SILVANA DE MARI - Il mio corpo è mio, hanno starnazzato le isteriche galline del movimento di liberazione femminile, senza capire che millenni di regole sulla sessualità servivano proprio a evitare la tentazione dell’uomo a non spaccarsi la schiena per proteggere e sfamare la sua donna e i suoi bambini.
Mi interrompo per spiegare un passaggio fondamentale. Il femminismo ha avuto due parti, il movimento di emancipazione femminile e il movimento di liberazione. Spesso confusi l’uno con l’altro questi due movimenti sono assolutamente antitetici. Il movimento di emancipazione era un onesto movimento che voleva diritti civili, pari opportunità e il diritto di gestire la propria sessualità. Era un movimento che chiedeva che prima di tutto si fosse una persona, e poi un uomo o una donna. Era basato sull’amore, l’amore per se stesse, per gli uomini, per la vita, per il mondo.
Il movimento di liberazione è stato un movimento basato sull’odio, sull’odio isterico per i maschi, per la vita, per la maternità, la civiltà ebraico-cristiana, il mondo occidentale e soprattutto per se stesse. Con un pensiero analogico, basato cioè non sulla logica ma sull’analogia, sull’assonanza, sulla somiglianza, l’Occidente è equiparato alla forza e quindi al maschio prevaricatore e ha torto sempre e a prescindere, e tutto quello che non è Occidente –Africa, Asia, indiani d’America, eschimesi, indios – è debole e quindi equiparato alla femmina sfruttata e in quanto debole automaticamente al di sopra delle critiche.
Una comprensione distorta delle tesi antropologiche di Lévi-Strauss porta alla paralisi del giudizio davanti a qualsiasi crimine commesso contro le donne o contro chiunque altro nelle civiltà extraeuropee. Il movimento di liberazione femminile porta all’estremo il concetto sessantottino di moralizzazione della debolezza. Chi è forte ha automaticamente torto. I perdenti e gli sconfitti sono automaticamente buoni. Qualunque dittatore africano, gli entusiasti delle mutilazioni genitali femminili, i lapidatori delle adultere e i propugnatori del matrimonio di bambine di otto anni, nell’ottica del movimento di liberazione femminile, sono la parte debole del mondo e quindi «femminili» e non criticabili.
L’odio del movimento di liberazione femminile per l’ebraismo e il cristianesimo è assoluto. Tutte le altre religioni sono al di sopra di qualsiasi giudizio e chi se ne permette uno viene tacciato non solo di razzismo, ma di fallocrazia. Le appartenenti al movimento di liberazione femminile hanno portato i loro deretani inguainati in mutande di cotone rigidamente senza pizzetto a scodinzolare davanti a Khomeini, in quanto leader che si opponeva alla fallocrazia borghese occidentale. Chiunque sia andato in piazza a bruciare il reggiseno era una persona con una gravissima dismorfofobia e alterazione dell’io corporeo, quasi sempre anche con disturbi alimentari; individui che, cito testualmente, hanno ritrovato il senso del loro esistere dialogando con la loro vagina.
Dopo mezzo secolo di dialogo ora difendono a spada tratta il diritto della donna islamica a portare il burqa a essere lapidata. Nessuna contraddizione: la base di tutto questo è l’odio di sé. Distratti a fare idiozie invece che a essere un uomo e una donna, cioè un padre e una madre, abbiamo permesso il crollo della natalità, una crisi demografica ben più grave di quella della peste del ’300. Grazie all’immigrazione e alla maggiore natalità islamica rischiamo la libanizzazione, cioè di diventare una minoranza in una maggioranza islamica nel giro di mezzo secolo.
Inoltre la mancanza di aggressività maschile porta alla mancanza di difesa del territorio: il territorio fisico, il suolo dell’Europa, e quello ideologico, la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo, che, per universale ammissione dall’ONU e della Comunità europea, non può essere considerata superiore alla shari’a. Le periferie in fiamme, gli atti di terrorismo di Londra e Madrid, l’assassinio di Theo van Gogh, l’atroce attentato di Tolosa, tutti episodi di cui sono protagonisti musulmani in Europa da due o tre generazioni, dimostrano come questi maschi eunuchi privi dell’istinto della difesa del territorio abbiano permesso l’ingresso di una minoranza non integrabile, storicamente nemica, che grazie alla maggiore natalità sarà maggioranza entro breve.
Davanti alle periferie in fiamme, ai quartieri dove i «bianchi» non entrano se non a loro rischio e pericolo, il momento è venuto di discutere su questa Europa ubriaca di idiozie che sostiene che una nazione accuratamente divisa in ringhiose minoranze, ognuna rinchiusa in un vittimismo pari solo all’aggressività, possa portare da qualsiasi parte
che non sia una guerra civile permanente e assoluta. La crisi economica avanza: non siamo in grado di garantire nessun lavoro a nessuno, nessuna vita decente a nessuno. Chi dice una menzogna bellissima, è uno che mente.
Chi dice una verità terribile, come Gandalf, sta dicendo la verità. Il multiculturalismo può portare alla distruzione dove sia mal gestito: dove non esistano valori forti comuni già in origine e dove i numeri delle minoranze siano troppo alti, non può essere ben gestito. Le incompatibilità di civiltà diverse, se sono strutturali, non si superano con la buona volontà. Sarebbe bello se fosse possibile, ma non lo è. Possiamo andare per strada e organizzare feste a base di banchetti etnici e questo è bellissimo, ma deve succedere solo tra persone che già si sono accordate sul valore assoluto della libertà delle donne a scegliersi la vita e il compagno, sui diritti degli omosessuali, sul divieto della poligamia, sul dovere di tutti di partecipare allo Stato: dovere di sopportare che la polizia commetta un omicidio e di aspettare il verdetto dell’inchiesta che ne segue, dover sopportare che vi siano periodi di recessione economica. Se questo accordo non c’è, allora la festa di quartiere è un paravento per nascondere la guerra civile che alla prima occasione esplode perché i valori comuni non ci sono.
Lo Stato nazionale rischia di morire ucciso da un ritorno al tribalismo. In un’Europa in crisi economica, per i nuovi venuti ci sono risorse sempre più limitate: questo ingigantisce l’odio. Chi ha alle spalle una cultura di tipo medievale difficilmente riuscirà a raggiungere una buona posizione economica in una generazione sola, possibilità invece più facile per gli immigrati indiani e dell’Estremo Oriente. Non perché il primo sia discriminato su base razziale, ma perché occorre del tempo. E fatica. E pazienza. E fede nel sistema. L’odio è una scorciatoia più facile e ovvia.
L’Europa in balia della crisi economica non è più in grado di accogliere nessuno. L’Europa è già multietnica, molto più multietnica di qualsiasi altro continente. Era già multietnica: si era formata dall’unione di romani, ostrogoti, visigoti, greci, mongoli, che si sono fusi con infinita fatica nel Medioevo grazie a secoli di lacrime, terrore e sangue, e grazie alla comune fede cristiana, con una minoranza ebraica sempre culturalmente forte. Dove non ci sia il collante di una fede religiosa condivisa, o di un’appartenenza agli stessi valori, non basteranno millenni di lacrime e sangue. Perché sprofondarci in un nuovo Medioevo senza via di uscita dovrebbe renderci migliori? Una volta che noi saremo crollati, non avremo più una terra e i dissidenti delle dittature islamiche avranno perso la loro unica speranza. Non possiamo crollare.
Nessuna terra può sopravvivere a un’immigrazione massiccia di persone che non ne condividono i valori, ma che li odiano. Questi maschi amputati dell’aggressività dal movimento di liberazione femminile, i figli del '68, hanno fatto alle loro donne il più atroce dei doni, la più terrificante delle violenze. Hanno rubato loro il futuro. Gli uomini sono più aggressivi: questa realtà dal ’68 in poi è negata. Per la terza volta nel giro di cento anni, l’uomo corregge Dio, o madre natura, o l’evoluzione, che ha
sbagliato. Il nazismo aveva corretto l'ingiustizia che non fossero tutti biondi, il comunismo che non fossero tutti poveri, e il '68 che non siano tutti perdenti, creando questo uomo eunuco, sfigato e perdente, che dimostra il suo valore nelle pubblicità solo nell’uso dei detersivi.
E torniamo alle fanciulle, la libertà è difficile e soprattutto presuppone la capacità di rifiutare. Molte ragazze non ce l’hanno. Una sessualità usa e getta è stata imposta alle donne: in cambio il dono supremo, la libertà di aborto. E ora l'ultimissimo dono: un esercito di mujahidin, la parola araba per indicare il tipo etnico rappresentato al 90% nell'immigrazione: maschio islamico in età militare, cioè tra i 15 e i 45 anni. In Romagna stanno per creare vagoni sui treni per sole donne così che corrano meno rischi. Nella civile Svezia è diventato un pericolo frequentare le piscine. Ringraziamo commosse il movimento di liberazione.