Introduzione a “Un saggio di verità sull’Europa e sull’euro” - Giuseppe Guarino, giurista e politico italiano, già Ministro delle Finanze, dell’Industria, Commercio e Artigianato e delle Partecipazioni Statali, delinea in maniera audace nel suo saggio la realtà attuale dell’Unione Europea, dell’Italia, dell’euro, soprattutto alla luce di quanto accaduto negli ultimi 15 anni a partire dall’adozione della moneta unica.

Guarino illustra con dovizia di particolari il meccanismo attraverso cui è stata illegittimamente violata la nostra sovranità monetaria e si è attuata una deviazione dal virtuoso processo di costruzione europea per intraprendere una strada differente, non più l’Europa dei popoli e delle culture, ma l’Europa della moneta e della finanza.

Nel saggio di Guarino è possibile individuare tre elementi cruciali di estremo interesse.

Il primo è l’individuazione degli atti giuridici attraverso cui si è attuato quello che Guarino definisce un autentico “colpo di Stato” che ha violato la Costituzione italiana e ha portato all’introduzione di un euro “falso”.

Guarino, infatti, spiega che con l’adozione del regolamento 1466/97 da parte dell’Unione Europea, oltre che del reg. 1055/2005 e del reg. 1175/2011 e in ultimo del Fiscal Compact, si è violato quanto sancito dal Trattato di Maastricht (TUE) nel 1992. L’obiettivo prefissato, infatti, era inizialmente quello di uno sviluppo e una crescita sostenibile da raggiungersi da parte di ciascuno Stato che “vi avrebbe provveduto nell’interesse proprio e dell’Unione, con la propria politica economica”. L’obiettivo della crescita di ogni Stato venne in seguito sovvertito e sostituito con il risultato del pareggio di bilancio imposto dal reg. 1466/97 con il quale l’Unione Europea andava contro un proprio Trattato e decideva la disciplina per la nuova moneta unica, l’euro. Per tale motivo Guarino definisce questo euro un euro “falso”, in quanto disciplinato da un regolamento e non da quanto previsto dal Trattato.

Secondo elemento di rilievo del suo saggio è l’individuazione di tutti i parametri economici che attestano il risultato di una politica monetaria ed economica fallimentare, soprattutto se si considera che “Italia, Germania, Francia, nei quattro decenni dal 1950 al 1991, risultavano nello sviluppo i primi tre Paesi democratici occidentali, salvo poi avere un tracollo nel periodo tra il 2000 e il 2010 a seguito dell’adozione dell’euro con l’Italia che figura tra gli Stati con minore sviluppo nel mondo come terza peggiore economia nel mondo, la Germania come decima peggiore economia, la Francia come quattordicesima peggiore economia.

Terzo elemento di rilievo e conclusivo del saggio è la soluzione da adottare per risolvere il problema di crisi economica e di deficit democratico che caratterizzano questa Unione Europea. Guarino spiega come sia difficile intervenire sul sistema attuale così come costituito, vista la complessità dei meccanismi e delle istituzioni coinvolte. Per far fronte a un colpo di Stato l’unica via sarebbe quella di un nuovo colpo di Stato che getti le basi per un nuovo corso dell’Europa in campo sociale, culturale, economico, monetario.

L’uscita da questo euro “falso” e l’adozione di una nuova moneta sarebbe dunque la strada da percorrere da parte di alcuni Stati dell’area del Mediterraneo che possano avere un peso tale in termini di popolazione e di economia da non subire le ripercussioni da parte di Paesi ed economie più forti nel caso di una scelta del genere. L’adozione di una nuova moneta dovrebbe avvenire con un cambio nella cui trattativa i Paesi che adotterebbero il nuovo conio dovrebbero far pesare i danni subiti dal tradimento subito da parte dell’Unione Europea, che violando gli accordi previsti dai Trattati ha alterato il regime democratico dei popoli europei portandoci alla situazione attuale.

 

UN SAGGIO DI “VERITÁ”

SULL’EUROPA E SULL’EURO

 

1.1.1999

Il COLPO DI STATO

 

1.1.2014

RINASCITA!?

 

Premessa

1.1.1999. Un oscuro colpo di Stato                                               § 1-15

L’instaurazione di fatto di un nuovo regime.

La soppressione della democrazia                                               § 16-30

Cosa fare?                                                                                    § 31-34

Come fare?                                                                                   § 35-38

Si conclude                                                                                   § 39-52

 

Premessa

          L’Europa unita era stato già un grande ideale proposto, sin dagli anni del primo dopoguerra, da menti illuminate. Einaudi e Don Sturzo, in Italia, ad esempio. Immediatamente prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale Lionel Robbins lo rilanciò nelle sue lezioni ginevrine. Altiero Spinelli, negli anni del confino politico, redasse il manifesto per una Federazione europea. Schumann e Monnet nel 1950, condividendo l’obiettivo federalista, ne proponevano una attuazione per gradi. Il progetto prevedeva la creazione di organismi comunitari in settori specifici. Si sarebbero affiancati l’uno all’altro fino a coprire l’intera area degli interessi comuni. Con il Trattato di Parigi venne istituita la CECA (1952). Al primo passo ne seguirono altri. Questa prima fase si concluse con la CEE. Meravigliosa costruzione il cui concorso ad uno sviluppo comune sarebbe stato considerevole. In un vertice dell’Aja del 1969 ebbe inizio una fase nuova e diversa. Volumi di liquidità facenti capo a soggetti privati, spostandosi da una moneta all’altra creavano, influenzandone i tassi di cambio, difficoltà nella gestione delle economie dei quattro maggiori Paesi europei, Francia, Germania, Italia, UK. Nel vertice dell’Aja del 1969 fu approvata una proposta formulata dal vicepresidente della Commissione europea, il francese Raymond Barre. La proposta venne trasfusa nel piano denominato Werner. L’obiettivo era di pervenire ad un regime di cambi fissi in tre tappe, fino ad arrivare alla loro determinazione, in pratica ad una moneta unica, intorno al 1990. Negli anni 1986 e 1992 vengono sottoscritti due Trattati collegati, l’AUE, Atto Unico Europeo, ed il TUE (Maastricht). Il progetto originario del TUE subì importanti modifiche nel corso delle trattative.

          Molti dei principi e delle speranze alimentate in così lunghi decenni formano ancora oggetto di convincimenti diffusi.

          Questo saggio è stato redatto in una doppia persuasione. La prima è che per comprendere la realtà dell’UE e dell’eurozona è necessario mettere da canto il bagaglio, pur così ricco e storicamente importante, frutto delle idee e delle discipline anteriori. E’ necessario sgombrare la mente ed esaminare senza paraocchi quanto è accaduto e sta accadendo in Europa dal 1999 in poi.

          La seconda è che, per affrontare i problemi attuali dell’Europa, è necessario inquadrarli nel contesto non solo europeo, ma anche mondiale. L’Europa è componente importante del sistema economico mondiale.

          Dedicatomi allo studio dei problemi europei, dopo molti passaggi, ho cominciato ad intravedere conclusioni del tutto imprevedibili. Per evitare riflessi emotivi, ho ritenuto doveroso attenermi in modo rigoroso, nell’analisi e nello svolgimento, al metodo sistemico-formale con identificazione delle forme giuridiche utilizzate, dei movimenti che ne derivavano, delle serie causali e degli effetti. Non ho fatto nomi. I giudizi hanno ad oggetto solo atti formalmente adottati.

          Le riflessioni e le conclusioni non si riferiscono a singoli Paesi. Hanno a riferimento la qualifica di Paese membro senza deroga e valgono allo stesso titolo per ciascuno di tali Paesi. Vengono indicate conseguenze che la disciplina dell’eurozona produce sull’UE nel suo insieme ed anche sul sistema “mondo”.

 

1.1.1999

Un oscuro colpo di Stato

 

1.       Una espressione usata anche in atti formali, compreso il molto recente c.d. Fiscal Compact (art. 1, comma 1) è quella di “Unione economica e monetaria” (UEM). L’Unione monetaria non è stata realizzata. L’Unione economica non è stata creata. Le monete circolanti con “valore legale” nell’Unione erano tredici al 1.1.1999, data del lancio. Una, l’euro, moneta comune di undici Stati. La sterlina e la peseta, “monete nazionali”. Oggi le monete sono dodici, di cui una, l’euro, moneta comune, undici, monete nazionali.

          L’Unione economica non è stata creata. L’AUE ed il TUE, che sono i due Trattati ai quali ne viene attribuito il merito, si sono limitati a creare un “mercato unico”. E’ un grande spazio economico nel quale si applicano, come dominanti, i principi della libera iniziativa privata (libertà di impresa) e della più ampia apertura. Oggi la maggior parte dei rapporti economici del globo sono retti da discipline ispirate ai medesimi principi della libera iniziativa privata, quindi della libertà di impresa, in un mercato aperto. Si è costruito a livello quasi mondiale un mercato “unico”. Nessuno lo definirebbe “Unione economica”.

 

2.       Il “mercato comune” formò oggetto precipuo dell’AUE, integrato successivamente dal TUE. Il TUE ha disciplinato oggetti nuovi, in modo particolare ha dettato una disciplina generale sull’attività economica e sui bilanci degli Stati, quindi implicitamente sulla moneta comune.

 

3.       Alle norme che avrebbero influito sulla concretizzazione della “moneta comune” si pose mano negli ultimi mesi di discussione sul TUE. A quel punto molti capisaldi della disciplina della moneta erano stati già fissati. La moneta sarebbe stata comune non a tutti gli Stati dell’Unione, ma solo a quelli che si sarebbero assoggettati alla sua specifica disciplina. La decisione scaturì dalla indisponibilità dell’UK a rinunciare alla sua storica moneta, la sterlina. L’Unione, senza l’UK, sarebbe nata monca. Fu concessa all’UK la clausola dello “opting out”. Avrebbe potuto aderire all’euro, dimostrando di averne i requisiti, in qualsiasi momento successivo. Concessa all’UK, la clausola non poté essere negata alla Danimarca. Fu concessa di fatto, in assenza di deroga formale, alla Svezia, il primo Paese ad aderire all’UE, dopo la stipula del Trattato. L’art. 109 k) ha finito per contemplare due distinte categorie di Paesi membri, quelli ammessi all’euro, denominati senza deroga, e quelli che continuano ad avvalersi della propria moneta, denominati Paesi con deroga. L’art. 109 k) indica gli articoli del TUE che si applicano ai soli Paesi senza deroga.

          Come l’UK aveva dichiarato che non avrebbe rinunciato alla sterlina, così la Germania precisò che avrebbe aderito all’Unione ed alla moneta unica solo se questa fosse risultata simile al marco. Il marco era la moneta storica della Germania, utilizzata dal BRD sin dalla sua costituzione. In attuazione di un indirizzo politico assunto sin dall’inizio il Governo federale coadiuvato dalla Bundesbank si attenne con rigore a criteri antinflazionistici per garantire duratura stabilità al valore della moneta, e conseguentemente uno sviluppo armonioso, equilibrato, continuo della economia.

          L’obiettivo della stabilità della moneta comportava, nelle valutazioni di Otto Pöhl, Presidente della Bundesbank, condivise da Jacques Delors, Presidente della Commissione, e poi dai rappresentanti di tutti gli altri Paesi, che venissero fissati limiti all’indebitamento di ciascuno Stato membro nelle percentuali, rispetto al PIL, del 3% nell’indebitamento annuale, del 60% nel debito totale. Al dibattito finale presero parte attiva le delegazioni italiana e britannica.

          Prima che ci si accordasse sulle caratteristiche della moneta, erano state concordate misure che avrebbero condizionato l’intera architettura del sistema. Gli Stati avrebbero partecipato all’Unione conservando il loro carattere sovrano. Avrebbero ceduto non la sovranità, ma l’esercizio della stessa, in ambiti vasti, che sarebbero stati predeterminati. Le competenze dell’Unione sarebbero state solo quelle specificamente contemplate dal Trattato. Le risorse dell’Unione sarebbero state, oltre i ricavi dei dazi esterni e di poche altre entrate, quelle trasferite all’Unione dagli Stati (definite “proprie”). Il bilancio dell’Unione sarebbe dovuto risultare ogni anno in pareggio. Ne discendeva che l’Unione non avrebbe potuto indebitarsi. Nelle materie di sua competenza, l’Unione avrebbe emesso regolamenti e direttive, con efficacia vincolante diretta negli Stati membri. Norme del TUE, integrative dell’AUE, avrebbero vietato aiuti di Stato ed evitato la formazione di posizioni dominanti nel mercato.

          L’AUE aveva consacrato la libertà di movimento, oltre che delle merci, delle persone, del diritto di stabilimento ed anche dei capitali, compresi quelli a breve. L’Unione avrebbe promosso la liberalizzazione del commercio internazionale con abbattimento generalizzato dei dazi doganali. La direttiva UE, avente ad oggetto la libera circolazione dei capitali a breve, era stata adottata dalla Commissione e recepita dai Paesi membri ancora prima del completamento del disegno dell’Unione.

 

4.       Questo è il quadro, contenente un numero elevato di punti fermi, nel quale le delegazioni si accinsero ad inserire le norme che in modo diretto o indiretto avrebbero caratterizzato la nuova moneta. La disciplina avrebbe dovuto conformarsi a quella del marco in tre aspetti fondamentali.

a)       Avrebbe dovuto essere diretta all’obiettivo di promuovere una crescita rispondente alle caratteristiche fissate nell’art. 2 TUE. Una crescita cioè: “SOSTENIBILE, NON INFLAZIONISTICA E CHE RISPETTI L’AMBIENTE, UN ELEVATO GRADO DI CONVERGENZA DEI RISULTATI ECONOMICI, UN ELEVATO LIVELLO DI OCCUPAZIONE E DI PROTEZIONE SOCIALE, IL MIGLIORAMENTO DEL TENORE E DELLA QUALITA’ DELLA VITA, LA COESIONE ECONOMICA E SOCIALE E LA SOLIDARIETA’ TRA STATI MEMBRI”.

b)      Il compito di provvedere allo sviluppo sarebbe spettato distintamente a ciascuno Stato, il quale vi avrebbe provveduto nell’interesse proprio e dell’Unione, con la propria politica economica (artt. 102 A, 103 TUE).

c)       Agli Stati avrebbero dovuto essere attribuiti mezzi e/o strumenti necessari per il perseguimento dell’obiettivo della crescita. Qui i progettisti (gli “architetti del sistema”) dovettero constatare che la generalità dei mezzi adoperati dagli Stati esterni all’Unione europea, cioè dalla generalità dei futuri competitori, era di fatto preclusa da punti fermi non più modificabili. I quali peraltro, in dipendenza delle preclusioni introdotte, indicavano l’unica strada rimasta libera, che sarebbe stato quindi necessario percorrere, quella dell’indebitamento. Se esistono fattori valorizzabili e non si dispone di risorse da investire, il ricorso all’indebitamento è indispensabile per cogliere le occasioni favorevoli. Potrebbero non più ripetersi.

          Qualora il sistema, nel suo funzionare in modo fisiologico non produca risorse, se ci si preclude ogni possibilità di cogliere occasioni produttive, è la crescita ad essere ostacolata. All’indebitamento va fatto ricorso nel rispetto della “golden rule”. L’investimento frutto dell’indebitamento deve, secondo una previsione ragionevole, produrre profitti in misura superiore al suo costo. Diversamente si avrebbe crescita del debito e del suo costo complessivo. I valori del 3% per l’indebitamento e del 60% per il debito totale, riferiti al PIL, potevano basarsi, al tempo in cui furono adottati, sulla esperienza pluridecennale di grandi economie (quella tedesca ed anche quella degli USA). Furono approvati. 3% e 60% costituivano il limite che avrebbe garantito la “stabilità” della moneta e della economia.

 

5.       Qui si inserì la proposta della delegazione italiana, appoggiata dagli inglesi. Guido Carli, Ministro del Tesoro e capo della delegazione, la attribuisca nelle sue memorie (Cinquant’anni di storia italiana, ed. Laterza, Bari, 1993, pagg. 406 segg.) alla sua “caparbietà”. Non si potevano far dipendere le sorti di una economia dalle condizioni che sarebbero state accertate in date prefissate. Avrebbero potuto essere sconfessate dalla notte al mattino, potevano dipendere da cause eccezionali, avrebbero potuto in ipotesi costituire il frutto di dati inesatti. Furono così approvati tre emendamenti, due dei quali hanno formato oggetto degli alinea della lett. a) del n. 2, l’altro della lett. b) dell’art. 104 c). Nella sua redazione definitiva, l’art. 104 c), n. 2, ha stabilito che l’esame della conformità alla disciplina di bilancio dovesse avvenire “sulla base” di due criteri, di cui uno alle lett. a) e b) dello stesso n. 2. Ai due criteri bisogna dunque attenersi nella interpretazione ed applicazione dei valori di riferimento. Negli emendamenti accolti si fa obbligo di tenere conto della tendenza ad avvicinarsi al valore di riferimento e di eventuali cause eccezionali o temporanee che potessero avere provocato il superamento.

          Agli architetti del sistema era stato attribuito il compito di realizzare a mezzo di norme astratte una moneta corrispondente al marco, che garantisse ai Paesi membri e quindi all’Unione uno sviluppo duraturo, armonioso, sostenibile, corrispondente a quello realizzatosi in Germania negli antecedenti quaranta anni. Gli architetti si attennero al modello. Hanno assolto il compito assegnato in modo puntuale. Disegnarono un progetto la cui attuazione avrebbe potuto e dovuto garantire una crescita duratura e sostenibile. Protagonisti ne sarebbero stati gli Stati membri, vincolati all’obiettivo della crescita. Gli Stati avrebbero prodotto crescita nell’esercizio della più tipica espressione della attività politica, la politica “economica”. Gli architetti erano consapevoli che a favore della crescita, avrebbero concorso gli effetti benefici di due fattori produttivi: l’abolizione fisica delle dogane, cui gli studi preparatori avevano accreditato una influenza sulla crescita nella misura dal 2% al 6% a seconda della collocazione dello Stato, e la eliminazione dei costi di transazione tra i Paesi aderenti alla moneta comune, che a sua volta avrebbe dovuto produrre un +0.7% ad anno nella crescita.

          Si aggiungeva ora il potere politico di indebitarsi sino ai limiti di cui al prot. n. 6, da interpretarsi ed applicarsi secondo i criteri vincolanti di cui all’art. 104 c) TUE. Avrebbe dovuto essere sufficiente.

 

6.       Fin qui la disciplina formale della moneta. Il passo successivo consistette nel prevedere una fase transitoria diretta a creare condizioni di sufficiente omogeneità tra i Paesi membri ammessi all’euro ad evitare che, avvenuto il passaggio alla terza fase, quella “a regime”, i più forti prevalessero sui più deboli. La disciplina della fase transitoria della omogeneizzazione è contenuta nel prot. n. 6. Furono assunte a riferimento le medie attinenti ai due aspetti più rilevanti (tassi di inflazione, tassi dei titoli a lungo termine) dei tre Stati migliori. Sarebbero stati consentiti divari dal modello entro margini prestabiliti (1.5 punti per il tasso di inflazione; 2 punti nel tasso di interesse a lungo termine). Anteriormente al 1° luglio 1998 si sarebbe tenuto uno scrutinio con il quale, nel rispetto di una apposita procedura, si sarebbero valutati i risultati raggiunti e sarebbero stati ammessi allo “euro” i Paesi che avessero soddisfatto le condizioni prescritte.

          Lo scrutinio si tenne il 3 maggio 1998. Undici Stati superarono lo scrutinio. Il dodicesimo (la Spagna) fu inquadrato tra gli Stati con deroga. Sarebbe stato ammesso tra quelli senza deroga l’anno successivo.

 

7.       L’espressione “colpo di Stato” viene usata quando si modifica in aspetti fondamentali il sistema costituzionale di uno Stato, con violazione delle norme costituzionali vigenti.

          Il colpo di Stato viene attuato con maggiore frequenza con la forza. Nei tempi più antichi uccidendo, anche con il veleno, il sovrano.

          Il 1.1.1999 un colpo di Stato è stato effettuato in danno degli Stati membri, dei loro cittadini, e dell’Unione. Il “golpe” è stato realizzato non con la forza, ma con fraudolenta astuzia. L’affermazione può apparire “stupefacente”. Obiettivamente lo è. La assoluta incredulità è una reazione del tutto naturale e comprensibile.

          Per la dimostrazione occorre indicare:

          a) quali sono i poteri costituzionali degli Stati membri e quali gli aspetti fondamentali del diritto dell’Unione che hanno formato oggetto del “golpe”; b) con quali atti il “golpe” è stato realizzato e quali ne sono stati gli autori; c) in cosa sono consistite le astuzie fraudolente, alle quali si è fatto riferimento.

 

8.       a1) Si risponde separatamente per gli Stati membri e per l’Unione. Il TUE non contempla alcuna procedura specifica per le sue variazioni. In quanto Trattato multilaterale di diritto internazionale, sarebbe stato un dovere dell’Unione che i suoi organi competenti lo rispettassero e lo facessero rispettare. Non avrebbero dovuto consentire che modifiche di aspetti fondamentali del sistema si producessero in assenza di un nuovo Trattato. La disciplina introdotta con fraudolenza formò invece oggetto di un regolamento previsto dal Trattato in funzione di un unico e specifico compito. Adottare indirizzi di massima al fine del coordinamento delle “politiche economiche” degli Stati membri (artt. 102 A, 103, TUE). Il diritto costituzionale degli Stati membri è stato violato perché non sono state osservate le norme costituzionali interne da osservarsi nella ratifica dei Trattati. La sovranità degli Stati membri è stata vulnerata perché è stata loro sottratta la funzione “esclusiva” da esercitarsi, singolarmente e come gruppo, di promuovere lo sviluppo dell’UE e della zona euro con le proprie “politiche economiche”. La costituzione degli Stati è stata violata perché sono stati imposti ai loro organi interni obblighi e condotte che i rispettivi ordinamenti costituzionali non contemplano.

b1)     Il golpe è stato attuato a mezzo del reg. 1466/97. Per la formazione del regolamento, come si è detto, si è fatto ricorso alla procedura di cui agli artt. 103, n. 5 e 189 c) TUE che, nello stesso momento in cui è stata utilizzata, è stata anche violata perché ce se ne è avvalsi per uno scopo diverso dall’unico previsto.

          La procedura di cui agli artt. 103, n. 5 e 189 c) TUE in nessun modo avrebbe potuto essere impiegata per modificare norme fondamentali del Trattato. L’essersene avvalsi configura una ipotesi non di semplice illegittimità, bensì di incompetenza assoluta. Gli atti adottati sono di conseguenza non illegittimi, ma nulli/inesistenti.

b2)     Le persone fisiche, alle quali far risalire l’attuazione del golpe e dei mezzi fraudolenti per realizzarlo sono ignote. Non si conosce né chi ne sia stato l’ideatore, né il nome dell’estensore materiale del testo del regolamento. Una inchiesta del Parlamento europeo potrebbe ancora identificarli. La responsabilità formale del “golpe” è dei MEMBRI DELLA COMMISSIONE E DEI TITOLARI DEGLI ORGANI DELL’UNIONE E DEI GOVERNI DEI PAESI MEMBRI CHE PARTECIPARONO IN CIASCUNA DELLE FASI ALLA PROCEDURA DI FORMAZIONE DEL REG. 1466/97.

c1)     Gli assetti fondamentali, modificati illegalmente dal reg. 1466/97, sono diversi per l’Unione e per gli Stati membri.

          Quanto all’Unione è stato modificato, in modo radicale ed irreversibile, l’obiettivo principale, consistente (artt. 2 e 3 TUE) nel conseguimento di uno sviluppo dalle caratteristiche e secondo le modalità previste nei suddetti articoli e nell’aver abrogato, per avere regolato in modo diverso la intera materia, l’art. 104 c) TUE, contenente la disciplina dei mezzi di cui gli Stati si sarebbero potuti avvalere per l’adempimento all’obbligo di promuovere sviluppo.

          Quanto agli Stati la illecita variazione consiste nell’averli privati, con l’abrogazione degli artt. 102 A, 103, 104 c) TUE, nonché di altri connessi, a mezzo di norme (quelle del reg. 1466/97) regolanti in modo diverso l’intera materia, degli unici poteri politici ad essa attribuiti in funzione alla conduzione economica dell’Unione.

c2)     Il reg. 1466/97 malgrado la sua apparente innocenza, oltre a modificare la disciplina di vertice dell’Unione e degli Stati, ha inciso sul carattere fondamentale dell’Unione, in assenza del quale gli Stati non sarebbero stati legittimati a parteciparvi, quello della “democraticità”. E’ l’affermazione che tra tutte genera la massima incredulità.

 

9.       Tutto ha origine dal sospetto di alcuni degli Stati più forti che qualcuno dei più deboli, per superare lo scrutinio, si sarebbe avvalso di dati non veritieri.

          E’ ipotizzabile che a ciò si debba l’origine del reg. 1466/97. Sarebbe stato il rimedio ove effettivamente qualcuno degli Stati membri fosse riuscito a superare lo scrutinio senza averne il diritto. Il rimedio non avrebbe condotto alla guarigione. Avrebbe prodotto danni gravi. Dimostratisi poi irreversibili.

          Va aggiunto che a fine 1996 gli andamenti delle economie degli Stati membri suscitavano preoccupazioni. Il rapporto debito/PIL negli Stati principali era cresciuto ad un livello e con rapidità non previsti. Il debito francese dall’iniziale 35% era passato al 58.7%, quello tedesco dal 40% al 59.8%, quello italiano dal 100.8% al 116.8%. Era stato preventivato che nella fase transitoria vi sarebbe stato un rallentamento del PIL. Ma si registrava un deterioramento superiore alle previsioni. Si dubitò della effettiva capacità delle norme a realizzare gli obiettivi assegnati, in particolare sulla effettiva corrispondenza della nuova moneta al vecchio marco. Si pensò di superare ogni incertezza, rafforzando la “stabilità”, assumendola ad oggetto di un vincolo di carattere generale.

          A maggior ragione la dimostrazione della soppressione del regime democratico dovrà essere analitica e precisa nei dettagli. Riceverà conferma dagli effetti concretamente prodottisi.

 

10.     In cosa è consistito il disegno “fraudolento” che ha portato alla approvazione del reg. 1466/97?

La procedura utilizzata non era stata mai impiegata e non avrebbe mai più potuto esserlo nella sua portata originaria in quanto con il reg. 1466/97 sono state cancellate le “politiche economiche” degli Stati che della disciplina degli artt. 102 A e 103 del TUE costituivano il presupposto.

          La procedura del regolamento era iniziata nel novembre 1996. Il primo atto pubblicato è apparso sulla G.U. del 6 dicembre di quell’anno. A quel tempo l’attenzione degli Stati membri era concentrata sullo scrutinio di ammissione all’euro, che avrebbe dovuto tenersi entro il 31 dicembre 1996 (art. 109 J). Era stato poi rinviato al 1998. La nuova moneta suscitava grandi speranze. Non si prestò attenzione al reg. 1466/97. Era un atto che non incideva sullo scrutinio. Riguardava il periodo successivo. Il testo ne prevedeva l’entrata in vigore al 1° luglio 1998. Ce se ne sarebbe occupati quando fosse venuto il suo tempo, sempre che si fosse superato lo scrutinio.

          Il testo del regolamento era scritto in modo rassicurante. Prometteva (art. 3, n. 1) una crescita vigorosa, sostenibile e favorevole alla creazione di posti di lavoro. A voler essere pignoli, il vigore era qualcosa di più e di diverso di quanto l’art. 2 TUE esigeva e prometteva.

 

11.     La procedura del reg. 1466/97 si è chiusa con la deliberazione del Consiglio del 7 luglio 1997. Gli Stati partecipavano al Consiglio con un rappresentante a livello ministeriale abilitato ad impegnare il rispettivo governo (art. 146 TUE). Gli Stati se potevano essere giustificati per non avere prestato sufficiente attenzione al testo del regolamento alla data, anteriore al novembre 1996, della prima delibera del Consiglio, nel 1997 non avrebbero potuto disinteressarsi della sorte che li attendeva una volta superato lo scrutinio. Non è avvenuto. E’ lecito il sospetto che vi abbia influito la sapiente scelta delle date.

          L’adozione del regolamento avvenne il 7 luglio 1997. Era il tempo in cui la Commissione avrebbe cominciato ad esaminare la documentazione presentata dagli Stati ai fini dello scrutinio. Il 25 marzo 1998 la Commissione formulò la proposta per l’ammissione di undici Stati sui dodici aspiranti. La Spagna sarebbe stata rinviata all’anno successivo. Il Consiglio, nella composizione di Capi di Stato o di governo, fece sua la proposta della Commissione. Il reg. 1466/97 fissava (art. 13) esso stesso la data della sua entrata in vigore al 1° luglio 1998. Per quale ragione se ne era richiesta l’adozione da parte degli Stati prima che venisse effettuato lo scrutinio e se ne conoscesse l’esito se il regolamento avrebbe dovuto e potuto applicarsi solo agli Stati ammessi?

          “Caro Stato membro” (sembra sentire che la richiesta di adesione quasi sussurrasse), “se non firmi subito, il consenso all’ingresso nell’euro potrebbe essere problematico”. UN RICATTO FRUTTO DELLA CASUALITA’ DELLE DATE O INTENZIONALE?

 

12.     Alla base di ogni moneta vi è sempre una disciplina giuridica. Può essere quella propria di un regime di mercato, quella di un regime di stampo collettivista, o quella di una economia mista. Queste tipologie, diverse tra loro, hanno un elemento in comune. ALLA GESTIONE DELLA MONETA E’ SEMPRE PREPOSTA UNA AUTORITA’ POLITICA FACENTE PARTE DELL’ORGANISMO DI VERTICE. Nei regimi di mercato l’autorità politica è coadiuvata dal responsabile della Banca centrale. L’euro costituisce il primo esempio di una moneta in cui, secondo la disciplina del Trattato, vertici politici, pur partecipando alla gestione della moneta, non ne avrebbero avuto la responsabilità esclusiva. Avrebbe avuto parte nella gestione e vi avrebbe esercitato un ruolo dominante, una disciplina astratta. La specificità della nuova moneta, l’euro, sarebbe stata desumibile dalla disciplina alla quale il TUE l’assoggettava.

          Il 1.1.1999 è stata immessa sui mercati la moneta disciplinata dal reg. 1466/97. Se si accerterà che la disciplina del regolamento è diversa, anzi opposta rispetto a quella del TUE, bisognerà concludere che l’euro circolante dal 1.1.1999 è un’altra moneta rispetto a quella del Trattato. Questa nuova moneta usa il nome ed i simboli di quella voluta dal Trattato. La moneta disciplinata dal Trattato è l’unica “autentica”. Non essendo avvenuto il suo lancio né alla data stabilita, né in qualsiasi altra successiva, lo “euro autentico” è una moneta mai nata. Quella che usurpa il suo nome, e che è stata presentata come se fosse quella del Trattato ed in quanto tale accettata nei mercati, è una moneta falsa che, nascoste le proprie natura ed identità, si appropria di quelle dell’euro autentico.

 

13.     La differenza tra il TUE ed il regolamento 1466/97 attiene al vincolo che nelle discipline occupa la posizione “centrale”. Il TUE fissa un obiettivo, uno sviluppo conforme al disposto dell’art. 2, il cui conseguimento è affidato alle politiche economiche di ciascuno degli Stati membri, ciascuna delle quali avrebbe dovuto tenere conto della specificità delle concrete condizioni della economia del proprio Paese. Le politiche economiche avrebbero potuto utilizzare all’occorrenza, quale strumento per realizzare l’obiettivo, l’indebitamento nei limiti consentiti dall’art. 104 c), da interpretare ed applicare in conformità ai criteri fissati negli alinea e nei commi 2 e 3 del punto 2 dell’art. 104 c).

          IL REGOLAMENTO ABROGA TUTTO QUESTO. LE POLITICHE ECONOMICHE DEGLI STATI SONO CANCELLATE. E’ CANCELLATO CONSEGUENTEMENTE QUALSIASI APPORTO DEGLI STATI. Il ruolo assegnato dal TUE [art. 102 A, 103 e 104 c)] all’obiettivo dello sviluppo, che l’attività politica degli Stati avrebbe conseguito, realizzandolo in conformità a quanto prescritto negli artt. 2 e successivi del Trattato, è cancellato. All’obiettivo dello sviluppo E’ SOSTITUITO un risultato consistente nella parità del bilancio a medio termine. Gli Stati, secondo il TUE, avrebbero conseguito l’obiettivo, valutando nella propria autonomia i limiti, le condizioni e le strutture del proprio Paese. Il grado di conseguimento sarebbe stato necessariamente diverso da Paese a Paese e per ciascun Paese di anno in anno. Il risultato che il regolamento sostituiva all’obiettivo avrebbe dovuto invece essere eguale per tutti i Paesi e in tutti gli anni per ciascun Paese. Se le strutture o le condizioni monetarie non avessero consentito di conseguire la crescita, la politica economica dello Stato ne avrebbe tenuto conto. All’opposto, nella DISCIPLINA DEL REGOLAMENTO, SE STRUTTURE O CONDIZIONI AVESSERO OSTATO ALLA REALIZZAZIONE DEL “RISULTATO” DELLA PARITA’, SI SAREBBERO DOVUTE MODIFICARE LE STRUTTURE ED INCIDERE SULLE CONDIZIONI, NON SI SAREBBE POTUTO VENIRE MENO ALL’OBBLIGO PERENTORIO DELLA PARITA’ DEL BILANCIO. Un totale capovolgimento, dunque, nel rapporto tra moneta e realtà. Secondo il TUE, se vi è contrasto, è la gestione della moneta a doversi adeguare alla realtà. Secondo il regolamento, è la realtà che deve adeguarsi alla moneta.

 

14.     Qui potremmo anche fermarci. Ai fini della dimostrazione che al 1.1.1999 è stata immessa sui mercati una moneta diversa da quella progettata da Pöhl, Delors, Carli quanto detto è più che sufficiente. La moneta, quale disciplinata dal TUE, era stata giudicata dal suo diretto responsabile ed utilizzatore, il Presidente Pöhl, corrispondente al preesistente “marco”. Per forza logica lo “euro” oggi circolante, disciplinato da norme diverse da quelle del TUE, non può per definizione considerarsi simile al vecchio “marco”.

 

15.     Sarebbero dovuti sorgere immediati dubbi sulla idoneità dell’euro voluto dal regolamento a produrre crescita. Il marco era stato fattore di sviluppo. Lo “euro falso” ha cancellato i poteri ed i mezzi di cui gli Stati avrebbero potuto e dovuto avvalersi per produrre sviluppo. Il regolamento non li ha sostituiti con altri poteri e mezzi. L’effetto di crescita, quale avrebbe dovuto prodursi in conseguenza naturale dell’obbligo imposto come permanente a tutti indistintamente gli Stati, era affermato in via “assiomatica”. Non trovava conferma in alcuna esperienza. Il debito pubblico dell’UK nel secolo della rivoluzione industriale e della espansione imperialistica superò quello antecedente o contemporaneo di qualsiasi altra economia. L’indebitamento USA, negli anni dal 1939 al 1945 aumentò vertiginosamente da poco più del 40% ad oltre il 100%. Furono immediatamente riassorbiti quindici milioni di disoccupati. Consentì agli USA di uscire dalla guerra quale principale potenza politica, militare, economica e scientifica nel mondo.

          Se non sono reperibili esperienze storiche conformi, se non vengono addotte a sostegno argomentazioni basate su rapporti di causa ed effetto oggettivamente verificabili, la fiducia nell’obiettivo assiomatico deve restare necessariamente ed unicamente affidata ai risultati. Dal 1999 ad oggi sono trascorsi 15 anni. Un periodo che nelle attuali condizioni storiche può considerarsi un tempo lungo, più che medio.

          Le risultanze statistiche sono inequivocabili. Italia, Germania, Francia, nei quattro decenni dal 1950 al 1991, con tassi medi del PIL pari rispettivamente a 4.36%, 4.05% e 3.86% (elaborazioni su dati omogeneizzati Maddison) risultavano nello sviluppo i primi tre Paesi democratici occidentali, precedendo USA (3.45%) ed UK (2.08%). Nei sei anni anteriori alla entrata in vigore del TUE (1987-1992) le medie, in conseguenza degli effetti costrittivi derivanti dall’ultima fase di attuazione del Piano Werner, risultarono rispettivamente del 2.68%, 2.05%, 2.91%. Sarebbero risultate superiori ai dati del sessennio della fase transitoria della omogeneizzazione (1.34%, 1.32%, 1.40%). Le medie complessive dei 15 anni successivi al 1.1.1999 sono state per i tre Paesi dello 0.38%, dell’1.36%, dell’1.38%. A partire dal 2000 i tre maggiori Stati membri, oltre a beneficiare della ormai consolidata disciplina della eliminazione anche fisica delle dogane, sarebbero stati avvantaggiati dalla eliminazione nell’ambito dell’area euro dei costi di transazione ed anche dall’aumento del numero dei partecipanti all’Unione (tredici in più) e distintamente all’euro (cinque in più). Ebbene, in una graduatoria insospettabile (v. Pocket World in Figures dell’Ecoomist, edizione 2013, pag. 30) degli Stati con minore sviluppo nel mondo nel decennio 2000-2010 l’Italia figura come terza peggiore economia, la Germania come decima peggiore economia, la Francia come quattordicesima peggiore economia. Ancora più significativa è la presenza di dodici Stati europei, se consideriamo anche quelli dell’Unione, tra i primi trentacinque della graduatoria dei peggiori nel mondo!

          Nella analoga graduatoria del decennio antecedente (1990-2000) non figurava nessuno Stato europeo. Si deve dedurre che il fattore cruciale ampiamente responsabile della depressione europea, e specificamente dell’area euro, deve avere cominciato ad operare poco prima o poco dopo l’inizio del nuovo millennio. In astratto avrebbe potuto trattarsi tanto di un fattore interno alla UE e/o alla zona euro, quanto di un fattore a questa esterno. Un’altra statistica esclude la seconda ipotesi. La media di crescita del PIL nel mondo nel ventennio 1975/95 era stata del 2.8% (v. Rapporto sullo sviluppo umano, 1999), la popolazione totale nel 1997 era pari a 5 miliardi e 741 milioni. E’ oggi di oltre 7 miliardi. Il tasso di sviluppo è stato superiore al 4% negli anni dal 2004 al 2013. Ha superato il 5% negli anni 2006 (5.3%), 2007 (5.4%) e 2010 (5.1%). L’intero mondo si caratterizza attualmente per una crescita continua e generalizzata in tutti i continenti. La media di crescita del PIL nell’area euro nel decennio 1991-2003 è stata del 2.2%. Quella del 2013 (previsioni per l’ultimo anno) è del -2% (v. anche per il dato riferito al mercato, USA, Economic Report of the President, 2013, pag. 452).

          La causa era dunque interna. Il fattore nuovo accertato nell’anno 1999 e/o nell’anno antecedente od in quello successivo, è l’immissione nei mercati dello euro “falso” disciplinato dal reg. 1466/97, a partire dal 1.1.1999. Non possono esservi dubbi. Il reg. 1466/97 è causa prima ed unica del fenomeno depressivo in corso nei singoli Paesi e nell’intera area euro dal 1.1.1999.

 

L’instaurazione di fatto di un nuovo regime

La soppressione della democrazia

 

16.     Vi è un ulteriore e distinto effetto diretto del reg. 1466/97 che supera per rilievo qualsiasi altro. E’ la soppressione della “democrazia”. E’ garantita, al livello massimo, la libertà individuale. A livello normativo sono garantiti anche diritti sociali. La libertà individuale ed il godimento di diritti sociali sono tuttavia presupposti necessari, ma non sufficienti della democrazia. Un regime può qualificarsi come democratico soltanto se gli individui, formanti una unica collettività, possono tutti in condizioni di assoluta parità influire sugli indirizzi politici attinenti all’esercizio della sovranità o comunque di carattere prioritario. Nelle condizioni attuali di sviluppo, sono da considerarsi prioritari gli indirizzi economici di base.

          L’influenza dei cittadini può essere esercitata in modo diretto od indiretto. Nelle grandi collettività, di norma in modo indiretto con il voto. Il voto deve essere espresso in condizioni di parità, nello stesso giorno (eccezioni sono ammesse per categorie che versino in condizioni particolari), con identiche modalità, in luoghi prestabiliti.

          IL REG. 1466/97 HA SOPPRESSO L’UNICO SPAZIO DI ATTIVITA’ POLITICA SOGGETTO ALLA INFLUENZA DEI CITTADINI DEI SINGOLI STATI MEMBRI, LO SPAZIO DELLE POLITICHE ECONOMICHE A MEZZO DELLE QUALI CIASCUN PAESE MEMBRO AVREBBE POTUTO E DOVUTO CONCORRERE AL PERSEGUIMENTO DELLO SVILUPPO, NELL’INTERESSE PROPRIO E DELLA UNIONE. La competenza politica degli Stati membri, oggetto di un diritto potestativo, non è stata sostituita da altre di eguale carattere politico. In sua vece è stato previsto l’obbligo degli Stati membri di realizzare un risultato specificamente definito (il bilancio in pareggio) di carattere primario ed eguale per tutti, la cui realizzazione si risolve in obblighi e doveri individuali, soggetti a poteri di vigilanza, a controlli e a direttive, ed i cui caratteri ed obiettivi sono prescritti.

          Soppresso ogni spazio di decisione politica, è scomparso anche il corrispondente spazio di espansione del principio democratico.

          Le direzioni di marcia dell’Unione e degli Stati membri sono segnate. Nel settore che nelle condizioni attuali di sviluppo condiziona tutti gli altri, e che è da considerarsi quindi assolutamente prioritario, quello della economia, i “governi devono fare i compiti” ad essi assegnati. Gli istituti democratici contemplati dagli ordinamenti costituzionali di ciascun Paese non servono più. Nessuna influenza possono esercitare i partiti politici. Scioperi e serrate non producono effetti. Le manifestazioni violente provocano danni ulteriori, non scalfiscono gli indirizzi prestabiliti. Atti dimostrativi come salire su torri e sostarvi al freddo per intere notti, e persino i gesti estremi quali il suicidio per tutelare la dignità personale offesa per il non poter pagare i salari ai propri dipendenti o non poter provvedere ai bisogni della propria famiglia, sono privi di effetto.

          Il mormorare, il chiacchiericcio diffuso sono liberi, ma dopo essersi affievoliti, si esauriscono. Sono efficacissimi invece per influire sui sistemi autoritari, fino a determinarne il crollo! (le barzellette!). Nel regime UE + euro sono libertà private, prive di effetti pubblici. Non si può abbattere il proprio governo se un governo, nelle materie economiche fondamentali, non esiste. Parole e gesti cadono nel vuoto.

 

17.     La eliminazione della fascia della politica provoca un effetto ulteriore. L’assenza di un potere politico di carattere generale e la sua assenza in tutte le parti attinenti alla sovranità ed ai principi fondamentali, comporta che tutte le condotte degli organi e dei loro titolari, formino oggetto di norme, singole o integrate, che ne determinano il carattere, ne precisano l’oggetto, ne determinano il se, il come ed il quando della concretizzazione. Il sistema risulta formato da fattispecie di carattere costrittivo, aventi ad oggetto condotte dalle quali promana il movimento delle singole parti e dell’insieme dell’organismo.

          Ne segue che nel momento in cui gli indirizzi ed il movimento complessivo siano stati sottratti ad ogni decisione “politica”, cioè libera, il sistema risulta autoprotetto. Il suo movimento può essere solo quello derivante dall’insieme delle condotte prestabilite. L’organismo si è robotizzato. Il più potente dei calcolatori può effettuare operazioni altrimenti impossibili. Ma perché ciò accada deve essere stato progettato a questo scopo. La macchina UE + eurozona comprende opzioni. Sono opzioni da esercitarsi entro ambiti, in condizioni e tempi, e con modalità direttamente o indirettamente predeterminate. Se sono stati commessi errori nella progettazione e se la macchina provoca danni, questi si produrranno sino a quando la macchina funzionerà. Funzionerà, continuando a produrre danni, fino a quando non imploda.

 

18.     Ogni effetto, una volta prodottosi, si trasforma in causa di effetti. Gli effetti del reg. 1466/97, dato il loro rilievo e la lunga durata, sono alla base di distinte serie causali produttive di effetti anche autonomi a ciascun livello, che in parte si cumulano e si intrecciano.

          Un primo effetto si collega alle modalità usate per pervenire all’adozione del regolamento, tutte dirette ad impedire che venisse percepita la portata delle innovazioni. Il regolamento, in vigore dal 1° luglio 1998 (v. art. 13), era destinato ad applicarsi a partire dal 1.1.1999. I programmi di stabilità avrebbero dovuto essere presentati prima del 1° marzo 1999 (art. 4). Se si voleva ottenere che non se ne diffondesse la conoscenza, il risultato è stato raggiunto al cento per cento. Ancora oggi la esistenza, la natura e gli effetti del regolamento, non sono generalmente conosciuti dai titolari degli uffici, le cui competenze nei singoli Paesi membri vi si connettono. E’ ipotizzabile che i ministri che parteciparono al Consiglio che adottò la proposta della Commissione recante la data del 18 ottobre 1996 (v. G.U. Comunità C/368/96) e che ne approvarono il testo definitivo il 7 luglio 1997, non si siano resi minimamente conto della portata del voto che esprimevano in rappresentanza dei rispettivi governi.

          Prodottosi il fenomeno depressivo a partire dal 1.1.1999, nessuno ha pensato al reg. 1466/97, le cui norme, ed in seguito i principi, sono rimasti in vigore per tutto il quindicennio successivo. Non essendo nota la causa originaria e quelle prodottesi anno dopo anno in conseguenza degli effetti cumulativi, si sono verificati effetti ulteriori che sono sotto gli occhi di tutti. Economisti, tra i quali un buon numero di premi Nobel, di tutte le parti del mondo, ci bombardano con consigli e ricette. Gli esperti dell’eurozona e quelli europei fanno altrettanto. Ma non conoscendola, e non potendo risalire alla causa, una causa peraltro così singolare e imprevedibile, ci si limita ad indicare risultati che si vogliono ottenere (sono i soliti:: aumento della occupazione, sostegno alle imprese, stimolazione della domanda, diminuzione del carico fiscale, rilancio della economia, e simili). Nessuno spiega come e con quali mezzi conseguirli.

          Ma responsabili ce ne devono essere. Non potendo risalire alla fonte, vengono indicati sempre gli stessi: la classe politica, gli sprechi, la spesa sanitaria, la inefficienza della pubblica amministrazione, i lacci della burocrazia, l’evasione fiscale, ecc. E poiché è il governo che dovrebbe eliminarli e non li elimina, il responsabile ultimo è sempre il governo. I governi precedenti e poi, né potrebbe essere diversamente, il governo in carica. Il governo, poveretto, fino a quando il Paese non verrà liberato dalla gabbia in cui si è rinchiuso, con reintegrazione dello stesso governo nella sua potestà politica, non può fare nulla.

 

19.     Gli effetti prodotti da quelli antecedenti trasformatisi in cause sono parecchi. Innanzitutto una grande confusione. Si aggiunge la diversità degli effetti prodotti nei vari Stati. La Germania, cui apparteneva la moneta (il marco) alla quale l’euro avrebbe dovuto assimilarsi, essendo stata assunta a modello ai fini della omogeneizzazione, non ha ricevuto quale effetto della stabilità danni emergenti. Ne ha probabilmente subiti di maggiori come lucro cessante, che però sono meno percepibili. Tanto basta perché venga ritenuta responsabile delle misure costrittive cui altri sono stati assoggettati. Ne seguono invidie, risentimenti, persino odi. All’inverso la Germania guarda con aria di superiorità, con sospetto ed anche con disprezzo i Paesi in peggiori condizioni. I Trattati europei esaltano la coesione. Non è stata raggiunta. Probabilmente, se continuerà ad applicarsi l’attuale regime, non lo sarà mai.

          Mentre pervenivano sollecitazioni da ogni parte del mondo, gli organi dell’Unione non potevano restare inerti. La crescita, quale risultato della parità del bilancio imposto con norme di applicazione generale, costituiva l’effetto di un assioma. Così è stato in medicina fino a tutto il ‘700. Non disponendo di strumenti per risalire alle cause, se si avvertivano sintomi gravi di cui non si conoscessero le cause, si ordinava il salasso. Se la prima applicazione non recava sollievo, se ne accrescevano le dosi. E così una terza ed una quarta volta. Lo stesso è accaduto per l’Europa. Poiché l’atteso sviluppo non si produceva, si deduceva che il principio della stabilità non era stato applicato con il necessario rigore. Sulla scia del primo regolamento ne è stato emanato quindi un secondo (reg. 1055/2005), poi un terzo (reg. 1175/2011), infine il Fiscal Compact. Fino a prevedere, per essere più sicuri nella applicazione delle ricette, che modifiche strutturali venissero prescritte ed imposte da organismi esterni. Un “commissariamento”!

 

20.     Nei quindici anni trascorsi dal 1.1.1999, sono stati ratificati e sono entrati in vigore nuovi Trattati, Nizza, Amsterdam, Lisbona. I Trattati sono pieni di affermazioni enfatiche. Sono stati creati nuovi organi. Si poteva abbondare. La disciplina continuava ad essere di fatto quella del reg. 1466/97 integrata dalle modifiche successive. Dove possibile, si è cercato di rafforzarla con parole accuratamente collocate, ma sempre evitando di dare nell’occhio. In quindici anni si sono accumulati centinaia di atti, di livello normativo o applicativo, ai quali ha partecipato un considerevole numero di titolari di funzioni connesse ai problemi europei, sia nell’Unione che nei Paesi di appartenenza. Molti politici ed amministratori hanno fatto carriera. Sono stati titolari o lo sono tuttora di uffici ai quali si connettevano responsabilità massime a livello europeo o negli ordinamenti costituzionali interni. La loro presenza in ruoli connessi all’Unione e/o all’euro è rassicurante. Genera speranza e fiducia. Un ulteriore ostacolo a che si comprenda come stanno effettivamente le cose!

          Ultimo ma non minore effetto derivato da questi intrecci è un “vuoto di potere”. Il vuoto viene colmato da istituzioni e da titolari che, a livello europeo e nazionale, siano posizionati in condizioni che consentano loro di avvalersene. Abbiamo così titolari di organi comunitari che impartiscono lezioni non richieste a governanti degli Stati membri. Lo stesso fanno, con autorità persino maggiore, titolari di organi di altri Paesi. In ciascun Paese organi, specie del livello più elevato, si espandono in aree contigue, a volte sinanche inferiori.

          La confusione è grande, grande il rumore. Ma la macchina robotizzata dell’Europa e dell’euro continua a macinare flussi di risultati negativi, e tranquilla e indifferente, prosegue indisturbata ed inesorabile nella direzione che le è stata imposta.

 

21.     Una osservazione conclusiva su quanto è accaduto il 1.1.1999. La dottrina distingue tra due ipotesi. La instaurazione di fatto di un nuovo governo (ossia del detentore dei poteri pubblici di vertice) e l’instaurazione di fatto di un nuovo regime.

          La “democrazia” è (deve essere) il principio fondamentale del regime degli Stati aderenti all’Unione europea. La democrazia è stata soppressa nel 1999 nell’eurozona e negli Stati senza deroga. In ciascuno degli Stati membri senza deroga, viene cancellato il diritto-potere di ciascuno di essi di influire sulla crescita con le proprie politiche economiche, i loro cittadini non hanno alcuna possibilità di influire sugli obblighi cui il proprio Paese, quindi essi stessi vengono assoggettati. Nell’eurozona perché non vi sono stati previsti organi politici responsabili nei confronti della totalità dei cittadini delle collettività che ne fanno parte assunti come entità unitaria. Ciò che è accaduto deve qualificarsi come “instaurazione di fatto di un nuovo regime”. Era accaduto in Francia con la “rivoluzione francese”, in Russia, nel 1917, con la rivoluzione bolscevica. Con queste differenze, che la rivoluzione francese, affermando i principi della libertà degli individui e delle imprese, sprigionò enormi energie esistenti. Quella collettivista creò vincoli che sarebbero risultati più stringenti di quelli anteriori, dei quali ci si voleva liberare. La rivoluzione francese e quella russa imposero, con la introduzione di nuovi regimi, anche la introduzione di vertici di un nuovo tipo. La rivoluzione, operata dal “falso euro”, concretizzatasi nel principio della stabilità, ha creato un regime autoreferenziale. In quello sovietico l’autoreferenzialità abbracciava larga parte della organizzazione. Ma il vertice ne era escluso. Con l’ulteriore differenza, che in quello sovietico si proclamava la conquista del potere da parte del proletariato. In quello della stabilità, manca un vertice politico e, accantonato l’obiettivo della crescita, domina, quale “dio” insondabile ed assoluto, un principio astratto che genera un movimento che inesorabilmente produce depressione e forse, alla fine, implosione.

 

22.     Altra considerazione. Va valutata attentamente. Potrebbe sconsigliare l’applicazione tardiva della disciplina della moneta del TUE ed oggi del TFUE (Lisbona). Con l’esperienza del “poi” si può oggi affermare che la richiesta che la nuova moneta somigliasse al marco era a sua volta inficiata da un “errore”. Si era tenuto conto della stabilità interna, non di quella esterna. La collettività tedesca era fortemente coesa. Non può trascurarsi che vi vigeva da quasi un secolo un sistema di Stato sociale, il più solido ed avanzato nel mondo. Intese collaborative tra imprenditori e classe operaia esistevano tanto a livello di organismi centrali quanto in forme istituzionalizzate, all’interno delle imprese. Non si tenne conto dell’ambiente esterno. Era stato fino a quel tempo a sua volta stabile. La stabilità esterna persisteva da oltre cinquanta anni. Appariva naturale e destinata a durare. Costituiva invece il prodotto di una situazione storica peculiare, la divisione del mondo in due grandi blocchi contrapposti, quello del mondo libero, che si avvaleva del regime di mercato, e quello collettivista che raggruppava i Paesi la cui organizzazione si ispirava, in varia misura, al modello amministrativizzato dell’URSS. Anche le regolazioni tra gli Stati, nel blocco collettivista, erano in qualche misura rigide. Era la stabilità esterna a garantire la stabilità interna, obiettivo e nello stesso tempo condizione per il successo della moneta e dell’economia tedesca.

          La stabilità esterna, proprio negli anni in cui vennero stipulati i due Trattati, dell’AUE e del TUE, cominciava a vacillare. Nel 1999 sarebbe mancata del tutto. Oggi le condizioni del mondo esterno sono l’opposto della stabilità.

 

23.     Adamo Smith affermava che il duplice evento della scoperta delle Americhe e della apertura della via marittima delle Indie, costituiva la più grande rivoluzione che vi fosse mai stata a partire dall’inizio della storia del mondo. Aveva visto giusto. Eppure la rivoluzione attualmente in corso nel mondo, quale si è sviluppata negli ultimi tre decenni e poco più, distacca alla grande quella antecedente, per innovatività, ampiezza dei risultati, velocità in cui gli stessi si producono.

          Cosa è accaduto nel mondo a partire dal 1982, qualche anno in più, qualche anno in meno? Tutto è partito dalla informatica. Il distretto di Silicon Valley, cui si doveva l’innovazione, aveva elaborato sulla sua base il progetto di guerre stellari. Il Ministero USA della Difesa ne intuì la importanza strategica e le potenzialità. Avrebbe restituito agli USA il primato tecnologico, assoluto alla fine del conflitto, in seguito affievolitosi.

          La Presidenza USA (Reagan) sostenne la proposta. In qualche decennio nulla sarebbe stato più come prima. Si farà cenno tra poco di alcuni tra i moltissimi sviluppi. Un esame analitico e completo porterebbe troppo lontano. Ma una loro manifestazione recente non potrebbe non essere segnalata. E’ significativa. Mentre miliardi di uomini vivono e si agitano sul pianeta, un piccolo nucleo di donne e di uomini convive da anni in una stazione orbitale. Vi si trattengono per periodi definiti, sempre più lunghi. Provengono dai più diversi Paesi. La convivenza è pacifica ed ordinata. Astronavi periodicamente vi recano cosmonauti che sostituiscono quelli che hanno completato le missioni ad essi specificamente affidate. Vi trasportano viveri. I terrestri hanno creato un satellite minuscolo. Un piccolo pianeta che orbita intorno alla terra e che con la terra mantiene contatti “umani”. In ciò la sua straordinarissima novità.

 

24.     I fattori dello sviluppo, quindi della grandiosa rivoluzione in corso, formano serie distinte. I loro effetti si sono consolidati, incrociati, integrati come sempre accade quando più fattori operano in uno stesso ambito. In questo caso il loro numero è enorme e l’ambiente è quello del “globo” nella sua interezza.

          Una prima serie causale è quella delle variazioni a livello di individui singoli e delle collettività cui gli stessi danno luogo. Tutti, dovunque si trovino, possono oggi avere facile accesso a qualsiasi tipo di informazione, comprese quelle di carattere culturale, scientifico, tecnico, politico, della convivenza sociale, e così via. Tutti possono esporre le proprie opinioni su qualsiasi tema e renderle disponibili a chiunque voglia conoscerle. Tutti possono comunicare con qualsiasi mezzo da un luogo all’altro del globo in tempo reale. In qualsiasi tipo di rapporto, scientifico, di lavoro o di altro tipo, la collaborazione organizzativa e nel lavoro ed il controllo possono aversi anche tra soggetti operanti in luoghi molto distanti. Ci si può recare liberamente quasi dappertutto. Le merci vengono trasferite in grandi volumi in luoghi lontani con mezzi e tecniche velocissimi. I costumi di vita e collettivi, in dipendenza da questa ed altre trasformazioni, si sono dovunque a loro volta radicalmente modificati, in larga parte omogeneizzati. Il che incide sui consumi, quindi sulle produzioni, sui servizi. Anche sul peso dell’umanità, sui singoli territori e sul globo.

 

25.     Una distinta serie causale concerne le istituzioni. Una parte molto attiva ha svolto e svolge una istituzione le cui origini risalgono agli anni ’60 del secolo scorso. La sua importanza è andata continuamente crescendo. E’ autonoma protagonista degli attuali processi di trasformazione. Va sotto il nome di “finanza internazionale”. E’ un sistema che opera fuori dal controllo delle banche centrali. I soggetti che la compongono non sono tutti esattamente identificati. Vi partecipano, venendo denominati come “sovrani”, “fondi” istituiti da Stati, che non perseguono fini pubblici specifici. Anche gli strumenti di cui la finanza internazionale si avvale non sono tutti identificati. Sono riconducibili, sembra, alla denominazione omnicomprensiva di “derivati”. Alla finanza internazionale vengono attribuite le più varie responsabilità. La “finalità” specifica è il profitto. Quanto realizzato viene reinvestito. Concorrono alla finanza internazionale organismi illeciti, che operano nei settori della droga, della vendita di donne, bambini, organi umani ed altro, per investire gli ingenti ricavi e anche per ripulirli. Di recente ha acquistato una certa diffusione una novità rappresentata dalla moneta elettronica. Gli emittenti ed i gestori restano sconosciuti.

          La finanza internazionale ha avuto probabilmente una parte non trascurabile, che peraltro si è riusciti a celare, nella redazione della nuova disciplina dell’UE e dell’euro. In particolare per quanto riguarda i principi della libertà di impresa, della eliminazione dei poteri autoritari degli Stati nella economia, nell’apertura dei mercati, nella riduzione dei dazi doganali, ed altro.

          Un ruolo decisivo la finanza internazionale ha svolto nel porre a disposizione dei mercati gli ingenti volumi di risorse necessarie per gli imponenti investimenti che venivano realizzati.

          A livello istituzionale grandi novità, alcune inattese, sono state la apertura al mercato(1978) di una prima fascia costiera della Cina, cui presto altre se ne sarebbero aggiunte. Fu una decisione di Deng, il leader cinese che era riuscito a concentrare, dopo Mao, l’intero potere nelle sue mani. Preesistevano segni di risveglio. Dai primi anni del 1980, come in anni ormai lontani vi era stata la “lunga marcia” verso il potere di Mao, cominciò in Cina la “grande marcia” nella direzione della crescita. Il Paese conta ora un miliardo e più di trecento milioni di persone, si è sviluppato ad un tasso medio del 9%, passando dalle condizioni di Stato con medio sviluppo (numero 98 in una classifica risalente al 1997, Rapporto sullo sviluppo umano, 1999) a quello di seconda economia del mondo.

          Nel 1990 le due Germanie si riunificavano. Nel 1991 l’URSS implose. Nel 1986 venne stipulato l’AUE, cui avrebbe fatto seguito nel 1992 il TUE. Dell’Unione europea si è già trattato, ed ancora si tratterà. Fa parte del TUE anche una norma scarsamente citata, la cui influenza sui processi di trasformazione del mondo sarebbe stata importante, forse decisiva. Ci si riferisce all’art. 110 TUE che consacra l’intendimento dell’Unione di “contribuire allo sviluppo armonico del commercio mondiale, alla graduale soppressione della restrizione degli scambi internazionali ed alla riduzione delle barriere doganali”.

          Il messaggio dell’Unione fu raccolto. Nel 1994 l’Uruguay Round, la complessa trattativa nella quale si concordarono tariffe doganali uniformi per la grande parte delle merci scambiate nel commercio mondiale, giunse a conclusione. Il 1.1.1995 fu creata la World Trade Organization (WTO).

 

26.     Abbiamo citato la disponibilità di liquidità sufficiente per volumi di investimento di qualsiasi dimensione e l’affievolimento generalizzato delle barriere doganali. Dobbiamo aggiungere la trasformazione in Stati indipendenti di anteriori componenti dell’URSS. Disponevano di grandi quantità di materiale nucleare residuato, oltre che di riserve di petrolio e di materie prime. Nello stesso tempo antecedenti colonie si trasformarono in Stati indipendenti, in Asia e in larga parte dell’Africa. Si realizzò presto che questi vasti territori possedevano enormi ricchezze, non solo di petrolio, ma anche di materie prime “rare”, la cui valorizzazione ed il conseguente elevatissimo prezzo, era frutto delle straordinarie innovazioni scientifiche. I nuovi Stati disponevano anche di vasti territori, utilizzabili per produzioni agricole di interesse di altri Paesi, in particolare la Cina. Va aggiunto che i nuovi Stati ed anche Cina ed India disponevano nell’immediato di serbatoi, che apparivano inesauribili, di mano d’opera a bassissimo costo. Si inserivano nel processo, come fattore non secondario, i ricchissimi Stati del Golfo, nei cui territori sono concentrate le maggiori risorse petrolifere. Nel passato avevano impiegato scarsamente le loro risorse in “loco”, per ragioni culturali ed anche per mancanza di mano d’opera. Nel nuovo clima mondiale, con radicali inversioni nei loro indirizzi, si sono impegnati in gigantesche operazioni di trasformazioni urbanistiche che hanno cambiato negli aspetti culturali e nelle forme di convivenza i rispettivi Paesi. E’ stato possibile avvalersi degli straordinari giacimenti di mano d’opera a buon mercato, esistenti nelle aree più distanti del globo, molte nell’estremo est asiatico.

 

27.     Ogni effetto, prodotto da fattori anteriori, è causa immediata e necessaria di effetti ulteriori. Lo abbiamo sottolineato più volte. Queste indicazioni a grandissime linee sulla “grande rivoluzione” di cui il mondo nello stesso tempo è oggi protagonista e fruitore, comprende tre distinte serie di effetti. La prima è che si è radicalmente trasformata la geografia economica nel mondo. Il già citato “World in figures” dell’Economist, ed. 2013, pag. 30, elenca le 54 economie con il più elevato tasso di sviluppo nel decennio 2000-2010. Sono Stati, a cominciare dal primo (Equatorial Guinea, tasso del 17.0%) i cui nomi a molti risulteranno del tutto nuovi. Si è dato il tasso medio del primo. I nove successivi hanno medie del 9%, i primi sei superano il 10%, gli altri vanno dall’8% al 9%. Figurano nell’elenco Cina (6° posto) ed India (20°). Dell’Europa vi appare la sola Albania (tasso del 5.5%), uno dei pochi Paesi europei, che non fa parte dell’UE. Di americani ve ne sono tre, Panama, Perù e Repubblica domenicana. Tutti gli altri appartengono all’Africa e all’Asia.

          Seconda serie di effetti indiretti. Della nuova tecnologia si sono avvalsi indirizzi terroristici (attentato alle Due Torri di New York e a siti governativi degli USA dell’11 settembre 2001) nonché movimenti di masse appartenenti a fedi non solo religiose, con iniziative che hanno sconvolto intere regioni (es. la c.d. primavera araba) e che a livello mondiale possono assumere carattere terroristico.

          Terza serie di effetti indiretti. Come è accaduto per la geografia economica, così è stata modificata anche la geografia politica del mondo.

          Implosa l’URSS, gli USA, che a partire dalla fine degli anni ’80 avevano riacquistato il primato nella innovazione e nella forza militare, si sono “dichiarati” potenza egemone nel mondo. Lo sono stati effettivamente in quella fase. Ne hanno abusato. Dimenticando quanto era avvenuto in Vietnam si sono impelagati in conflitti nella area asiatica orientale. Il prestigio ne è stato compromesso. Ma non è questo l’aspetto più rilevante. Il bilancio commerciale USA per decenni è stato costantemente in passivo. Il pareggio è stato conseguito vendendo dollari, il biglietto verde, acquistato e tesaurizzato in tutte le aree del mondo. Il dollaro è la moneta che le banche centrali hanno da lunghissimo tempo privilegiato nel costituire le loro riserve. Per decenni i maggiori detentori di dollari in riserva sono stati tre Paesi amici, Germania, Giappone ed Italia. Da qualche anno il maggior creditore degli USA è la Cina, il principale competitore. Le riserve cinesi nel 2011 ammontavano a 2.087.326 milioni di dollari (Report of President, 2013, pag. 451). I due Paesi, il creditore ed il debitore, sono legati. Il creditore ha interesse a non svalorizzare il credito. Il debitore deve cercare che nulla avvenga che induca il creditore a vendere. Si aggiunge ora che le medesime pressioni ideologiche e non, che hanno spinto l’Europa a legarsi al principio della stabilità del bilancio, hanno indotto gli USA, il cui rapporto debito/PIL a causa probabilmente delle esigenze della Difesa, tocca il 107.7% (Report cit., 2013, pag. 418) ad autovincolarsi al rispetto nel debito di un limite massimo. Per ragioni diverse, gli USA versano in difficoltà simili a quelle della zona euro. Accanto ad USA e Cina vi sono Stati di rispettabile grandezza e forza economica. Alcuni fanno capo agli USA, altri alla Cina.

          L’assetto attuale non può considerarsi rassicurante nelle presenti condizioni del mondo.

 

28.     Mettiamo gli uni accanto agli altri gli elementi raccolti. Liquidità disponibile, masse di lavoratori a basso costo, corsa all’accaparramento di materia prime, alcune preziose, e di terreni e produzioni agricole. Flussi imponenti di domanda, di merci e di liquidità, con i connessi interessi, si spostano veloci da un luogo all’altro, dall’uno ad un altro settore. Variazioni dei valori di cambio tra le principali monete si riflettono su settori commerciali e produttivi anche non contigui, né connessi. Nessuno può conoscere le mosse di tutti gli altri. Il ruolo attuale dell’Europa nel mondo, sono stati altri a scoprire, è parecchio lontano dalle sue tradizioni. L’Europa è il principale acquirente di beni e servizi dagli USA. E’ il mercato dove le multinazionali USA realizzano i maggiori profitti. E’ il principale investitore negli USA. E’ nello stesso tempo il secondo importatore dalla Cina preceduto solo dagli USA (Report del Presidente degli Stati Uniti al Congresso, anno 2012, pag. 131 e segg., e 2013, pag. 46). Se l’economia europea langue o, peggio, versa in fase di continua depressione, rallentano le economie statunitense e cinese. Da queste il contagio si allarga ad altri Paesi. L’Europa, per millenni esportatrice di civiltà, apprezzata quale migliore importatore di servizi e prodotti altrui!

          Per comprare si deve produrre. Sulla capacità dell’Europa non possono esservi dubbi. Tanto per fare un esempio, l’Europa è il primo esportatore di prodotti manifatturieri nel mondo. C’è un dettaglio che rende ancora più interessanti queste riflessioni. Germania, Francia ed Italia sono i tre Paesi, che a partire da tempi molto diversi e con conformazioni diverse, avevano realizzato il modello dello Stato sociale nella misura più ampia o che allo stesso tempo nel quarantennio 1950-1991 avevano raggiunto la media più elevata nel tasso di sviluppo del PIL. La formula dello Stato sociale, senza che ce se ne accorgesse, ha capovolto la profezia marxiana della proletarizzazione della borghesia. L’ha sostituita con l’imborghesimento del proletariato. In un modello evoluto di Stato sociale i confini tra le due categorie si confondono. Le condizioni di benessere, ed i modi correlati di vita, come era nelle aspirazioni del proletariato, sono divenuti in larga misura quelli della media e piccola borghesia.

          Può assumersi che al 1° novembre 1993, data dell’entrata in vigore del TUE, fossero ancora presenti nei tre maggiori Stati continentali (Francia, Germania, Italia) gli effetti della gloriosa cavalcata quarantennale dal 1950 al 1990. Il 70% circa della popolazione dei tre maggiori Paesi continentali europei condivideva a quel tempo, nella media, i modi di vita della media e piccola borghesia. Una percentuale corrispondente ad un numero di centri di spesa valutaria dai 130 ai 140 milioni. I centri di spesa ascrivibili alla media e piccola borghesia e a fasce assimilabili sono i naturali acquirenti di beni durevoli di uso individuale o familiare e di quelli di largo e generale consumo. In concreto di quelli alimentari e dei manifatturieri minori, cui bisogna aggiungere i servizi la cui fruizione è legata alla vita quotidiana. Se consideriamo ora i dati statistici relativi ai settori nei quali le importazioni da USA e da Cina negli anni 2009, 2010 e 2011 sono diminuite, constatiamo che la diminuzione si è verificata in una percentuale all’incirca identica per USA e Cina, nei comparti agricoli e delle manifatture (perdita di 21 punti per gli USA, dai 30 ai 31 punti per la Cina). Per gli USA bisognerebbe tenere conto anche della diminuzione dei profitti delle multinazionali USA operanti nel settore dei beni di largo e grande consumo. E poi, anche della diminuzione indotta in altri settori. Il depauperamento in Europa della fascia dei fruitori della formula dello Stato sociale si riverbera negativamente sulla economia di USA e di Cina. Chi lo avrebbe detto?

 

29.     Seconda riflessione, in una direzione del tutto diversa. Il ruolo attribuito all’Europa nel concerto mondiale di maggiore acquirente è sconfortante. Nell’attuale situazione potrebbe tuttavia avere un risvolto positivo. La finanza internazionale, nel timore di un rallentamento generalizzato del commercio mondiale, potrebbe essere interessata a non indebolire ulteriormente l’Europa, la cui domanda non è non insignificante per le economie sia degli USA, che della Cina. Potrebbe essere a ciò attribuito l’allentamento delle pressioni dei mercati finanziari sui titoli, compresi quelli a lungo termine, di Stati membri in fasi in cui le risultanze economiche dei singoli Paesi giustificherebbero una tendenza opposta. E’ una mera ipotesi. Ma ci si riferisce ad un settore che per sua natura esclude che si possano raccogliere dati sicuri. Una ipotesi quindi che ex post potrebbe risultare corretta!

 

30.     Su un medesimo obiettivo possono concentrarsi interessi in misura superiore a quanto l’obiettivo possa raccoglierne. La formazione di bolle e la loro esplosione sono fenomeni che non possono escludersi. Sono maturate nel mondo condizioni, ed anche un clima generale, che potrebbero assimilarsi, in più ampia proporzione, alla grande epopea americana della conquista del West. Ma esisteva allora un governo, quello Federale degli USA. Agli indesiderati si poteva precludere l’accesso. Ci sono ora forze non controllate che potrebbero improvvisamente agitare le acque. Ed un Governo centrale non c’è!

          Il duopolio USA/Cina, su cui convergono BRICS ed altri Paesi, non sembra avere forza sufficiente per imporre, in caso di improvvise rotture, il ritorno all’ordine. C’è un anello che manca.

 

Cosa fare?

 

31.     Non è facile a dirsi. Vi è un ostacolo che potrebbe considerarsi dirimente. Si aggiungono ostacoli connessi.

          L’ostacolo dirimente è conseguenza diretta della inesistenza di un vertice politico. L’UE e l’eurozona costituiscono un organismo “robotizzato” complesso. I titolari degli organi, a tutti i livelli, compresi quelli più elevati, sono tenuti ad osservare e a far osservare le norme in vigore. L’avrebbero dovuto fare i titolari degli organi negli anni 1996-1999. Non lo fecero. Purtroppo lo fanno oggi. Vi sono costretti!

          Per derobotizzare il sistema occorrerebbe un colpo di Stato, diretto alla creazione di un nuovo regime (democratico) o quanto meno per reintrodurre, sia pur tardivamente, quello soppresso nel 1999. Apppare difficile che avvenga.

 

32.     Un ostacolo, se ne è fatto già cenno, potrebbe essere rappresentato dal coinvolgimento di attuali detentori della titolarità degli organi costituzionali dell’Unione ed in particolare degli Stati membri, nella adozione degli atti con i quali fu attuato il golpe del 1999 (ipotesi, dato il tempo trascorso, che potrebbe riguardare oggi un numero limitato di soggetti) ovvero nell’adozione e nella emanazione di atti applicativi o comunque derivati dal reg. 1466/97 e da quelli ad esso successivi, e/o che a tali abbiano dato seguito, mentre sarebbe stato loro dovere istituzionale impedirne l’adozione o rimuoverne gli effetti. E’ un gruppo probabilmente folto. La questione va considerata avendo riguardo non alla sola Unione, ma anche e forse soprattutto, ai singoli Paesi membri senza deroga.

          Il passato coinvolgimento nell’adozione degli atti illegali e/o nella loro esecuzione di titolari attuali di organi costituzionali degli Stati membri che nella ipotesi già esaminata appariva un ostacolo, potrebbe alternativamente trasformarsi in fattore favorevole. Molti, specie qualcuno degli anni più recenti, sono stati influenzati dai precedenti, cui in buona fede potrebbero avere ritenuto di doversi attenere. Scoperta “la verità”, stimolati dalle loro attuali posizioni di autorità, potrebbero proporsi essi stessi come attori e protagonisti del processo di restaurazione innovativa.

 

33.     Le condizioni disastrate della economia si sono riflesse sulla classe politica e nelle condotte comuni. La classe politica attuale risente della assenza di prospettive, effetto della robotizzazione. Ci sarà qualcuno pronto ad alzare la bandiera della “rivoluzione”, cioè di quanto si dovrebbe fare per spalancare le porte che si aprono sul futuro (la rinascita)? Si, è possibile. Nel 1945 UK, USA, URSS, continuavano ad essere governate dagli artefici della vittoria. Germania, Italia ed anche la Francia in qualche misura ebbero governanti nuovi. Alcuni di questi erano all’inizio sconosciuti. Avrebbero retto le responsabilità collettive con prestigio e successo. Sono le grandi emergenze storiche a creare i grandi personaggi, non l’inverso. Emerse le prospettive, un politico di antica esperienza, o giovane già affermato, od anche uno del tutto nuovo, potrebbe assumere il ruolo di protagonista.

 

34.     E’ possibile derobotizzare legalmente il sistema?

          La robotizzazione si lega alla peculiarità del singolo sistema. Per dipanare le componenti, bisogna individuare innanzitutto il principio primo ante robotizzazione e confrontarlo con quello del sistema robotizzato. Il principio primo va desunto dalla disciplina. Quale è la disciplina “legale” oggi in vigore? E’ quella del Trattato di Lisbona, stipulato il 13 dicembre 2007, entrato in vigore il 1° dicembre 2009. E’ una fonte di rango massimo. Abroga, se anteriori, tutti gli atti con essa incompatibili, di rango pari o inferiore. Preclude l’osservanza, con effetto immediato, degli atti inferiori successivi, se incompatibili. Prevale su quelli successivi affetti da “inesistenza”. Nel Trattato di Lisbona gli artt. 102 A, 103, 104 c) del TUE sono riportati testualmente negli artt. 120, 121 e 126.

          Non basta tuttavia che si individui con esattezza il diritto vigente. Occorre che sul punto si formi un fermo e diffuso convincimento generale.

          Ne consegue che tanto per cominciare ogni operatore giuridico pubblico di qualsiasi livello, non deve farsi suggestionare da falsi idoli o da non dovuti rispetti. Le imposizioni, i suggerimenti od anche le semplici manifestazioni di opinioni che siano espressione di principi, od applicazione di norme e di atti che non siano riconducibili al TFUE (Lisbona), devono essere respinte con fermezza. Bisogna essere implacabili nell’esigere che qualsiasi atto od anche semplice manifestazione di opinione di titolari di funzioni nell’Unione o in singoli Stati membri che prenda iniziativa o faccia dichiarazioni sui Paesi diversi dal suo, specifichi in modo formale e preciso la norma del TFUE sulla quale ritiene di poter basare la sua condotta. Se la indicazione non risulta esatta va richiesto con fermezza il riconoscimento dell’errore, riservandosi di farne valere le responsabilità.

          Dopo quindici anni di diffusa e dominante illegalità il primo passo, assolutamente necessario, deve essere diretto a ricondurre la generalità delle condotte al rispetto della legalità.

 

Come fare?

 

35.     Ristabilire la democrazia e diffondere il convincimento della necessità del ritorno alla legalità sono passi necessari. Ma non può essere trascurato il fattore tempo. Servono decisioni, che se arrivano tardi, potrebbero non essere più sufficienti, forse nemmeno più idonee.

          Tutti gli Stati a partire da quelli con deroga potrebbero essere interessati alla questione che si va ad esaminare. Lo sono principalmente i Paesi membri senza deroga, in numero di 17. Potrebbero decidere di mettere in comune la loro sovranità creando una nuova entità politica, cui affidare la gestione di una moneta comune a sua volta di nuova creazione. Nessuna norma del TFUE lo vieta. Gli Stati conservano piena la titolarità della loro sovranità. Ne possono far uso in piena libertà, sempre che non vi ostino disposizioni di diritto europeo. La moneta comune creata dai 17 Stati avrebbe titolo a circolare con valore legale all’interno dell’Unione alla stregua delle monete nazionali di singoli Paesi dell’Unione, quali ad esempio la sterlina inglese e la corona svedese. L’originario TUE ed i Trattati successivi non fanno distinzione tra l’una e l’altra moneta degli Stati senza deroga in base alle dimensioni ed alle peculiarità delle economie.

          Vi sono però due difficoltà. L’una è rappresentata dalla urgenza. Se non si raggiunge un accordo in tempi brevi, si rischia di arrivare in ritardo. L’area dei Paesi che si avvicinano in modo preoccupante al punto di rottura si va allargando. Una implosione, singola o plurima, accrescerebbe le divisioni.

          La seconda consiste nel mancato conseguimento della “coesione”. La Germania, il Paese con maggiore popolazione, con la più forte economia, non ha dovuto soggiacere a modifiche rilevanti della propria conformazione. E’ stata una delle tre economie chiamate a costituire il modello al quale, nella fase della omogeneizzazione le altre economie dovevano conformarsi. Ha subito danni consistenti della specie del “lucro cessante”. Gli altri Paesi danneggiati in misure generalmente minime per lucro cessante, hanno subito danni emergenti, in misura rilevante.

          La diversità dei risultati ha in qualche misura deteriorato i rapporti. Alla soluzione ottimale si perverrà. Ma richiederà tempo.

 

36.     Il risultato se conseguibile in astratto dai 17, potrebbe essere raggiunto in minor tempo e minore difficoltà da un piccolo gruppo.

          Difficoltà ve ne sarebbero egualmente, ma di tipo diverso. I singoli Paesi euro, se decidessero di agire da soli, sarebbero esposti alle pressioni dei mercati, ed anche di qualche Paese estraneo all’Unione che aspirasse ad acquisirne il controllo economico e/o politico. La soglia minima, presupposta la creazione di un vertice politico comune, è rappresentata dal raggiungimento di un livello di PIL sufficiente per reagire in modo adeguato alle pressioni esterne. Lo si potrebbe ipoteticamente indicare in un livello da collocarsi tra il sesto ed il settimo posto nel mondo. Sono almeno tre i Paesi senza deroga per i quali la distanza dal punto di non ritorno si è accorciata in modo preoccupante. Ovviamente non si fanno nomi. Dell’Italia si può parlare. Il raggiungimento del punto di non ritorno richiederebbe ancora un buon tratto di cammino, almeno così si spera. Aggiungendo l’Italia ad altre tre ipotetiche economie dell’area euro si raggiungerebbero dimensioni che in una classifica mondiale collocherebbero le nuove entità intorno al decimo posto per popolazione e probabilmente intorno al quarto nel PIL. Se vi si aggiungesse la Francia, per popolazione potrebbe ipotizzarsi un posto tra il quinto ed il sesto, mentre per il PIL sarebbe quasi sicuro il secondo posto, inferiore solo agli USA.

 

37.     Perché l’Italia e perché la Francia?

          L’Italia è stata faro di civiltà per millenni. Dopo la stupefacente unificazione dell’Europa, realizzata dall’impero romano, prolungatasi per secoli, nel ‘400 e nel ’500 del primo millennio, pur divisa e soggetta in parte a poteri esterni, ha acquistato una posizione di preminenza con l’Umanesimo ed il Rinascimento, cui si aggiungeva un eccezionale livello di fioritura economica ed anche di potenze militare e politica in singole entità politiche regionali. In Europa, salvo episodi marginali dovuti alla fase autoritaria, l’Italia non ha mai preteso di prevalere con le armi su parti di Paesi confinanti.

          La Francia è da più di un millennio il Paese europeo più noto nel mondo. Re Luigi era già conosciuto in Mongolia quando un francescano olandese, Rubruck, chiese di presentarsi a suo nome a Mangu Khan, erede di Gengis Khan, recandosi da lui nel lontano Caracorum nel 1253, qualche decennio prima del viaggio di Marco Polo. Era un semplice caso che il gioielliere di corte fosse un francese? E che il figlio del gioielliere facesse da interprete in un dibattito tra Rubruck, il locale capo religioso musulmano, ed il rappresentante delle fedi locali? La Francia fu tra i primi Paesi a ricevere informazioni sull’avvicinarsi del pericoloso Tamerlano. In un primo tempo alleato di fatto per aver vinto e fatto prigioniero il tremendo nemico dei crociati, l’ottomano Bayezid, ma poi? Al re di Francia Tamerlano inviò una sua ambascia. Anche Tamerlano aveva avvertito la necessità di conoscere un suo forte e probabile prossimo avversario prima di avventurarsi in Europa. Optò poi per la Cina. Prima di raggiungerla, morì. Pietro il Grande si recò in Francia di persona, per studiarne l’organizzazione amministrativa. Di lì nacque la burocrazia zarista, sfociata secoli dopo nel collettivismo. A sua volta, Maria Teresa d’Austria, ebbe cura di far studiare le grandi istituzioni del Regno di Francia, Accademie, teatri, musei e l’organizzazione amministrativa. Il modello sarebbe stato recepito dalla Amministrazione asburgica la cui efficienza sarebbe rimasta proverbiale anche nei Paesi occupati non germanici. La Francia, fino a Napoleone (un corso!) non ha occupato e detenuto con la violenza territori di Stati vicini. Fa eccezione il regno angioino nell’Italia meridionale. Ma che dire allora di Federico Barbarossa e del secolare dominio spagnolo nell’Italia meridionale e della presenza asburgica nell’Italia settentrionale? Il sogno europeistico di Napoleone fallì. Ma Napoleone fu presente alle più importanti discussioni per la formazione del Code Civil che, recepito dalla maggior parte dei Paesi europei, nella regolazione dei rapporti tra privati si sarebbe sostituito al “diritto comune”, erede di quello giustineo, erede a sua volta di quello romano e che aveva dominato per secoli in tutta l’Europa. La Francia è stata governata per parecchi decenni da stranieri. L’italiano Mazarino, ma anche due importanti regine, entrambe di casa Medici, Caterina e Maria! A tre grandi personaggi che ressero la Francia per lunghi periodi quali di fatto potenti primi ministri fu concessa la berretta cardinalizia, privilegio che nessun altro Stato europeo avrebbe potuto vantare. Furono Richelieu, Mazarino ed un terzo, De Fleury, inizialmente precettore, poi di fatto primo ministro di Luigi XV, ma che potrebbe essere stato non meno importante degli altri due, per il lungo periodo di pace che riuscì a garantire al Paese. Sconfitta nel 1870 la Francia, nella esposizione universale che seguì a breve, già primeggiava quale potenza civile, culturale, politica. Fino all’ultimo conflitto mondiale Parigi occupava nel mondo la posizione di prestigio che sarebbe stata poi di New York. Sono segni minimi, quelli elencati, ma sufficienti a testimoniare l’idoneità della Francia a rappresentare l’Europa. E come dimenticare l’apporto di Schumann, Monnet, Barre e Delors alla costruzione europea?

 

38.     Passo dopo passo ci stiamo avvicinando al traguardo. Se si riuscisse partendo da un piccolo gruppo a creare un potere politico unico che gestisca una moneta comune, si aprirebbe un sentiero. Presto si aggiungerebbero altri, sino ad aggregare tutti. L’aggregazione iniziale in un piccolo gruppo renderebbe più facile la sperimentazione di forme organizzative, anticipatrici di quelle definitive.

          Il passo successivo richiede il superamento di altre difficoltà. Abbiamo affermato, ma non ancora spiegato, se il TUE ed ora il TFUE (Lisbona) consentano che uno Stato senza deroga, che abbia superato a suo tempo lo scrutinio per l’ammissione all’euro, accertatane la maggiore convenienza nelle condizioni attuali, abbia il diritto di chiedere individualmente in qualsiasi momento e di ottenere il passaggio dalla disciplina di Paese senza deroga a quella di Paese con deroga.

          La risposta è affermativa. L’ammissione all’euro si basa su una decisione volontaria. Si è acquisito un diritto al quale si può rinunciare. Non è prevista alcuna durata per la permanenza nel rango dei Paesi con deroga. Sono ammessi anche Paesi che non hanno i requisiti per accedere all’euro o che, avendoli, non ne hanno il desiderio. Non si vedrebbe come si potrebbe impedire a che del regime con deroga si giovino Paesi, che avendo partecipato con entusiasmo all’eurozona, abbiano dovuto constatare di non avere tratto il beneficio che l’Unione aveva garantito, una  crescita dalle caratteristiche di cui all’art. 2 TUE.

          Il passaggio al regime con deroga comporta che si risolvano problemi applicativi. Principale quello della determinazione del cambio tra la nuova moneta comune e l’euro. Sono problemi noti, che si pongono all’atto della ammissione di qualsiasi nuovo Stato nell’Unione Europea. La determinazione del valore di cambio di una moneta comune di più Stati esentati dall’euro, costituirebbe in più una appropriata sede per comporre amichevolmente la questione del risarcimento dei danni provocati dall’Unione a ciascuno dei Paesi esentati a seguito della imposizione illegale di una disciplina dell’euro diversa da quella pattuita all’atto della stipulazione del Trattato UE.

          Una’altra difficoltà sembra più difficile da superare. La “Democrazia” richiede condizioni di parità tra tutti indistintamente i partecipi nell’influenza esercitabile sul potere politico, responsabile della moneta e della economia comuni. Nel momento del voto, paritario in tutti gli aspetti, tutti diventano partecipi di una entità, che è la stessa per tutti. In quel momento, anche negli orientamenti che ne proverranno e di cui si sarà destinatari, tutti implicitamente e necessariamente avranno abbandonato la specifica entità di cui facevano parte per entrare in quella comune, che è di tutti. Nell’esprimersi con un voto, che corrisponda in modo esatto e completo al principio democratico, non si è più partecipi della nazione originaria. Tutti concorrono al consolidamento della nuova nazione, quella europea. Alcune delle identità nazionali in Europa sono relativamente recenti. Sono frutto di lotte e sacrifici. Non è semplice dismetterle, sia pur per realizzare uno storico avanzamento. Altre identità presenti in Europa, egualmente frutto di lotte e di sacrificio, sono più apparenti che reali. L’esempio lasciatoci da Roma nella costruzione del suo impero è emblematico. Alcuni dei suoi più importanti imperatori non erano né romani, né italici. Il nuovo livello di identità non eliminava quello antecedente. Lo integrava.

 

Si conclude

 

39.     Siamo arrivati alle conclusioni attraverso una serie di passaggi. Perché risultino più chiare, conviene riepilogarle.

          Il sistema europeo è stato basato su pilastri esattamente definiti:

a)       Gli Stati avrebbero conservato la loro identità e la loro sovranità.

b)      L’Unione non avrebbe avuto un vertice politico.

c)       Si creava un grande mercato unificato, basato sui principi della libertà di impresa, sulla libertà di circolazione di qualsiasi componente, di apertura al commercio mondiale ed anche ad ogni fonte stimolatrice.

d)      L’Unione avrebbe perseguito quale obiettivo principale uno sviluppo armonioso ed equilibrato della attività economica, una crescita sostenibile, non inflazionistica, rispettosa dell’ambiente e conforme anche ad altre caratteristiche, previste nell’art. 2 TUE.

e)       Si sarebbe creata una nuova moneta (sarebbe stato lo “euro”), che avrebbe dovuto dare risultati equivalenti a quelli del “marco”, storica moneta della Germania. La nuova moneta, a differenza del marco, non sarebbe stata gestita da una autorità politica coadiuvata da una banca centrale autorevole. Si sarebbe dovuta “inventare” una disciplina giuridica appropriata che garantisse l’equivalenza tra la nuova moneta e l’originario marco. La disciplina adottata risulta dal combinato disposto degli artt. 102 A, 103, 104 c) TUE.

f)       Gli Stati dell’Unione non sarebbero stati obbligati ad avvalersi della nuova moneta. Sarebbero stati divisi in due gruppi, quello degli Stati aderenti alla disciplina dell’euro e quello degli Stati che avrebbero conservato la loro moneta. Gli Stati della seconda specie sarebbero stati qualificati “Stati con deroga”. Sono specificati gli articoli del Trattato che ad essi non si sarebbero applicati. Gli Stati senza deroga sarebbero stati quelli che avrebbero utilizzato l’euro. Ad essi si sarebbero applicate tutte le norme di carattere generale contenute nel Trattato.

g)      L’adesione all’euro sarebbe stata volontaria. L’euro sarebbe stato la moneta “comune” degli Stati che l’avessero accettata. Per essere ammessi all’euro gli Stati avrebbero dovuto soggiacere ad un percorso di “omogeneizzazione” e ad un esame finale, diretto a verificare e ad attestare il raggiunto grado di sufficiente omogeneizzazione.

h)      Gli Stati euro hanno il diritto di chiedere e di ottenere il passaggio al regime di Stato con deroga, specie ove la domanda sia motivata con la profonda insoddisfazione per il modo in cui l’Unione è stata gestita e per i danni che ne sono derivati.

i)       Lo scrutinio per l’ammissione all’euro si tenne il 3 maggio 1998. Furono ammessi undici Paesi. Il dodicesimo, assegnato alla disciplina con deroga, sarebbe stato ammesso l’anno successivo. Attualmente gli Stati dell’Unione sono 28. Quelli euro 17. Quelli con deroga 11.

 

Si conclude

Segue

 

A) SUL PIANO FORMALE SI E’ OSSERVATO.

a1)     Il lancio dell’euro, moneta comune degli undici Paesi ammessi con il primo scrutinio, avrebbe dovuto avere luogo il 1.1.1999. A quella data si sarebbe applicata la disciplina “a regime”, quella degli artt. 102 A, 103 e 104 c) TUE.

a2)     Il 1.1.1999 il lancio dell’euro, la moneta disciplinata dal TUE, non avvenne. La moneta regolata dal TUE, per la quale il governo tedesco si era fortemente battuto ed alla cui adozione aveva condizionato la propria adesione, non è mai nata.

a3)     In data 1.1.1999, con il nome di euro, generando così la fallace impressione che si trattasse della moneta creata e disciplinata dal TUE, fu lanciata con immissione nei mercati quale moneta comune avente valore legale degli Stati senza deroga, una moneta soggetta ad una disciplina diversa.

a4)     La disciplina della moneta immessa nei mercati il 1.1.1999 era contenuta in un “regolamento” (n. 1466/97), adottato con il procedimento disciplinato dagli artt. 103, n. 5 e 189 c) del TUE. Il procedimento non conferiva alcuna autorità a modificare il Trattato ed aveva un oggetto del tutto diverso. Il reg. 1466/97 nello stesso momento in cui si avvaleva dell’art. 103 TUE, in realtà lo violava, utilizzandolo per un oggetto e finalità diverse.

a5)     La disciplina del regolamento 1466/97 è non tanto diversa, quanto opposta rispetto a quella degli artt. 102 A, 103, 104 c) TUE. Sostituisce un “obiettivo”, quello della “crescita” avente le caratteristiche e rispondente alle finalità di cui all’art. 2 TUE, con un “risultato”, il pareggio del bilancio da conseguirsi a medio termine con l’osservanza di uno specifico percorso.

a6)     La modifica introdotta dal reg. 1466/97 rispetto al TUE (Maastricht), sul piano formale, è consistita nella abrogazione di un diritto-potere, quello degli Stati di concorrere alla crescita con la propria “politica economica”, concorrendo così anche alla crescita dell’Unione, sostituendola con un obbligo/obbligo, gravante sugli Stati, avente come contenuto il pareggio del bilancio a medio termine, da conseguirsi nel rispetto di un programma predeterminato. Gli elaboratori delle norme non si sono resi conto delle conseguenze che sarebbero derivate dall’aver messo a base del sistema, un “obbligo” al posto di un “potere”.

a7)     Cancellando l’obiettivo della crescita, il reg. 1466/97 ha in realtà cancellato ogni attività politica nel sistema.

a8)     Nell’Unione Europea non esiste un vertice politico, tanto meno un vertice politico con competenze generali. E, quanto agli Stati membri, cancellato l’apporto alla crescita con le loro distinte politiche economiche, nessun potere politico è stato ad essi attribuito, tanto meno nel settore prioritario della economia e della moneta.

a9)     Si precisano alcune delle principali conseguenze della sostituzione nella base del pilastro principale del sistema, quello attinente alla economia ed alla moneta, di un “potere politico”, con un “obbligo/obbligo”.

a9.1)   Il TUE preannunciava (più correttamente dovrebbe dirsi garantiva) agli Stati membri una crescita dalle caratteristiche dettate dall’art. 2 TUE. La funzione di produrre la crescita, nell’interesse proprio e dell’Unione, era attribuita agli Stati membri. Gli Stati membri avrebbero dovuto realizzarla con le proprie distinte politiche economiche, che l’UE si sarebbe limitata a coordinare con indirizzi di massima (artt. 102 A, 103 TUE). Unico strumento utilizzabile dagli Stati membri per produrre la crescita, sarebbe stato l’indebitamento entro i limiti stabiliti dall’art. 104 c) nella sua redazione finale, corrispondente alle più volte citate modifiche di cui al n. 2, lettere a) e b).

          Il reg. 1466/97 ha abrogato, regolando in modo diverso l’intera materia, o comunque sostituendoli di fatto, gli artt. 102 A, 103 e 104 c) del TUE. Ha quindi cancellato la disciplina del TUE diretta a produrre crescita e non ha previsto alcun altro “potere” diretto a produrre crescita.

a9.2)   Cancellando la capacità degli Stati membri senza deroga di compiere scelte autonome di politica economica finalizzata alla crescita, si è preclusa ai loro cittadini qualsiasi possibilità di influenzare le decisioni di politica economica, ai cui effetti vengono assoggettati. La democrazia è principio fondante dell’UE. Nessuno Stato può esservi ammesso se il suo ordinamento non sia conforme al principio democratico. La democrazia, presupposta la titolarità di un sistema completo di diritti di libertà e di una adeguata protezione sociale, consiste nel potere dei cittadini di influire con il voto, in modo diretto o indiretto, sulle decisioni di governo cui andranno soggetti. Alle materie economica e della moneta, nello stato attuale dei rapporti, va attribuito valore “prioritario”. Il reg. 1466/97, nell’intero ambito della politica economica e della gestione della moneta, ha soppresso il regime democratico.

a9.3)   I Trattati di Amsterdam (artt. 98, 99, 104) e di Lisbona (art. 120, 121 e 126) hanno riprodotto testualmente gli artt. 102 A, 103, 104 c) del TUE. Sono rimasti a loro volta inapplicati. Al loro posto hanno avuto applicazione i regolamenti n. 1055/2005 e n. 1175/2011 e da ultimo il Fiscal Compact, tutti concepiti nel solco disegnato dal reg. 1466/97, aggravandone nello stesso tempo le rigidità.

a9.4)   L’Unione è responsabile verso gli Stati dei danni ad essi provocati dalla applicazione del reg. 1466/97 e da qualsiasi atto attuativo dello stesso. I titolari degli organi dell’Unione ed i funzionari che hanno concorso ad adottarli e/o ad applicarli, o che, avendone il compito, non ne hanno impedito l’applicazione, sono responsabili verso l’Unione. La loro responsabilità può essere fatta valere direttamente anche dagli Stati e dai loro cittadini, singoli o associati.

a9.5)   Quanto affermato sub d) per gli organi ed i loro titolari o dipendenti dell’UE, vale ad autonomo titolo per i titolari di organi costituzionali e/o amministrativi dei singoli Stati, che abbiano concorso alla adozione del reg. 1466/97 e/o di atti successivi che parimenti hanno provocato l’abrogazione e/o la disapplicazione dei poteri degli Stati di cui agli artt. 102 A, 103, 104 c) ed altri del TUE e di quelli corrispondenti dei Trattati successivi, o che abbiano partecipato alla adozione di atti che del regolamento e degli atti ad esso conformi, costituiscono esecuzione ed applicazione.

a9.6)   Le magistrature costituzionali od ordinarie di ciascun Paese faranno valere le responsabilità di cui al punto antecedente, ricadenti nella loro giurisdizione.

a9.7)   Il reg. 1466/97 avendo modificato/violato il TUE in carenza di potere [la procedura degli artt. 103, n. 5 e 189 c) TUE] e lo stesso vale per le norme dei Trattati di Amsterdam e Lisbona, corrispondenti a quelli citati dal TUE, è da ritenersi affetto non da illegittimità, ma da radicale ed assoluta nullità/inesistenza giuridica. La conclusione si estende anche agli atti applicativi e/o derivati del regolamento. Tutti i titolari degli organi dell’Unione e/o degli Stati membri, che abbiano partecipato alla adozione e/o alla applicazione del regolamento e/o di atti applicativi, sono da ritenersi responsabili per i danni provocati dalla nullità.

a9.8)   Si giunge pertanto ad una medesima conclusione sia che si segua la pista della violazione dei principi democratici, sia che ci si basi sulla assoluta carenza di potere, per avere preteso di modificare il TUE (ed i Trattati successivi) senza aver fatto ricorso ad un Trattato, modificativo di quello antecedente.

 

B) Sul piano economico si è osservato

b1)     Il reg. 1466/97 non ha prodotto crescita. Da statistiche insospettabili (Pocket World in Figures, 2013, pag. 30, ed. Economist) risulta che i tre maggiori Paesi continentali, Francia Germania, Italia, nella graduatoria dei peggiori risultati del mondo nel decennio 2000-2010, si sono classificati, l’Italia al terzo posto, la Germania al decimo, la Francia al quattordicesimo. Nella predetta classifica dei peggiori risultati nel mondo altri due Paesi. Nella graduatoria del decennio antecedente non figurava nessun Paese europeo. Si arguisce che la causa originaria della depressione deve essere stato un fattore “unico” per tutta l’area euro, deve essere stato interno all’area, deve essersi manifestato tra il 1999 ed il 2000. Unico fattore che corrisponde alle tre condizioni è il reg. 1466/97.

b2)     Che il principio del pareggio del bilancio a medio termine avrebbe prodotto depressione era prevedibile per tre distinte considerazioni.

b3)     Perché il regolamento ha soppresso il potere di indebitamento che, sia pure con la determinazione di limiti massimi, il TUE aveva garantito agli Stati membri quale unico e necessario strumento da utilizzarsi per conseguire il garantito risultato di crescita. Nell’abrogarlo, il regolamento non lo ha sostituito con un qualsiasi altro strumento o mezzo di equivalente natura o di pari effetto.

b4)     Non vi sono esperienze che potrebbero essere addotte a sostegno della previsione di crescita, assunta a base dal regolamento. Esistono esempi di economie che hanno ottenuto risultati favorevoli con indirizzi di stabilità, ma si tratta esclusivamente di precedenti che riguardano monete la cui gestione era affidata ad un potere politico, coadiuvato da una banca centrale (come era stato per il vecchio marco). L’esperienza “euro” sarebbe stata invece la prima (e sicuramente anche l’unica) la cui gestione sarebbe stata regolata da norme rigide e non modificabili quali che fossero le variazioni dell’ambiente interno od esterno.

b5)     Sarebbe bastata la valutazione dei risultati del periodo di omogeneizzazione, i sei anni dal 1992 al 1997, nei quali si erano applicati precetti egualmente costrittivi, ma meno rigidi di quelli del reg. 1466/97, che avevano provocato un rallentamento nel tasso di crescita dei singoli Paesi membri, agevolmente accertabile in base ad un raffronto con il periodo immediatamente anteriore alla stipula del TUE.

 

C) ALTRE CONSEGUENZE – I DANNI

40.     Il sistema disciplinato dai regolamenti 1466/97, 1055/2005 e 1175/2011, eliminate le politiche economiche di ciascuno Stato, alle quali l’art. 103 TUE aveva affidato il compito di promuovere la crescita e non ha previsto un qualsiasi altro apporto politico (quindi libero) degli Stati membri in materia di sviluppo economico e di moneta. Il sistema è divenuto una entità interamente robotizzata. Le fattispecie normative regolanti in modo diretto o indiretto le condotte degli organi dell’Unione e degli Stati, hanno carattere interamente prescrittivo. I poteri e/o le facoltà disciplinate si inquadrano tutte nelle fattispecie composte dall’obbligo/potere od obbligo/facoltà. Fonte di qualsiasi condotta è sempre una “prescrizione”. Una volta che sia stato commesso un errore nella progettazione, gli organi dell’Unione e degli Stati membri non dispgongono di competenze per rimediarvi. Non possono nemmeno astenersi dall’eseguire le condotte quali disciplinate, ancorché produttive di effetti nocivi. Anzi hanno il dovere di concretizzarle. Il sistema “autoprotegge” la sua identità.

 

41.     I danni diretti provocati anno per anno dal reg. 1466/97, dai regolamenti posteriori 1055/2005 e 1175/2011 e da ultimo dal c.d. Fiscal Compact, ne hanno provocati altri cumulativi, dipendenti sia dalla integrazione di quelli degli anni successivi con quelli di ciascuno degli anni anteriori, sia dalla possibile integrazione ad ogni livello delle varie serie causali. La situazione a fine 2013 è assolutamente diversa da quella a fine 1999. E’ impossibile il ripristino delle situazioni originarie.

 

42.     Tra gli effetti frutto della cumulazione e/o della integrazione nelle e tra le serie causali, si segnalano, tra le più significative, la produzione e la dispersione all’interno di ciascuno Stato membro di macerie, rappresentate da fattori distrutti o resi del tutto o parzialmente inutilizzabili. Sono i disoccupati giovanili, gli allontanati dal lavoro, i cassaintegrati, le imprese che hanno chiuso i battenti, la distruzione e il deperimento di strutture fisiche quali istituti di istruzione e culturali, musei, biblioteche, ospedali, istituti di ricerca, il deperimento del patrimonio storico ed artistico, la disfunzione nei servizi pubblici di carattere tecnico, e più in generale nelle amministrazioni pubbliche. E così via.

 

43.     Si aggiungono agli effetti relativi ad individui od istituzioni singole, quelli collettivi.

a)       La confusione delle idee, l’approfondimento delle differenze, la reciproca mancanza di fiducia, le intolleranze, gli odi.

b)      La assenza di condivisione sulla esistenza e sulla identificazione di una causa originaria unica e comune a tutti, crea spazi per speranze alle quali fanno seguito dolorose disillusioni. Quindi anche depressione.

c)       Si determina il danno, tra tutti il peggiore, di un vuoto di potere. Diviene sempre più difficile prevedere come possa colmarsi. Molti illecitamente vi si espandono.

d)      Dato il carattere robotizzato ed autoprotetto del sistema, per abbatterlo o semplicemente variarlo o adattarlo si richiederebbe un nuovo colpo di Stato. Ipotesi da evitare. Creare un nuovo regime, lo si vedrà, è operazione delicata e complessa. Non può essere affidata al caso. Si aggiungerebbe danno a danno. Potrebbero determinarsi condizioni non più reversibili.

e)       Le idee frequentemente lanciate di federalismo fiscale, federalismo bancario, eurobond sono ingannevoli. Se attuati in assenza di un potere politico paritario, quindi democratico, i progetti si risolverebbero nella acquisizione di maggiori poteri da parte di qualcuno degli Stati maggiori a danno dei minori. Un risultato conseguito per vie traverse, nello stato attuale di confusione e di generale delusione non potrebbe che provocare maggiori danni.

f)       L’analisi, in coerenza con quanto si andava accertando, ha dovuto orientarsi verso la ricerca di una via di uscita politica, che conduca a soluzioni accettabili in tempi ristretti. La rapidità è necessaria perché la situazione potrebbe precipitare. E’ emerso che ove il debito complessivo dello Stato superasse un determinato limite, potrebbe seguire una implosione.

g)      Il limite che si ipotizza non avrebbe nulla a che fare sia con il valore di riferimento basato sul rapporto tra debito e PIL, sia con il principio della parità di bilancio. Il limite si collegherebbe al costo nell’anno del debito complessivo ed al suo rapporto con il tasso prevedibile di sviluppo del PIL negli anni immediatamente successivi. Il limite di rottura sarebbe raggiunto nel caso in cui l’effettivo costo totale del debito nell’anno, dedotto l’eventuale avanzo primario, non corrispondesse ad una percentuale del tasso di crescita del PIL che, a meno che non sopraggiungano fattori imprevisti, sia da ritenere del tutto improbabile, o addirittura impossibile. Se il fenomeno non venisse bloccato, a partire dal primo momento in cui se ne avvertissero i sintomi, la distanza dal punto di rottura si ridurrebbe anno per anno con velocità crescente. Sino all’implosione. Non è da escludere che una situazione di pericolo possa essere già presente in più di uno degli Stati membri.

h)      Se esiste o meno un punto di non ritorno è una questione da considerare “centrale”. E’ da auspicarsi che formi oggetto di una riflessione approfondita ed ampia. Se l’ipotesi venisse confermata, le conseguenze sarebbero importanti.

i)       La inapplicabilità della disciplina del bilancio in pareggio, sia che la si faccia derivare dalla soppressione del “regime democratico” o dalla totale carenza di potere, conseguente alla inesistenza giuridica dei regolamenti 1466/97, 1055/2005 e 1175/2011, conduce alla identica conclusione che le norme oggi in vigore sono quelle del Trattato di Lisbona, applicato dal 1° dicembre 2009, in quanto conformi all’originario TUE.

          Gli Stati hanno quindi capacità di indebitarsi sino al 3% ad anno e fino al 60% nel totale, ed anche oltre ove il maggiore debito sia da attribuirsi a condizioni eccezionali e temporanee.

          Qualora uno Stato, carente di risorse per effetto della lunga soggezione al principio del pareggio del bilancio, si trovi nella impossibilità di rilanciare l’economia ove non contragga un adeguato debito, il superamento del limite del 3% dovrebbe essere attribuito alla causa eccezionale, rappresentata dall’obbligo del pareggio del bilancio, causa temporanea perché destinata a scomparire non appena gli effetti depressivi, dopo essersi affievoliti, vengano a cessare.

l)       Subentrerebbe tuttavia il “macigno” rappresentato da un temuto avvicinamento al punto di rottura. L’indebitamento sarebbe consigliabile in tal caso solo se l’investimento per il quale viene contratto sia in grado di provocare uno sviluppo del PIL che sia tale da poter dare il via ad una tendenza ad una riduzione progressiva del costo del debito.

          Se ne mancassero i presupposti o le previsioni non si avverassero, l’utilizzo della capacità di indebitamento, garantito dalla applicazione dell’art. 104 c) letto in conformità ai criteri vincolanti contenuti nell’articolo, potrebbe tradursi in atroce beffa.

 

D) ROBOTIZZAZIONE – IL GRIMALDELLO

44.     Si è detto che il sistema, quale realizzatosi per effetto della imposizione del principio della parità del bilancio, si è robotizzato e si autoprotegge. Ma il diavolo, come dice il proverbio, fa la pentola e dimentica spesso il coperchio. Si ritiene di avere individuato un grimaldello con il quale legittimamente far saltare la porta della gabbia. Dallo “opting out” inventato per trattenere l’UK nell’Unione si era pervenuti, nella trattativa sul testo del TUE, alla ripartizione degli Stati dell’Unione in due specie di pari dignità, quella dei Paesi senza deroga (sono i Paesi euro) e dei Paesi con deroga (i Paesi che si avvalgono di una propria moneta). Si è posta la questione interpretativa se uno Stato senza deroga possa ottenere il trasferimento all’altra specie, quella degli Stati con deroga. Al quesito si è data risposta affermativa. Se ne coglie subito la conseguenza. Un potere “politico” dello Stato esiste. Non è quello direttamente finalizzato alla crescita, ma è quello di riappropriarselo. Gli individui che compongono la collettività di ciascuno degli Stati membri possono (devono) fare pressione sul Governo, secondo lo specifico ordinamento costituzionale che deriva in modo diretto o indiretto dal loro voto, perché esiga l’assegnazione del Paese allo “status” di Paese con deroga. E’ il passo necessario per il riacquisto della potestà “democratica”. E per il suo conseguente esercizio.

 

E) LA RIAPPROPRIAZIONE DELLA POLITICITA’

45.     Il grimaldello è stato trovato. Possiamo usarlo? I poteri sono esercitabili utilmente solo se le condizioni obiettive, interne od esterne, lo consentano. Il limite di convenienza della dimensione di una economia agli effetti che si stanno esaminando è rappresentato dalla capacità di reagire adeguatamente agli impulsi ed alle pressioni esterne ed alla inversa capacità di esercitare pressioni per adeguare l’ambiente esterno alle proprie esigenze. Sono condizioni difficilmente realizzabili se lo Stato ha dimensioni ridotte, se la sua economia è povera o peggio stremata. I flussi variabili e potenti dell’ambiente esterno la travolgerebbero. Un altro Stato potrebbe acquisire il controllo economico ed anche politico di quello più debole.

 

46.     Ciò che uno Stato da solo non sarebbe in grado di fare, potrebbe essere alla portata di Stati che decidano di realizzarlo come gruppo. Più Stati, concertandosi, potrebbero chiedere il passaggio alla disciplina con deroga. Potrebbero concordare di creare una moneta comune e di creare anche un potere politico egualmente comune per gestirla. La moneta circolerebbe nel mercato unico alla stregua di quella degli Stati con deroga.

          Quale dovrebbe essere la dimensione minima ed insieme sufficiente delle economie raggruppate, per confrontarsi senza pericolo all’interno dell’Unione con le altre monete e soprattutto con i potenti flussi del mercato mondiale? Le decisioni da prendere sono di carattere politico. Nessuno può sostituirsi alle decisioni della collettività e dei governanti dei singoli Stati. Qualche dato statistico può tuttavia essere utile. Si formulano due ipotesi. Non sono del tutto astratte:

 

47.     Aggregando quattro Stati mediterranei, inclusa tra questi l’Italia, si raggiungerebbe una popolazione di 127 milioni e più di abitanti ed un PIL pari a 3.998 miliardi di dollari. L’aggregato si classificherebbe nel mondo come decimo per popolazione e quarto nel PIL (preceduto solo da USA, Cina e Giappone)

 

48.     Ove si aggreghi al gruppo la Francia, si raggiungerebbero 189 milioni e più di abitanti e 6.558 miliardi di dollari nel PIL. L’aggregato si classificherebbe nel mondo al sesto posto per popolazione ed al secondo per PIL (preceduta solo dagli USA, e precedendo Cina, Giappone e Germania).

          Risultati allettanti, specie l’ultimo!

 

49.     Se si aggregassero tutti i Paesi euro, chiedendo insieme il passaggio alla condizione con deroga, il totale ammonterebbe a 328 milioni e più per popolazione e 12.076 miliardi di dollari nel PIL complessivo. Nella popolazione il gruppo si classificherebbe al terzo posto, dopo Cina ed India. Nel PIL la collocazione salirebbe al secondo posto, a distanza ravvicinata dagli USA.

 

F)      L’EUROPA E IL MONDO

50.     Una ultima considerazione, di carattere generale. Si collega alla “posizione” espressa all’inizio: l’Europa ed il mondo. Un errore, forse non del tutto scusabile, è stato commesso nel 1991. E’ stato ripetuto, in forma aggravata, nel 1999. Una terza volta, sarebbe imperdonabile. Potrebbe compromettere il futuro dell’Europa per un tempo lungo, lunghissimo forse.

          Nel 1991 la creazione della grande area europea, dovuta all’AUE, era in fase di avanzata realizzazione. Il TUE, adottando il principio della apertura delle frontiere esterne, con riduzione generalizzata dei dazi doganali, dava impulso alla liberazione delle forze operanti al livello mondiale, la cui pressione era già avvertibile.

          La conclusione dell’Uruguay Round e la creazione del WTO, eventi di cui l’Unione fu protagonista, completarono l’opera di scatenamento del turbinio economico mondiale dei successivi decenni. Ignara delle novità che concorreva a produrre, l’Unione, con il TUE, cominciò a muoversi in una direzione addirittura opposta. Si era assegnato come obiettivo la creazione di una moneta nella cui gestione il ruolo non sarebbe stato per intero del potere politico, quale praticato in tutti gli Stati del mondo. Dominante sarebbe stato un insieme di regole astratte, immutabili, quindi rigide.

          Nel 1999, i dati statistici, se convenientemente esaurienti, avrebbero offerto una visione precisa e completa della nuova realtà. Lo scatenamento dei flussi mondiali, finanziari ed economici, aveva già raggiunto l’apice, superando per volume, velocità, variabilità qualsiasi previsione. L’Europa si mosse invece in direzione opposta. Assegnò la gestione dell’economia a norme astratte ad elevato impatto costrittivo, creatrici di rigidità!

          Gli effetti depressivi di questi anni sono stati gravissimi. Abbracciano l’intera area euro, con riflessi in tutta l’Unione.

          A livello globale, il ruolo documentalmente oggi riconosciuto all’Europa, è quello di principale acquirente di beni e servizi, in particolare dalle due principali economie del mondo, quella USA e quella cinese, con riflessi che si diffondono poi ad altre, di cui l’Europa è egualmente acquirente diretta. Se il fenomeno depressivo europeo continuasse o si aggravasse ne deriverebbe una alterazione nella “governance” politica ed economica nel mondo.

          Di questo in effetti si tratta, della “governance” politica ed economica globale. Le principali forze operanti nel globo sono autonome, alcune anche singolarmente potentissime. Le loro attività, in aspetti essenziali, sfuggono alla vigilanza ed al controllo degli Stati, ivi compresi i maggiori, sia singolarmente che come sistema. Forze illecite, potenti per l’impiego della violenza, si inseriscono in quelle finanziarie e si infiltrano negli stessi gangli degli Stati. Il sistema di Stati, ognuno dei quali controlla una parte di territorio, che comprende l’intero spazio del globo, svolge la funzione di fronteggiare la forza dei flussi economici, caratterizzati dall’enorme volume, dalla estrema variabilità, quindi dalla imprevedibilità. La dimensione dei principali Stati è cresciuta. Anche quella di un buon numero di altri Stati è superiore rispetto al passato.

          Il fulcro del sistema politico globale è nell’attualità rappresentato da un duopolio, USA e Cina. La dominanza economica si è gradualmente spostata dal nord-atlantico all’atlantico meridionale ed agli oceani indiano e pacifico. Nel duopolio politico il ruolo degli USA potrebbe affievolirsi. Si avverte l’assenza di un anello. L’anello che manca è l’Europa.

 

51.     Il mondo è un contenitore chiuso. Ciò che accade in un luogo od in un settore si riflette sugli altri. Il ruolo economico dell’Europa, azzerato quello politico, si è ridotto a quello di “acquirente” principale. Di qui la insufficienza della “governance” politica mondiale, che si riflette sui rapporti economici. A livello mondiale non si può essere certi di una crescita, duratura, armoniosa, esente da turbolenze, che ci si proponeva di realizzare in Europa e che non è stata raggiunta. Si avvertono “crepe”. Le acque, da tranquille, mosse o molto mosse, potrebbero d’improvviso trasformarsi in maremoti anche per effetto di eventi ciclonici, di terremoti, tsunami.

          Rafforzare la governance politica del mondo, quale contrappeso adeguato ad ogni pressione eccessiva dell’economia, è obiettivo urgente.

          Nelle condizioni attuali la “politicità”, non solo nella gestione della moneta ma nell’intero sistema, non può essere considerata per l’Europa una “opzione”. E’ una “necessità”. Non bisogna però farsi illusioni. L’Europa non potrà riappropriarsi della propria missione nel mondo se non avrà a sua volta realizzato una conformazione e dimensioni adeguate al compito. La trasformazione in entità politica dell’intera Unione è la “soluzione”. Ma bisogna tener conto del fattore tempo. Lo si è detto più volte. Se i cittadini della Germania, con piena e sincera convinzione, accettassero di integrare la identità nazionale, con un’altra, di livello superiore, quella europea, il risultato sarebbe a portata di mano. All’unità politica aderirebbero subito tutti o quasi tutti i Paesi dell’area euro. Ed anche dell’Unione. Se i cittadini tedeschi non fossero maturi per questa decisione, un raggruppamento che comprendesse con gli altri maggiori Paesi continentali dell’Europa anche la Francia, che del gruppo potrebbe (dovrebbe) assumere la responsabilità esterna, si sarebbe già molto vicini all’obiettivo. Si lavora troppo con la fantasia, ipotizzando che l’Italia potrebbe essere l’iniziatrice della aggregazione alla quale la Francia potrebbe aggiungersi, per guidarla nelle successive fasi aggregative?

          La “fantasia al potere!”. Non è stato questo lo slogan di varie generazioni? La “fantasia” è la fonte di tutte le scoperte scientifiche e delle innovazioni, dalle massime alle minori, e dei grandi eventi storici. La fantasia dà stimoli. I risultati si raggiungono se si rintracciano i giusti sentieri e li si percorrono. I percorsi non si inventano. Se l’obiettivo è nuovo, per individuarli si richiede studio ed approfondimenti.

 

52.     Una indicazione pratica che potrebbe essermi consentita è che si cominci a riflettere e a discutere sulla organizzazione costituzionale della Europa unita. Nei primi anni quaranta si dibatteva in Italia su quali dovessero essere le istituzioni del post-fascismo. Il Federalist è il massimo esempio di testo politico che abbia analizzato le condizioni presenti e quelle future, per ricavarne indicazioni in merito alle tecniche da impiegarsi nel nuovo grande Stato federale, una istituzione di cui, anche per la dimensione, non esistevano precedenti.

          Gli europei si presentarono all’appuntamento del 1991 totalmente impreparati su questi aspetti. La cui soluzione viceversa potrebbe rivelarsi meno difficile, di quanto si pensi. L’Europa, tutta l’Europa, è stata per millenni regno delle autonomie locali. Disegnata l’architettura centrale sarebbero da definirsi limiti quantitativi, entro i quali le forze locali, nel rispetto di principi generali, dovrebbero decidere in autonomia le forme ed i livelli delle proprie aggregazioni.

          Che la fantasia cominci ad esercitarsi!

 

Roma, 21 ottobre 2013

 

Giuseppe Guarino

 

www.giuseppeguarino.it