Su un sentiero di montagna, a 2000 metri di quota, a breve distanza da uno dei tanti crocifissi lignei che testimoniano la religiosità della genti alpine, vedo su un masso grandi segni tracciati con la vernice bianca. Misteriosi per me, ma non per una persona che mi accompagna, che, sapendo l’arabo, immediatamente li riconosce, li interpreta e me li legge. C'e scritto " Allah",a chiare lettere. Giro per le Alpi da mezzo secolo: mai visto prima nulla del genere. Penso comunque alla solennità grandiosa del luogo e a due espressioni diverse di religiosità ,la croce e il nome di Dio in arabo, che lassù "a due passi dal cielo"sembrano quasi l'estrinsecazione di una stessa, umana e intima  religiosità ,ispirata da un luogo che porta in alto lo sguardo e il pensiero. Ho cominciato con una nota di poesia e di speranza,legata all'autenticità del fatto , ma non posso tacere d’altro che purtroppo accade, e che alla poesia e alla speranza toglie spazio. Sempre più spesso,e proprio sulle nostre montagne, si verificano danneggiamenti,vandalismi o vere e proprie distruzioni di immagini sacre della tradizione cristiana. In qualche caso, e ne ha parlato anche la stampa, i responsabili sono stata individuati .Superflue le precisazioni al riguardo. Non è un buon segno di integrazione, né di senso civico,né di educazione, né di rispetto per il paese che ospita gli autori di quei gesti. Non è una buona premessa per reclamare e ottenere la cittadinanza, che ha un alto significato sociale e politico e non è un “comodo” pezzo di carta.  La questione che vorrei toccare è  complicata. Ha già dato,dà e darà molto da pensare e da fare. Sul tema della compresenza nel nostro paese delle due religioni citate, mi pongo come uomo di scuola. E ho ben presenti un passato di impegno, mio e di tanti altri, ( quando di musulmani in Italia ancora non si parlava) per una scuola laica e per una precisa demarcazione fra "culto", "cultura"e  altre questioni che hanno messo (e mettono) a confronto la scuola pubblica "di stato" (come si diceva) con la Chiesa Cattolica. Quante discussioni e quante polemiche sul crocefisso nelle aule, sull’ora di religione inclusa nell’orario scolastico d’obbligo, e altro su questi temi, hanno segnato decenni di vita e di storia della scuola. E mentre ancora l’eco di quei dibattiti non s’è spento, ecco  aperto un nuovo fronte di problemi. D’ ora in poi, e sempre più spesso, dovremo occuparci, con molta accortezza, sensibilità e preveggenza,anche di Scuola e Islam. Se qualcuno pensava, quindi ,che le questioni religiose in ambito scolastico fossero ormai in fase di progressivo superamento, temo che abbia fatto i conti senza l'oste. E non credo che il piglio critico e impietoso ,cui si era liberamente avvezzi  nel  polemizzare col cattolicesimo di "casa nostra, "potrà costituire lo stile di confronto con la nuova crescente presenza islamica e i problemi connessi. Episodi come quelli delle vignette satiriche sui giornali,che indignarono i mussulmani , con le note violente reazioni, hanno già posto un limite , e non solo surrettizio,alla libertà di espressione nostra, tant'è che cresce il vezzo di indirizzare la satira solo su "bersagli comodi"e innocui. Specie da noi, perché il nostro è un paese di critici focosi, ma prudenti. Se non altro le reazioni del mondo Islamico ci insegnano che dovremmo sempre (e non solo verso l'Islam) avere acquisito prima d'ogni espressione di giudizio, una profonda conoscenza di ciò su cui ci accingiamo a dire o ridire, nonché della sensibilità, del costume e della cultura che vi sono connesse. Troppi a ciò non sono avvezzi, e trovano più comodo e sbrigativo accodarsi a facili slogan ad effetto. Tornando al nocciolo della questione mi limito ad elencare una serie di dati di fatto, da cui derivano temi di grande importanza nell'ambito dell'educazione e della scuola.

L’Italia  è meta di un imponente afflusso di migranti musulmani. Il tasso di natalità nelle loro famiglie è superiore a quello medio delle famiglie italiane. Ciò avrà conseguenze sempre più sensibili sulle condizioni di svolgimento del servizio scolastico pubblico e su presumibili nuove esigenze indotte da specificità e tipologie della rinnovata composizione sia della società, sia della "popolazione " studentesca. Gli islamici sono ancora una minoranza, ma sappiamo bene che certe minoranze possono avere un grande peso. E laddove formano “enclave” etniche, prima o poi mettono gli autoctoni in minoranza.
L'accoglienza e l'integrazione, sempre auspicabili in ogni ambito sociale, ma ancor più "dovute" in ambito scolastico, devono fare i conti con incomprensioni, timori, pregiudizi, scarsa conoscenza reciproca,crescita di posizioni integraliste. Nonché  talvolta indisponibilità dei nuovi arrivati ad integrarsi in un mondo di valori e regole inconciliabili con quelle della loro cultura d’origine. Ricorrenti fatti di cronaca, quasi quotidianamente presenti su TV e giornali, non possono,nemmeno volendo,aumentare la  fiducia e la disponibilità della gente verso certe forme di “diversità”. E il terrorismo islamico crea preoccupazione fra gli stessi islamici di casa nostra, che ci confidano le loro apprensioni e giungono persino a non condividere il permesso di aprire in Italia nuove moschee,poiché non di rado (lo dicono loro stessi) i luoghi di preghiera sorti in paesi non arabi, vengono utilizzati da soggetti faziosi per  fini di propaganda settaria e violenta. A me questo è stato confermato da conoscenti marocchini, i quali mi hanno  detto anche che, nel loro paese, i pubblici poteri tengono d’occhio le moschee e pongono sotto controllo preventivo  persino le prediche degli imam, che possono essere fonte di problemi d’ordine pubblico. Tenacemente attaccati alla loro religione,sanno però bene che quella religione può essere usata, e viene usata, per scopi pericolosi.
Quando si chiede ai musulmani perché non intervengano ,coerentemente con quanto dicono, a contrastare questi loro correligionari integralisti e pericolosi, ci manifestano con qualche reticenza dubbi e difficoltà, che comprendiamo meglio scorrendo su Internet i siti islamici in lingua italiana. Specie quelli che riportano"fatwe". " Fatwe" che ci fanno capire quanto sia difficile e rischioso l'esercizio della critica in quella comunità di fede, comprese quelle presenti nel nostro paese. A riprova della difficoltà all’esercizio del libero pensiero e del confronto democratico, in quegli ambienti.
Per non uscir troppo dal tema, non mi soffermo ora su questioni che attengono a compiti del Governo, delle Forze dell'Ordine o della Magistratura. Che certamente hanno le loro "gatte da pelare"nel tentar di garantire l'ordine pubblico e la sicurezza.
Rilevo solo che sui fatti di cronaca che riguardano ogni tanto o l’islam o soggetti musulmani, subito dopo la loro diffusione ad opera dei mass-media, pare si stenda prontamente un velo di silenzio,assai poco convincente. Come se si trattasse di un problema negato. E quanto più è evidente,tanto più va negato.
Che può fare la scuola?

Dovrebbe preparare i giovani alla vita. E i bambini di oggi vivranno fra 15 o 20 anni in una società molto diversa, con un’alta percentuale di cittadini non italiani d’origine e di cultura e con una forte presenza islamica. Il nostro concetto di “legalità”,frutto di una millenaria cultura e civiltà giuridica, si scontrerà con una diversa visione della “legalità”,quella che deriva direttamente dal Corano. Il tutto complicato da una controversa interpretazione della “laicità”,poco assimilabile dalla mentalità musulmana.  I problemi sociali e politici che ne deriveranno,sono immaginabili. Già li vivono in Gran Bretagna e in altri paesi nordeuropei. Quando toccherà a noi , i nostri giovani saranno preparati ad affrontare la nuova realtà?
La Scuola si sta attrezzando a formare i giovani perché siano protagonisti, e non vittime, di un mondo la cui evoluzione è ben prevedibile, perché ne vediamo gli esiti negli altri  paesi del nostro continente?

Mentre si beccano fra loro i sostenitori  di ricorrenti e mai compiutamente attuati processi di riforma organica,occorrerebbe che la scuola individuasse percorsi educativi sempre più aggiornati, congruenti e idonei per contrastare i nuovi pregiudizi e le nuove divisioni sociali su base etnico-religiosa. E' pur vero che dietro questi fenomeni c'è un disegno globale di poteri politici che li strumentalizzano  per pericolose manovre di predominio e di consenso. E  ciò di gran lunga travalica le possibilità,gli spazi e gli ambiti di intervento in cui le istituzioni educative agiscono,quando agiscono. Ma la questione si pone come prioritaria, e non merita una così scarsa attenzione.
Le scelte educative e le strategie di intervento devono essere il risultato di una ricerca collegiale e pluralistica. Ma individuate con "cortese urgenza" e poste in atto con "cortese sollecitudine". I destinatari del messaggio ,non menzionati, sono molti,ad ogni livello professionale,funzionale e politico, ma ciascuno può ritrovarcisi per la propria parte.
E qui si apre il discorso della "cultura religiosa" nella scuola, che non pare essere solo l'insegnamento della storia delle religioni (poco praticabile in una realtà multietnica) o la conoscenza per sommi capi delle rispettive dottrine .La storia delle  Religioni è diversa, a seconda della nazionalità e della fede di chi la racconta. Un  tale insegnamento, temo, sarebbe fonte di ulteriori e più gravi contrasti in un contesto multi-etnico e multi-religioso. Pensando alle tre religioni monoteiste (impropriamente ricomprese sotto la definizione di "abramitiche), cioè Ebraismo,Cristianesimo e Islam, occorrerebbe puntare alla conoscenza dei loro fondamenti, ed in particolare dei fondamenti comuni. Dall'analisi dei fondamenti, occorrerebbe risalire a valori etici "globali", universali, riconoscibili e riconosciuti, utili a ridimensionare le fonti del contrasto teologico-dottrinale, (strumentalizzato a livello politico) in favore di un arricchimento etico e spirituale reciproco fra le diverse comunità di fede. Ma senza confusioni o mistificazioni ,fra valori inconciliabili e substrati teologici antitetici.
E' solo un mio parere, per quel che vale: il discorso di Kofi Annan, premio Nobel per la Pace, tenuto il 12 dicembre 2003 all'università di Tubingen,avente per titolo "Esistono ancora dei valori universali?",proprio perché oggetto di opposte valutazioni, poteva essere uno spunto di riflessione anche  per il mondo della scuola. E correlazioni conseguenti sull’intercultura e sull'etica .
Invece mi è sembrato, in gran parte, una delle tante occasioni perse. Non perdiamone altre,  per ripensare il rapporto fra religioni,culture e scuola pubblica, e, di conseguenza riformulare  indicazioni, programmi, curricoli e quant'altro. Perché una  crisi di nuovo genere coinvolge il mondo intero. Ci sono ,come sempre, scontri fra potere economici .Ma non solo. Le persecuzioni e le guerre di religione, dalle pagine dei libri di storia,sono tornate  nella cronaca dei nostri giorni. Di ogni giorno. E sono diventate le più incivili fra le guerre civili in atto.