Tempo fa ricordo di aver letto con una certa avidità un saggio del bravo Roberto Artoni, pubblicato nel volume “Storia economica d’Italia” a cura di Pierluigi Coccia e Gianni Toniolo, nel quale , pur tra mille difficoltà, l’autore cercava di fornire una interpretazione all’evoluzione del debito pubblico italiano.

La tabella utilizzata per lo studio è quella di seguito riportata:

Dalla tabella si parte dal’anno 1885 con un rapporto debito/Pil al 99.3% e si arriva al 2000, alle soglie dell’entrata in vigore dell’euro, con un rapporto pari a 110.6%.

Si individuano abbastanza facilmente quattro periodi di forte incremento del debito :

- dal 1887 al 1902;

- dal 1919 al 1925;

- dal 1942 al 1943;

- dal 1981 al 2000, ma potremmo tranquillamente considerare questo ultimo periodo ancora in essere ,giacché ad oggi, il nostro rapporto debito/Pil è al 124% circa.

La spiegazione che viene fornita in relazione alla prima crisi di finanza pubblica, che raggiunse l’apice nel 1897 con un rapporto debito/Pil di 117, è quella di far riferimento alle spese militari sostenute per finanziare le imprese coloniali che determinarono una crescita del Pil praticamente nulla ed un costo medio del debito pubblico fermo al 4% .

La seconda crisi della finanza di Stato, la si ebbe a seguito della partecipazione alla Grande Guerra ; il rapporto debito/Pil salì fino a toccare il record storico del 1920 con un valore paria al 160 %.

Solo a seguito dell’eliminazione dei debiti di guerra e della forte diminuzione del debito privato, fu possibile superare la seconda crisi e riassestare la finanza pubblica nel 1926, con un rapporto debito/Pil pari a 51.

L’entrata in guerra al fianco della Germania comportò l’innalzamento del debito negli anni 40 cui seguì un periodo di forte inflazione, che dopo la caduta del regime fascista, determinò una rapida correzione del rapporto debito/Pil tanto che giunse al 40% nel 1946.

A partire dal 1981 ed in modo sempre crescente fino al 1991, anno della crisi valutaria che grazie alla svalutazione della lira, il debito pubblico iniziò una dinamica che col passare del tempo l’avrebbe portato a sottrarre dalla ricchezza nazionale una percentuale di spesa per interessi vicina al 12% del Pil annuo(tale tendenza è destinata a rafforzarsi nel tempo).

Lo studio si conclude però in modo abbastanza inquietante dopo 70 pagine di cifre, dati e tabelle dicendo:“l’interpretazione del periodo che va dal 1974 al 1994 è il problema veramente aperto”.

Insomma, d’accordo che non si è riusciti a delineare uno schema di fondo unitario per la spiegazione della dinamica del debito, considerate anche le attenuanti concesse per la difficile interpretazione dei dati almeno fino agli anni 30, ma qualcosa evidentemente sfugge alle logiche interpretative dell’economia classica se si ammette di non essere riusciti a comprendere come e perché si sia formato un debito pubblico crescente nell’arco di pochi decenni.

A questo punto, mettiamo in soffitta la laurea di economia, i corsi di specializzazione e cerchiamo di ragionare in termini di teoria monetaria. Liberiamoci il cervello dalle chiacchiere televisive, dai talk-show tutti uguali e tutti ugualmente inutili e cominciamo a cercare soluzioni interpretative alternative.

Al solito per ragionare , usiamo numeri e tabelle, in questo caso dal 1990 al 2008:

fonte.www.cobraf.com

Al 2008 avevamo un debito pubblico consolidato ( quindi comprensivo di ogni apparato pubblico) pari a 1.663.353.000 euro; se a questo sommiamo la spesa per interessi dovuta per gli anni 2009, 2010, 2011 ( supponiamo pari a 80 miliardi) e la quota parte del 2012 , il risultato sarà:

1.663+80+80+80+40= 1.943 miliardi di euro.

Questa cifra, calcolata a spanne, ma con valori realistici ,non è troppo distante dal valore del nostro debito attuale ( circa 1.930 miliardi) e ci dimostra che il debito che oggi grava sul nostro paese è essenzialmente composto da spesa per interessi cumulati e non, come molti, forse troppi vogliono farci credere, dovuto a politiche di spesa pubblica senza freni.

Infatti, mentre il Pil è cresciuto dal 1990 al 2008 del 124% e la spesa pubblica totale è cresciuta di una percentuale del 106%, oggi ci troviamo con un debito pubblico sempre crescente; dunque, non è la spesa pubblica la componente da comprimere come stanno facendo Monti ed i suoi, ma l’interesse sul debito è il vero obiettivo da perseguire.

Non ci credete? ..allora come ci possiamo spiegare che negli ultimi anni le Entrate dello Stato superano le Spese ed il debito pubblico continua a salire; cioè, nonostante si realizzino Avanzi Primari di bilancio, il debito risulta incomprimibile.

Sia chiaro; questo non assolve la classe politica dall’averci condotto ad una tal situazione ed anzi, il non aver compreso la reale natura del debito è una aggravante alla loro già miserevole leadership.

Compreso ciò,ovvero che il debito pubblico oggi è sostanzialmente un debito per interessi, ci si domanda: perché tra lo stampare moneta ricomprando detto debito a costo zero e l’ imporre nuove tasse ed imposte alla popolazione, si è scelta la seconda via?

Perché nessuno spiega chiaramente alla popolazione che le tasse che paghiamo non vanno a favore di servizi e prestazioni sociali, ma quasi esclusivamente a rimpinzare i creditori dello Stato ovvero le banche e le grandi istituzioni sovranazionali detentori di BTP, CCT, CTZ e BOT.

Questa non è una mia bizzarra conclusione , quanto piuttosto il risultato cui è giunto anche uno studio dell’Agenzia delle Entrate, la cui risultante è che “ la spesa pubblica è logicamente e temporalmente distinta dalle tasse. Le spese determinano il reddito per le imprese, come per lo Stato. Le tasse non sono quindi un mezzo per finanziare la spesa pubblica già effettuata in precedenza.”

Infine, vorrei far notare che “casualmente”proprio il 15 agosto del 1971 Nixon sancì la fine degli accordi di Bretton Woods, di fatto abolendo la convertibilità della moneta in oro, sostituendoli con il principio della riserva frazionaria.

Perché fece ciò? Perché sulla base delle riserve auree statunitensi, il sistema della Federal Reserve avrebbe potuto stampare solo 10.000 miliardi di dollari, ma in realtà, nella tipografia Federale si fecero prendere la mano e ne stamparono 80.000; come a dire che 7 dollari su 8 non avevano alcun controvalore in oro, erano carta straccia insomma. Nella scelta tra far scomparire il dollaro ed abolire la riserva aurea, si scelse la seconda via e da allora tutte le banche centrali del mondo iniziarono a battere moneta senza aver il corrispondente deposito aureo a garanzia.

Da questa sciagurata decisione si è registrata una costante crescita del debito pubblico e privato che fino ad ora non ha ancora trovato una soluzione con il risultato strabiliante che ad oggi,tutti i paesi del mondo sono in debito.