Domani, lunedì 3 Giugno, alle ore 17,30, parteciperò nella mia veste di medico a Torino al Convegno “Epilogo del caso Englaro: nuove frontiere etiche? Confronto sulle estreme scelte a salvaguardia di noi stessi e degli altri nel rispetto dell’Essere umano. La Medicina di fronte alla sofferenza e alla morte”. Interverrà anche Ugo Tozzini, scrittore e opinionista. A moderare ci sarà Elettra Bianchi, critico letterario. L'incontro si terrà presso la Galleria d'Arte in Piazza Solferino 7.

Vorrei ancora parlare del caso Englaro.

In che veste?

Tutte.

Vorrei parlarne da essere umano.

Vorrei parlarne da figlia di una donna morta di sclerosi laterale amiotrofica.

Vorrei parlarne da madre, perché sono certa che se Eluana fosse stata mia, mi sarebbe bastato un suo battito di ciglia per saperla e considerarla viva. E se Eluana fosse stata mia e io fossi stata convinta di una sua non volontà di vivere, avrei avuto il coraggio di assumermi la responsabilità della sua morte indolore, non di scaricare la sua agonia sulla spalle di una nazione, costringendo questa nazione a un precedente dannatamente pericoloso.

Vorrei parlarne da medico.

Vorrei  parlarne da cittadino.

Il caso della signora Eluana Englaro è molto simile a quello della signora Terry Schiavo.

Anche la signora Terry era cerebrolesa, anche lei respirava autonomamente. Anche lei faceva le cose che fanno i cerebrolesi: girarsi quando qualcuno li chiama, sorridere alle carezza, un sorriso abbozzato certo, però riconoscibile, una smorfia, vaga anche questa, però riconoscibile, con cui si reagisce al dolore.

Terry Schiavo è stata fatta morire di sete e coma uremico. I suoi genitori volevano tenerla con loro, continuare ad accudirla, ma lei è stata riconosciuta come moglie e non come figlia, quindi ha deciso della sua vita il marito da cui si stava separando quando è morta.

Non ci sono fotografie dell’agonia di Terry Schiavo come non ci saranno fotografie di Eluana. Se vedessimo le foto delle loro labbra spaccate perderemmo di oggettività.

Scusate, come facciamo a essere oggettivi, se non vediamo le foto? Se non abbiamo la conoscenza visiva di quello che sta succedendo, come si fa a dare un giudizio oggettivo? Oggettivo vuol  dire basato sulla conoscenza. Vuol dire prendere visione.

Allora la dizione corretta è: non ci fanno vedere le foto, perché le foto sono atroci, e se vediamo le foto ci rendiamo conto della realtà oggettiva e cioè che è successo qualcosa di atroce.

Su Internet però c’è la cartella clinica della signora Schiavo: il quantitativo di diazepam (valium) che le è stato somministrato nei suoi ultimi giorni di vita è stato segnato.

Perché hanno somministrato diazepam? Per sedarla, e quindi deduciamo quanto sia stata necessaria una sedazione. Uno che non soffre non deve essere sedato. Uno che deve essere sedato sta soffrendo.

La signora Englaro è stata affidata a un anestesista, per lo stesso motivo.

Quindi parliamo di persone in grado di provare un dolore esprimibile, visto che è necessario il diazepam.

Quando noi affettiamo un vegetale, pomodoro, zucca, finocchio, lattuga, belga, peperone, non facciamo l’anestesia e non somministriamo diazepam. Perché? I vegetali non sentono nulla. Quando Eluana ha detto la frase “piuttosto che vivere da vegetale preferisco morire” intendeva dire: se mi riduco a un ammasso di cellule che non prova nulla, preferisco morire.

Non era il suo caso.

Io insisto: non siamo così bravi in neurologia da essere certi che la coscienza e il desiderio di vivere di Eluana siano completamente annullati, in compenso siamo certi che, anche in assenza di coscienza, la sua morte non sarebbe indolore. Allora, lasciamo perdere. Ma perché ci dobbiamo caricare di questa scelta?

Eluana era in stato vegetativo.

In stato vegetativo si soffre?

No.

E allora?

Eluana ha dichiarato a suo padre che avrebbe preferito morire. Dovrebbe essere ininfluente.

Da medico, anzi da chirurgo, mi è capitato di raccogliere volontà testamentarie. Prima di entrare in sala operatoria, arrivate d’urgenza, quindi all’improvviso, molte persone chiedono di fare testamento. Rapidamente, un medico scrive e un infermiere fa da testimone, o il contrario, il paziente firma e se succede qualcosa si spera che quel foglio abbia un valore perché, benché sia firmato e davanti a un testimone, può essere impugnato, perché è firmato dal paziente, ma non davanti a un notaio.

La legge, giustamente, sacrosantamente, prende in considerazione la volontà del cittadino, solo quando il cittadino l’abbia comunicata a un notaio, o perlomeno messa per inscritto davanti a un pubblico ufficiale. Soprattutto messa per inscritto. Se questo principio salta, avremo degli abusi apocalittici.

Dal punto di vista giuridico che venga ritenuta valida una volontà che Eluana non ha espresso per inscritto è di una gravità spaventosa perché potrebbe essere il precedente che può creare degli abusi spaventosi. Solo una magistratura molto creativa poteva avere l’idea di accettare un volontà espressa in maniera così superficiale e discutibile.

Ammettiamo questa volontà, facciamo finta che sia valida. Nel far sopravvivere Eluana violeremo la sua volontà. Pazienza. Non sarà né la prima persona né l’ultima di cui è stata violata la volontà, non è così grave.

Non ci siamo mai impegnati a rispettare la volontà di tutti. Non possiamo rispettare la volontà di non essere ammazzati di tutte le vittime di assassinio e incidenti stradali, non possiamo rispettare la volontà di non essere violentate della persone che non vogliono subire uno stupro. Non siamo neppure riusciti a rispettare il desiderio delle donne stuprate che i loro carnefici se ne restino in carcere: i nostri meravigliosi magistrati, così attenti alla volontà nemmeno scritta di Eluana, non hanno pensato di fare sei ore di straordinario e dare alla nazione un processo in tempi brevi, gli stessi tempi di tutto il mondo civile.  La volontà delle donne stuprate di non sapere i loro carnefici agli arresti domiciliare a diventare eroi su youtube qualcosa vale? No? Spazzatura? Non siamo riusciti a rispettare la volontà di chiunque abbia bisogno delle giurisprudenza civile ad avere un processo in tempi che abbiano un senso. Non siamo nemmeno riusciti a rispettare la volontà di vivere dei giovani pazienti morti perché in molti ospedali del Meridione non esistono strutture adatte ai grandi ustionati o perché non si è trovato un unico medico in  grado di fare la diagnosi di ematoma epidurale senza un esame Tac e intervenire in tempi utili, eppure i genitori di quei ragazzini hanno avuto i loro stipendi falciati dai contributi per una sanità che al momento della necessità si è rilevata un assembramento di incompetenti.

Non rispetteremo la volontà di Eluana di non vivere una vita completa. Pazienza. In più non siamo neanche certi che quella volontà sia reale e attuale, perché qui stiamo prendendo per definitiva una frase pronunciata diciotto anni fa.  Per inciso: per non salvare i Testimoni di Geova non facendo una trasfusione, non basta presumere che siano contrari perché sono testimoni di Geova. Occorre che siano in grado di intendere e volere per confermare che non vogliono la trasfusione in quel momento lì, dopo che il medico ha dichiarato che rischiano la vita, e bisogna farglielo mettere per inscritto e firmare.

Io a 17 e a 22 anni volevo morire.

Ho cambiato idea.

In quel periodo dichiaravo anche che non avrei voluto vivere da menomata.

Ho cambiato idea.

E adesso vorrei parlare di testamento biologico e eutanasia.

Anzi vorrei parlare di giustizia e di legge.

Le leggi non devono essere giuste. La giustizia è un concetto teorico che si riferisce a un’etica e l’etica è opinabile, come tutti sappiamo. All’epoca di Stalin le maestre spiegavano quanto era etico denunciare i genitori, in Somalia è etico lapidare una tredicenne, Torquemada riteneva etica l’inquisizione ed esistevano cattedre di etica nazista.

Se l’etica è la sacralità della vita, l’eutanasia è sbagliata.

Se l’etica è la libertà dell’individuo, la negata eutanasia è sbagliata.

Sul caso Englaro tutti si sono scatenati facendo questioni di principio.

Lasciamo perdere l’etica e lasciamo perdere anche la giustizia, per cortesia, lasciamo questa roba alle cattedre di teologia e filosofia e limitiamoci alla bassa cucina, perché la legge deve essere la squallida arte del meno peggio. Niente etica: bassa cucina e basta..

Lo scopo di una buona legge non è affermare la giustizia, concetto che lasciamo a teologi e adolescenti, ma semplicemente difendere dal disastro i più deboli della comunità.

Facciamo un esempio.

Esiste una legge che dà ai figli il cognome del padre e solo del padre.

L’adolescente di turno afferma che questa legge è “ingiusta” perché discrimina e il figlio è anche della madre.

Purtroppo siamo pieni di adolescenti cronici, quelli che non diventano mai adulti, quelli che dicono sempre “la società è” e mai “la società siamo” perché non sono mai arrivati al concetto di assumersi la responsabilità del male minore, della bassa cucina, che è quello che dovrebbe essere uno Stato e le sue leggi.

Il cognome deve essere paterno e solo paterno, perché il compito di una legge non è di essere giusta, ma di proteggere il più debole dalla catastrofe. La maternità è molto più antica della paternità. La maternità esiste già nel cervello rettiliano, la paternità è recente, corticale. Compare solo nella scimmie antropomorfe, uomo e Bonomo (il cugino intelligente dello scimpanzé. I maschi cacciano e poi dividono le prede con le femmine e i piccoli). La maternità comincia nove mesi prima della paternità. Mamma prima di essere una persona è un posto. Il cognome paterno è stato il mezzo perché i maschi si assumessero la responsabilità dei figli, il mezzo per uscire dalla preistoria.  La madri che abbandonano i figli sono una minoranza che più minoranza non si può. I padri che abbandonano i figli sono un esercito e molto alta è la percentuale di padri che abbandonano i figli e non ne pagano gli alimenti. Dove il cognome è paterno e solo paterno (questo bambino ha il suo cognome, se lo ricordi) è più facile convincere i padri in fuga a scappare un po’ meno o almeno a pagare gli alimenti. La paternità negata è una catastrofe per il bimbo, una catastrofe emotiva e materiale. Il cognome per linea paterna diminuisce enormemente i numeri di questa catastrofe. È un’ingiustizia per le donne che non danno il loro cognome ai figli? Senz’altro, ma è stato protetto il più debole: il figlio di padre in fuga.

Se affermiamo il diritto alla morte, quanti saranno gli abusi? Quanta gente che camperebbe ancora un po’ e anche volentieri, si sentirà in dovere di dichiarare di voler morire per non gravare troppo i propri familiari? La mia mamma lo avrebbe fatto.

Quanti sono quelli che saranno spinti o costretti a questa scelta da parenti indegni e crudeli? Esistono anche loro, sapete? Esiste gente che vende le figlie di otto anni ai pedofili, gente che si diverte a bruciare vivi i barboni. C’è di tutto. Il più debole della comunità, il malato cronico con parenti jene, sarà sicuramente  spinto al suicidio assistito. Il compito del legislatore è proteggere quel malato. Il resto è letteratura.

L’eutanasia, ve lo giuro, come medico, se le terapie palliative sono fatte come Dio comanda, non la vuole nessuno. Se qualcuno proprio la vuole, allora deve essere illegale. Qualcuno si assuma la responsabilità di violare la legge. Questo ci garantirà che verrà fatta solo nei casi assolutamente necessari e che sarà un gesto d’amore.

È già stato fatto. Generazioni di medici hanno aperto le valvoline delle fleboclisi con la morfina ai pazienti terminali, con le ossa mangiate dalle metastasi, fino a che il paziente smetteva di lamentarsi: se la dose era troppo alta pazienza. È stato fatto nell’unica maniera in cui una cosa del genere può essere fatta: di nascosto e con le mani che tramano, e solo così può essere un gesto decente.

Perché se legalizziamo l’eutanasia i rischi di abusi sono tremendi. In Olanda sopprimono i neonati con la trisomia 21 e la spina bifida, perché “non possono vivere una vita degna di essere vissuta”.

Facciamo attenzione. La vita non degna di essere vissuta è una china pericolosa.

Se proprio va legalizzata, ci devono essere regole rigidissime: una volontà espressa dal malato in maniera inequivocabile e al momento della morte.

E quello di Eluana è un abuso. È meglio sbagliare per eccesso che per difetto.

Eluana era viva e vitale. Vivo e vitale sono termini tecnici e lei era viva e vitale e per uccidere le persone vive e vitali è necessario un procedimento doloroso: bisogna danneggiare sistemi funzionanti e il danno è percepito come dolore.

Se sbagliamo e avremo fatto sopravvivere Eluana contro la volontà espressa 18 anni fa, be’ non è così grave.

Ma se facciamo l’errore opposto: se la facciamo morire con dolore? Se in quel cervello danneggiato una volontà di vivere ci fosse ancora?

L’anestesia funziona sui piani alti. Il cervello corticale.

I piani bassi, il cervello rettiliano, sono molto più resistenti. Infatti un paziente anestetizzato e non curarizzato, anche se l’anestesia è profonda, continua a respirare. E continua a percepire dolore, infatti produce ormoni da stress, che fanno parte di quel complesso che è la malattia operatoria (un intervento chirurgico è sempre una malattia). Cerebroleso vuol dire che manca una grossa parte della corteccia, mancano anche i sistemi inibitori, quelli su cui il diazepam agisce. Il diazepam per esempio somministrato a una persona anziana può avere un effetto inverso. Somministrato a un cerebroleso abolisce la smorfia e il lamento, ma abolisce anche il dolore? Ne siamo certi? No.

Non esiste nessun neurologo in grado di garantire che Eluana è morta senza che in nessun punto del suo sistema nervoso sia creato dolore. Ma soprattutto Eluana è morta sfigurata dalla disidratazione, con le piaghe da coma uremico nella bocca: non ha provato dolore?  Non ci mostreranno le foto, ma questo non toglie che lo sapremo, e ci hanno reso complici di questa scelta.

Se nessuno ha il coraggio di assumersi la responsabilità di una morte veloce, allora lasciate perdere.

In qualità di essere umano, di figlia, di madre, di medico e soprattutto di cittadino: lasciate perdere.

Se Eluana fosse stata mia, la mia bambina non so cosa avrei fatto, non so se l’avrei tenuto tutta la vita a fianco a me illudendomi con il sorriso con cui rispondeva alle carezze, o se l’avrei uccisa, io, da sola, assumendomene la responsabilità, mentre la tenevo in braccio, mentre sentivo il suo corpo o quello che ne restava contro il mio.

So per certo quello che non avrei fatto, farla morire di disidratazione, lontana da me, perché un cervello cerebroleso forse non può provare sofferenza, ma dolore perdio sì, una volta che il tronco encefalico è intatto, il dolore c’è e infatti sia Eluana che Terry Schiavo hanno dovuto essere sedate: altrimenti si sarebbero lamentate. Quello che non avrei fatto: farla morire di disidratazione senza assumermene la responsabilità ma caricandola su un’ intera nazione.

La vita umana è straordinaria. Non è straordinaria solo quando siamo belli, forti e sani e somigliamo a una pubblicità di dentifrici o automobili o lamette da barba.