E’ iniziato il conto alla rovescia. Il prossimo 3 novembre, il 40% delle azioni di Poste Italiane S.p.A. verrà quotato in Borsa secondo quanto deliberato nell’Assemblea degli Azionisti del 31 luglio 2015.
Da questa nefasta operazione, il Tesoro cercherà di incassare, nella migliore delle ipotesi, circa 4 miliardi di euro.
Si potrebbe dire dunque: “Nulla di nuovo all’orizzonte!! È l’ennesima privatizzazione, l’ennesima svendita di Stato, l’ennesima cessione di controllo e sovranità realizzata da un Governo che chiaramente lavora non per il proprio Paese, ma solo ed esclusivamente per il potere finanziario!”
Ed invece no. Stavolta è peggio. Molto peggio. Tra le società partecipate al 100% da Poste Italiane c’è una banca, l’unica banca pubblica ancora presente in Italia. Il Medio Credito Centrale è infatti totalmente di proprietà pubblica (100% di Poste Italiane S.P.A) e dunque la privatizzazione delle Poste comporterà anche l’ingresso di soci privati all’interno della banca.
Viene così a cadere anche l’ultimo bastione pubblico presente nel mondo della finanza italiana.
Ma perché è vitale per un Paese avere non una sola, ma un sistema di banche pubbliche?
Perché attraverso una banca pubblica, come poteva essere il Medio Credito Centrale o attraverso la nazionalizzazione di altre banche commerciali, è possibile ricevere il denaro in prestito dalla BCE al tasso attuale dello 0,05%, secondo quanto stabilito dall’art. 123 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea.
La banca pubblica potrebbe dunque svolgere, in modo completamente autonomo ed in assenza di qualsiasi misura coercitiva, il ruolo di prestatore di ultima istanza nei confronti dello Stato.
Infatti, attraverso il denaro messo a disposizione della banca pubblica (nel caso specifico il Medio Credito Centrale), questo può acquistare in asta primaria tutti i titoli di Stato che il Ministero dell’Economia e delle Finanze non riesce a collocare sul mercato, offrendo tassi d’interesse prossimi allo zero, ma leggermente superiori allo 0,05% .
E’ quindi oggi possibile per lo Stato italiano accedere attraverso il MCC alla liquidità della BCE, comprimere i tassi passivi sul debito e collocare lo stesso a condizioni ben più vantaggiose, visto che oggi paga annualmente circa 70 miliardi d’interessi passivi sul debito pubblico. Per chi non avesse ben compreso, qui stiamo parlando di come “trovare” non due o tre miliardi mediante l’Imu e la TASI, con qualche demenziale privatizzazione (leggasi Poste Italiane S.P.A) o risparmiando sulla sanità, le scuole o le infrastrutture; stiamo spiegando come è possibile risparmiare decine di miliardi l’anno sugli interessi che da decenni lo Stato italiano paga a investitori esteri, banche ed investitori italiani.
Nell’arco di circa 7 anni, tutti gli interessi sul debito italiano verrebbero a ridursi enormemente, scendendo al di sotto del tasso d’inflazione, permettendo un risparmio di 70 miliardi di euro l’anno, realizzando quella repressione finanziaria in grado di ridurre progressivamente il debito, senza dover ricorrere a politiche deflazionistiche come l’Austerity e Patrimoniali.
In pratica, se il debito pubblico venisse man mano rifinanziato tramite prestiti diretti di banche pubbliche (che hanno accesso al finanziamento della BCE, smettendo di emettere BTP), il suo costo non verrebbe più determinato dal mercato finanziario e si tornerebbe ad una condizione pre-1981, quando il costo del debito pubblico non era un problema perché era costantemente pari o inferiore all’inflazione.
Col tempo, lo stock di debito si ridurrebbe progressivamente.
Questa sopra descritta non è la soluzione ideale, ma è una valida alternativa, realizzabile immediatamente, per risolvere radicalmente i problemi legati al debito ed all’interesse che hanno portato l’Italia in depressione e l’hanno così esposta al ricatto dei mercati finanziari.
Questo sistema è già utilizzato in Europa da Francia e Germania che attraverso le loro banche pubbliche mantengono efficacemente sotto controllo i tassi d’interesse.
Questa proposta di soluzione di riduzione del debito, nasce dagli scritti del prof. Richard Werner e di Worren Mosler, secondo i quali è possibile utilizzare la banche commerciali per finanziare il debito statale.
Le banche possono finanziare lo Stato perché l’investimento in titoli di Stato è considerato l’investimento meno rischioso tra tutti, al punto che non richiede alle banche capitale o riserve addizionali.
Sulla base di questo meccanismo di finanziamento attraverso le banche pubbliche, si otterrebbero innumerevoli benefici:
1- Si eliminerebbe una volta per tutte lo spettro del default;
2- Si otterrebbe un risparmio di decine di miliardi l’anno, che aumenterebbe col passare degli anni;
3- Si potrebbero finanziare programmi di riduzione reale delle imposte a vantaggio di famiglie ed imprese;
4- Si potrebbero realizzare piani di investimento a tassi agevolati per specifici settori industriali strategici.
Gli italiani devono rendersi conto che non è vero che “non si può fare niente” contro il peso del debito pubblico e delle tasse a causa dei trattati firmati e delle posizioni degli altri governi all’interno delle istituzioni europee. In realtà, un governo italiano competente e che abbia a cuore gli interessi nazionali invece che del “mercato finanziario” potrebbe muoversi anche all’interno dei trattati europei.
Questa operazione di privatizzazione delle Poste risulta invero demenziale; si raccoglieranno 4 miseri miliardi sul mercato ma nel contempo, si rinuncerà alla possibilità di poterne risparmiare svariate decine ogni anno mediante la compressione dei tassi passivi sui titoli di Stato.
La realtà è che purtroppo siamo governati da una manica di incapaci, incompetenti, che piuttosto che sulla Costituzione, han giurato fedeltà al sistema finanziario e bancario.