Esattamente sette mesi fa, a gennaio, un giovedì sera salivano al Colle i presidenti di Camera e Senato, per concordare con Giorgio Napolitano gli sviluppi dell’attività parlamentare, dopo la bocciatura della proposta di referendum sul “Porcellum” attuata dalla Corte Costituzionale. Come al solito, al termine c’è un comunicato, che recita

“…Si è espressa la comune convinzione che tocchi alle forze politiche e alle Camere assumere rapidamente iniziative di confronto concreto sui temi da affrontare e sulle soluzioni da concertare. In particolare, alla luce della sentenza emessa dalla Corte Costituzionale nel rigoroso esercizio della propria funzione, è ai partiti e al Parlamento che spetta assumere il compito di proporre e adottare modifiche della vigente legge elettorale secondo esigenze largamente avvertite dall’opinione pubblica.

Bene, visto che la situazione sulla legge elettorale, dopo che il tentativo dei referendari è andato a vuoto, era oggettivamente imbarazzante. La valanga di firme raccolte contro una legge ritenuta iniqua è un segnale da non sottovalutare, da prendere molto sul serio, come testimoniano le parole ufficiali. Dopo di che è iniziato un tormentone.

Però occorre fare un passo indietro, al novembre 2011, quando c’è stata una rilevante modifica nella Costituzione “di fatto”, con la variante di una forma di presidenzialismo finora sconosciuta, che si potrebbe definire come “presidenzialismo bonario”, in risposta ad un periodo di debolezza del Parlamento, caratterizzato da una partitocrazia in lento disfacimento.

Napolitano sta gestendo questa situazione certamente con equilibrio, se confrontato con un suo predecessore, quel Oscar Luigi Scalfaro che ancora oggi fa drizzare i capelli in testa a molta gente, a destra e a sinistra.

Va detto che in questi sette mesi di esercizio del presidenzialismo bonario non c’è stato alcun apparente vantaggio, un miglioramento o un passo avanti. Segno che le riforme istituzionali, anche quelle che non hanno una scrittura formale, di per se servono a nulla.

E’ certamente così se i politici continuano imperterriti a fare quello che facevano prima: cioè ben poco per il Paese. Una nuova legge non cambia di certo la mentalità e rende i comportamenti più virtuosi. Magari fosse così, che bastasse stampare qualcosa sulla Gazzetta Ufficiale per cambiare le cose in Italia.

L’esempio della legge elettorale è eclatante. Nell’autunno del 2005, il centro destra aveva studiato una “legge furto” della sovranità popolare, legge subito denominata porcellum, che in pratica si è dimostrata un disastro e che ora è un cappio al collo del PDL, con buona pace dei suoi dirigenti che in questi anni si sono prodigati in auto-elogi per l’opera compiuta.

Da non essere oggi nei panni di Berlusconi, accerchiato da una corte di bravi e ballerine, incalzato da affamatissimi satrapi che reclamano posti e prebende, con il cappio di questa legge che si stringe ogni giorno sempre di più, che gli tocca scendere ancora in campo per fare la parte del perdente. Una pena assai pesante per l’errore fatto nel 2005, che poi come ha ammesso Roberto Calderoli, per buona parte è imputabile all’UDC di Casini e a Gianfranco Fini.

Il costituzionalista Michele Ainis ha contato i moniti di Napolitano in questi mesi, almeno otto, più quello recentissimo, fatto al termine delle sue ferie a Stromboli, fanno un totale di nove. Si ricorda che ad aprile tutto sembrava stabilito, invece poi nulla, l’8 giugno Alfano e Bersani si erano impegnati a varare la nuova legge in venti giorni, invano, il 9 luglio Schifani ha annunziato il testo in dieci giorni (si rimanda il commento ai precedenti articoli su questo giornale).

Invece che cosa hanno fatto in Parlamento? Tutto l’opposto, al Senato hanno varato una riforma costituzionale sul semi-presidenzialismo, da molti ritenuta sgangherata, per il modo stesso con il quale è stata realizzata tramite emendamenti presentati nel dibattito in aula. Questo colpo di coda del ex-centro destra (PDL, responsabili e LEGA) è stato giustificato in nome di una riforma necessaria, che però di fatto esiste già, come si è visto prima.

Anche questa riforma finirà in una bolla di sapone e intanto il tempo passa, la crisi morde e le risorse pubbliche svaniscono.

L’agonia del sistema dei partiti è evidente proprio in questi comportamenti, da scolari birbanti un po’ dispettosi, dove tutto serve per mantenere inalterato lo status quo, rappresentato da un sistema come il Porcellum, gestito direttamente da loro.

Ben venga questo temporaneo periodo di presidenzialismo bonario, se serve a uscire in modo dignitoso da questo cul de sac e restituire il maltolto agli italiani.