La difficile situazione in cui si trova il sistema politico italiano sulla questione della legge elettorale è stata discussa ieri sera al convegno “La Casta politica e la nuova legge elettorale. Quale democrazia in Italia”, organizzato da Magdi Allam, con la presenza dello storico e politologo Giorgio Galli e di un folto pubblico, a Milano.

I lettori de L’Indipendenza sono sensibili al tema, soprattutto nella incerta prospettiva del voto che ci sarà tra pochi mesi per le Politiche 2013, per cui cercherò di riassumere il mio intervento in poche righe, partendo da alcuni richiami alla storia recente e da una premessa che è la seguente: la legge elettorale è il fulcro di tutta la politica e determina la dinamica tra le parti, in questo senso vale molto, molto più della stessa Costituzione e dei suoi 138 articoli, visto che è l’architrave del sistema politico. Nella nostra democrazia rappresentativa la legge elettorale compie anche l’operazione di selezione dei rappresentanti, gli eletti in Parlamento, cioè compone la “Casta politica”. La legge elettorale contiene la regola di accesso al potere (legislativo e esecutivo), quella che una volta con la monarchia sabauda, si chiamava legge di “successione al trono”.

Tutto ciò che ruota intorno alla legge elettorale è decisivo, per cui le vicende di questi ultimi decenni sono da rivedere con attenzione per capire l’attuale dibattito, altrimenti incomprensibile, con un richiamo al politologo Giovanni Sartori che ha definito (Corriere, 11 settembre) i vari passaggi delle riforme istituzionali e politiche dal 1948 ad oggi. Sartori scrive che la proporzionale ha funzionato bene fino alla caduta del muro, dopo di che la frammentazione ha incrinato la base di sostegno dei governi; la soluzione poteva essere una soglia di sbarramento al 5% come in Germania, invece nel ’93 è stato fatto il “mattarellum”, il maggioritario all’italiana, determinando cosi l’emergere di due “stelle”, due figure politiche come Prodi e Berlusconi. Il passo successivo è stato un deciso peggioramento introdotto nel 2005, con la legge 270, il “porcellum”, fatto per esaltare la dinamica competitiva tra le due “stelle”.

Sartori ricorda le “primarie plebiscitarie” (inventate dal fidato Arturo Parisi per supplire al fatto che Prodi non disponeva di un partito di sostegno) e ripropone l’ultima intervista rilasciata da Prodi al Corriere (3 settembre), nella quale si chiede a che servirebbe chiamare il popolo di centrosinistra a scegliere il candidato premier se poi la formula proporzionale, oggi in discussione al Senato, delega la trattativa tra le forze politiche a dopo le elezioni. Il commento di Sartori è caustico, da buon toscano: Prodi capisce poco o niente di costituzionalismo.

Il punto è, non che Prodi sia inadeguato, che il sistema italiano è un sistema parlamentare, dove per definizione i governi sono stabiliti dopo le elezioni, con i risultati del voto in mano. Quindi tutta la retorica del vincitore che governa subito è campata per aria. Sartori dice che il “porcellum” ha messo i nomi dei candidati premier sulle schede snaturando il sistema, in uno pseudo presidenziale, formando così un “bastardo costituzionale”, per cui si augura che sia l’ultima volta. A ben vedere quasi tutte le varie soluzioni che si sono succedute nel tempo, sono state maldestre o mezzi di manipolazione del consenso. Certamente è stato così con il “mattarellum”, poi degenerato nel “porcellum” preceduto e accompagnato dalle primarie, quelle che Sartori chiama “primarie plebiscitarie”.

Aggiungerei una considerazione: il 16 ottobre 2005 l’Unione-Ulivo ha incoronato Prodi, con una gara, è evidente, che è stata decisa a priori, falsata nella scelta dei candidati. Prodi contro Bertinotti e Mastella, come dire: una moto da corsa contro delle biciclette. Quel giorno la sinistra è riuscita a muovere oltre 4 milioni di persone, chiedendo anche dei soldi ad ogni votante. Prodi è diventato il premier vincendo le elezioni 2006, per un pelo, poi ha fatto un governo che ha ricompensato quei poveri elettori con delle (bastonate) tasse. Stesso schema, a parti invertite nel 2008.

Vorrei richiamare l’attenzione sulla sequenza degli avvenimenti, sulle coincidenze temporali, che appaiono molto interessanti: la sinistra imposta le elezioni politiche del 2006 un anno prima, a giugno del 2005, indicendo le primarie per il Capo-coalizione. Solo che non c’è ancora la legge che ne prevede la figura, anzi, non è stata nemmeno pensata, la maggioranza parlamentare di centro destra è ancora lontana dall’idea di formalizzare tale figura. Giusto un mese prima delle primarie, a fine settembre, il problema viene risolto dal centro destra che compie proprio quel passo: l’UDC propone lo schema del capo-coalizione con il “porcellum”, quello che verrà attribuito a Calderoli.

Berlusconi è contento, perché crede che la nuova legge sia fatta per lui. I parlamentari pure, visto che le liste bloccate accontentano tutta la “Casta politica”, da destra a sinistra. Dopo pochi mesi, il Cavaliere perderà la maggioranza a causa di quella nuova legge, in più con la beffa dei 24mila voti, un’inezia, che dimostrerà quanto sia insicuro tutto l’apparato di conteggio dei voti in Italia.

In conclusione, l’attuale legge 270 non è solo un “bastardo costituzionale”, come dice Sartori, è un incrocio degenere di interessi sotterranei della Casta, dove destra e sinistra si confondono, in un intreccio perverso ai danni dei cittadini espropriati della loro sovranità. Oggi il dibattito sulla nuova legge apparentemente sembra fermo su un punto: preferenze o collegi uninominali. Possibile che su un dettaglio tecnico di questo genere si fermi tutto per mesi? Evidentemente è un pretesto. Se il PD, con Bersani, costruisce una linea Maginot su un dettaglio come le preferenze, sfoggiando un insolito antagonismo con UDC e PDL, vuol dire che si è arrivati alla commedia, al gioco delle parti per tirare tardi e non fare nulla, per tenersi il sistema attuale.

Come hanno fatto con le riforme istituzionali, quelle che dovevano ridurre il numero dei parlamentari e introdurre qualche altro correttivo per rafforzare il governo, arenate alla 1° commissione della Camera. PDL e Lega in Senato, a luglio, avevano forzato la mano approvando una versione raffazzonata con il semipresidenzialismo, idea già morta prima ancora di camminare. Il problema è che non sono disposti a fare alcun miglioramento, esponendo le prossime elezioni al rischio di una clamorosa protesta popolare che può trovare spazio nelle forze “anti-Casta”, come il M5S di Grillo, che avranno a portata di mano un insperato premio di maggioranza alla Camera. In questo modo, come sostiene Giorgio Galli, si procede a piccoli passi verso il baratro, in una situazione pericolosamente simile a quella che precedette la rivoluzione francese.

Con i partiti in agonia, potrà succedere di tutto.