Sabato, 13 luglio. Trascorro la mattina in viaggio, l’aria condizionata quasi non ce la fa contro l’afa estiva della bassa padana. Arrivo a destinazione, sono oramai passate le due del pomeriggio. Stanco e provato dalla calura, entro nella stanza d’albergo, mi stendo sul letto ed accendo la TV per sentire il telegiornale. A quell’ora il caval donato si chiama TeleKabul, pazienza, non c’è altro.

Solite soporifere cronache di politica interna, più efficaci di un flaconcino di Valium ingurgitato tutto d’un fiato, sto quasi per cadere tra le braccia di Morfeo quando l’immagine della Boldrini mi risveglia bruscamente. Già intuisco il contenuto del servizio, ma vado avanti.

La presidente della Camera è super partes non meno del mai rimpianto predecessore, la cui differenza è soltanto di genere. La sua missione è l’introduzione dello ius soli, fa niente se la stragrande maggioranza degli italiani la ritiene una porcata, fa niente se ci dibattiamo in una crisi economica che definire grave è un eufemismo, fa niente se la criminalità alloctona sta per superare mafia e camorra.

Instancabile nel suo presenzialismo, la pulzella di Macerata si reca nel compiacente comune cattocomunista di Lamezia Terme per partecipare all’inutilissimo conferimento della cittadinanza onoraria ad alcuni adolescenti extracomunitari. Evento che ripropone il solito ridicolo cliché di palco, sindaco, prelati ed autorità varie in prima fila, ricchi premi e cotillon. Inutilissima cerimonia, ma ribalta  garantita. A spese dei cittadini di Lamezia Terme, del budget della Camera e degli abbonati RAI, naturalmente. Proseguo nella visione di Telekabul. Il significato è cambiato, ma non il nome. Ai tempi del comun istone Curzi indicava una città ove l’oppio dei popoli era stato totalmente sradicato, oggi è la stessa città, ma vi si coltivano tonnellate di oppio sia vegetale che metaforico. Da rossa che era, Kabul è diventata verde, come il TG3.

Torniamo al servizio televisivo. Reso il doveroso omaggio all’imponenza fisica e morale dell’affascinante pulzella di Macerata, le telecamere riprendono adolescenti figli di extracomunitari esultanti come i bambini dell’oratorio (di una volta) all’arrivo del vescovo. Le adolescenti, almeno quelle inquadrate, sono tutte islamiche e, nonostante la giovanissima età, sono completamente infagottate dalla testa ai piedi. Tempo fa il rettore dell’università di al-Azhar, noto come il “papa islamico”, aveva sancito la non obbligatorietà del velo, ma evidentemente i genitori delle devote hanno raggiunto un così elevato stadio di italianità da dimenticare completamente la loro lingua madre.

A dimostrazione della oramai totale ed irreversibile integrazione, le neocittadine onorarie intonano l’inno di Mameli. Lacrimucce di anime belle, quindi il cameraman riserva l’inquadratura al solo coro delle infagottate. In quel momento, mentre esse cantano “le porga la chioma”, viene raggiunto l’apice del fantozziano.

Che crudeltà costringere quelle povere innocenti ad evocare immagini così trasgressive, sono sicuro che la sensibile presidenta d’Arco-Boldrini predisporrà immediatamente un taglio definitivo alla chioma della Vittoria.

Ma ecco le immagini che più mi hanno lasciato allibito. Le adolescenti, già  abbondantemente infagottate onde evitare impure tentazioni, sono persino avvolte nella nostra bandiera, che così contribuisce assai efficacemente alla prevenzione del vizio ed alla promozione della virtù. Addirittura, una delle coriste porta una banda tricolore fissata sopra l’hijab.

No,questo è inaccettabile. Il nostro drappo, per quanto brutto e scopiazzato da quello transalpino, non può essere utilizzato per dare la cittadinanza (sia pure onoraria) ad un mezzo di oppressione. Per quanto brutto e scopiazzato, il nostro drappo è simbolo di lotta per le libertà, di tutte le libertà. Per quanto brutto e scopiazzato, il nostro drappo rappresenta la nostra Italia, i nostri Valori, la nostra Cultura.

Il nostro drappo deve sventolare libero, non fare da ornamento statico su un simbolo e strumento di sottomissione che mai ci è appartenuto.

Ironia della sorte, sabato 13 luglio mi trovo a Reggio nell’Emilia, culla del Tricolore.

Ironia della sorte, sabato 13 luglio mi trovo a Reggio nell’Emilia, culla di quel comunismo che ha infestato l’Italia sino alla caduta del Muro ma che, pur moribondo, è ancor oggi capace di assestare devastanti colpi di coda.

Sì, perché certa sinistra è come il virus HIV: muta d’aspetto, ma non nella pericolosità. Persevera disperatamente nello scellerato proposito di distruggere l’Occidente. Se non vi riesce in proprio, ricorre al conto terzi.

Domenica, 14 luglio. La ricorrenza di una pietra miliare nel cammino verso la società dei Diritti è passata senza il minimo risalto mediatico. Quale giornalista si occuperà mai della triste sorte di un pezzo di stoffa che, al massimo, ritrova dignità solo negli stadi e negli autodromi?