Buongiorno amici. L’ufficio Studi della Cgia (Associazione Artigiani e Piccole Imprese) di Mestre ha appena pubblicato un’inchiesta in cui si attesta che solo nel 2018 circa 600 mila giovani tra i 18 e i 24 anni hanno abbandonato gli studi e nello stesso anno 62 mila giovani “cervelli”, ovvero laureati e specializzati, sono fuggiti all’estero.

La Cgia sottolinea che i giovani che abbandonano precocemente gli studi concorrono ad aumentare la disoccupazione giovanile, il rischio povertà e esclusione sociale. Aggiungo che la fuga dei nostri giovani più qualificati è uno dei sintomi più tangibili della crisi profonda e strutturale dell’Italia, perché si tratta della perdita della risorsa umana che potrebbe rilanciare lo sviluppo e garantire una migliore qualità della vita.

Questi due dati che concernono i giovani, l’abbandono degli studi e la fuga dall’Italia dei nostri “cervelli”, ci fanno toccare con mano il sostanziale fallimento della scuola sia per l’assenza di contenuti convincenti e di una didattica attraente, sia per l’assenza di un rapporto organico e incentivante con il mondo del lavoro. Di fatto questi due dati ci portano a concludere che la laurea equivale ad un pezzo di carta che non piace e non garantisce un posto di lavoro dignitoso.

Continuare a far finta di niente di fronte alla crescita dell’ignoranza, della disoccupazione, dell’impoverimento e dell’esodo dei nostri giovani, investendo nell’accoglienza di giovani stranieri che non hanno qualifiche e competenze professionali oltre a risultare incompatibili con la nostra civiltà, significa scegliere di suicidarci. 

Cari amici, il sistema scolastico, dall’asilo all’università, andrebbe riformato con la logica di offrire una conoscenza e un’educazione che si traducano nella certezza di un lavoro che corrisponda, da un lato, alle aspirazioni individuali, e dall’altro, alle opportunità lavorative in seno alla collettività. Aggiungo che sarebbe opportuno che le opportunità lavorative valorizzassero la specificità del tessuto produttivo della comunità dove si risieda, in modo da salvaguardare l’unità esistenziale della persona in seno alla propria famiglia, alla propria comunità, e all’ambito lavorativo.