, ma anche i morti per naufragi, violenze durante il viaggio, malattie o altro.

Il problema della ricostruzione e registrazione delle identità personali è diventata un’operazione complessa. Direi che sta diventando una questione per specialisti del ramo, i quali devono avere una conoscenza non superficiale di usi, costumi, mentalità, civiltà, particolarità etniche, sistemi giuridico-amministrativi, condizioni sociali e politiche dei paesi d’origine dei nostri immigrati.

Da anni è messo sotto pressione il nostro sistema assistenziale, pensionistico e sanitario, per erogare cure e prestazioni chirurgiche, ad esempio, a genitori anziani di extracomunitari immigrati da noi o per far loro attribuire pensioni dovute all’età, all’invalidità e connesse indennità d’accompagnamento. Questi anziani vengono fatti appositamente venire in Italia, utilizzando le procedure dei ricongiungimenti famigliari. Non di rado riescono ad ottenere cure e pensioni, con il volenteroso aiuto di patronati e “agenzie” assistenziali di vario genere, presenti e operanti sul territorio italiano, assai attive nel dare agli immigrati informazioni, nel consigliare loro procedure o scorciatoie burocratiche non sempre esatte, che alimentano richieste di benefici, ma anche illusioni e vane speranze.