(epochtimes.it) - Banca d'Italia e Istat hanno registrato peggioramenti nella maggior parte degli indicatori presi in esame in merito all'economia italiana.

Accanto alla richiesta di riforme da parte del governo per ridare slancio all'economia, cresce il coro di coloro che vedono nell'abbandono dell'Euro e nella riacquisizione della sovranità monetaria nazionale gli elementi cardine per far uscire il Belpaese dalla recessione economica.

Il governo Letta ha catalizzato l'attenzione con la proposta del "decreto del fare" e con il paventato aumento dell'Iva.

Nel frattempo l'annuale Bollettino economico della Banca d’Italia, pubblicato a fine maggio e i dati Istat sul primo trimestre 2013, dipingono un quadro dalle tinte fosche sul presente produttivo italiano: il Pil è calato dello 0,6 per cento, il tasso di disoccupazione giovanile arriva al 41,9 per cento (era il 35,9 per cento nel primo trimestre 2012), consumi interni scesi del 5 per cento, spese per investimenti meno 10 per cento. Anche le esportazioni scendono, di poco, ma è sempre uno 0,6 per cento in meno. Nel 2012 hanno chiuso circa mille imprese al giorno. Il rapporto Pil/debito pubblico è a quota 127 per cento (contro l'82 per cento di Francia e Germania, secondo dati Ocse).

Un anno di austerità del governo Monti non ha fatto ripartire lo sviluppo economico. C'è chi mette sotto accusa l'Euro, moneta unica per un insieme di economie diverse tra loro e la mancanza di sovranità monetaria, trasferita dai singoli Stati alla Bce.

Beppe Grillo ha fatto del tema uno dei suoi cavalli di battaglia. Durante il tour elettorale per le elezioni comunali di poche settimane fa ha dichiarato «L'Europa va ripensata. Noi consideriamo di fare un anno di informazione e poi di indire un referendum per dire sì o no all'Euro e sì o no all'Europa», ha riportato Ansa. Il referendum appare però una strada tortuosa da affrontare: la nostra Costituzione, all'articolo 75, vieta l'uso del mezzo referendario per abrogare i trattati internazionali. Ci sarebbe quindi prima da cambiare la Costituzione.

Ma perché la questione appare così importante? «La sovranità monetaria è un pilastro della sovranità nazionale,» afferma Magdi Cristiano Allam, leader del partito 'Io amo l'Italia' ed Europarlamentare nel gruppo Eld (Europa della Libertà e della Democrazia). «Uno Stato che non ha facoltà di emettere direttamente moneta a credito si costringe a sottomettersi a quello che in termini finanziari si chiama il signoraggio della moneta».

Per Allam, lo Stato italiano accetta di pagare la valuta alle banche per il fatto che viene attribuito a loro la prerogativa di stamparla, aumentando il debito e gli interessi sullo stesso, a causa del fatto che la Banca centrale europea e quella italiana sono istituzioni private e non governative, come ad esempio in Giappone.

«Con la moneta si promuove lo sviluppo - continua Allam - Il paradosso è che L'Italia è uno stato ricco con una popolazione costretta a impoverirsi soltanto perché non circola moneta. Le imprese muoiono perché il principale creditore insolvente è lo Stato».

Nel frattempo il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha colpito gli gli euroscettici affermando che l'uscita dell'Italia dall'Euro comporterebbe un crollo del Pil nazionale del 30 per cento, «Sarebbe come fare un passo indietro di 20 o 30 anni», ha commentato durante una conferenza, citando i dati del Centro Studi di Confindustria, e poi ripresa dal quotidiano dell'associazione, Il Sole 24 Ore.

Per Allam uscire dall'Euro significherebbe governare un processo di transizione: «C'è da considerare che stiamo morendo e dobbiamo sopravvivere. Ci saranno sicuramente dei costi, ma gestire la nostra valuta nazionale significherebbe controllare l'inflazione e la svalutazione della valuta stessa».

Dai recenti sondaggi sul tema traspare che gli italiani vorrebbero però rimanere all'interno della zona euro. L'Istituto Piepoli ci dice che il 65 per cento degli intervistati è favorevole all'Euro, mentre per il portale scenarieconomici.it, che pubblica anche uno scenario con e senza euro, la quota rimane significativa, anche se si abbassa al 48 per cento.

«Possiamo tornare alla moneta sovrana solo se i nostri conti sono in ordine», sostiene Massimo Colomban, fondatore e portavoce della Confederazione attività produttive (Confapri), rete superpartes di esperti con lo scopo di modernizzare lo Stato e far decollare l'economia con proposte di legge a tutela dei valori dell'impresa e del lavoro.

«La situazione è grave, la parola magica è l'etica, un concetto da far rinascere in Italia per sostenere cultura e innovazione».

Colomban ritiene che il nodo da sciogliere sia quello dei costi dello Stato: una spesa pubblica di 800 miliardi su 1400 miliardi di Pil è da rivedere. «Dire che non ci sono soldi è una bufala. Dobbiamo razionalizzare le spese di consulenza e di fornitura. La nostra spesa pubblica è al 60 per cento, mentre i paesi Ocse più virtuosi sono al 36 per cento, per fare un esempio applicando i costi della politica francesi risparmieremo subito 16 miliardi».

Il nostro debito pubblico risulta però molto più grande rispetto alla maggiore economia europea, quella tedesca. «La verità e che subiamo il diktat di una nazione dominante [la Germania] che cerca di spolpare una nazione debole [l'Italia] governata da persone insipienti che non hanno saputo fare buona economia. Se rimaniamo nell'Euro con questi conti continueremo a soffrire, ma se tornassimo a una moneta nazionale faremmo la fine dell'Argentina».

http://epochtimes.it/news/economia-italiana-in-affanno-uscire-dall-euro-la-soluzione---123304