Il quadro politico di queste elezioni finalmente si sta delineando e si capisce qualcosa in più. Venerdì, sabato e domenica 13 gennaio, al Ministero degli Interni c’è la presentazione dei contrassegni di partito, il deposito dei programmi con il nome dei capi coalizione per le prossime elezioni del 24 febbraio. E’ molto probabile che dopo il voto i programmi della sinistra e della destra verranno messi in un cassetto. C’è la sensazione che la gara sia taroccata, come tante altre in Italia.
In TV, come al solito, i grossi partiti stanno divorano tutti gli spazi, altro che par condicio, i partiti minori sono sistematicamente esclusi. Giovedì 11 gennaio: il segretario del PD Bersani in RAI a Porta a Porta, mentre all’ora di cena al momento dell’ammazzacaffè, su La7 dalla Gruber, compare un altro leader storico del PD, Massimo D’Alema. Dopo Matteo Renzi rivedere la Volpe del Tavoliere, come lo chiama Marco Travaglio, è come mettere un 45 giri in un mangiadischi con le pile scariche: lento, macchinoso, noioso e lievemente irritante. Però, guarda caso, si è posizionato appena prima del suo avversario di sempre, a far da traino al “compare” di infinite trattative e accordi sottobanco, nel corso di quasi vent’anni di dominio della scena politica. Appena i due escono di scena, cambia tutto.
Servizio pubblico è un’altra storia: la scenografia è ben studiata, dispone al meglio sul palco i due big: Santoro e Berlusconi. Gli ascolti volano, registrano un’impennata, al 33% di share, è un record che condividono, con intima soddisfazione. Sono uomini di spettacolo, che sanno far rendere il palcoscenico, con reciproca stima, come dice la gente: cane non mangia cane. Basta fare un po’ di zapping tra i vari canali per vedere che il confronto tra i candidati alle prossime elezioni politiche è impari: il Caimano è ancora nettamente il più forte. Come se in questi anni non fosse successo niente, siamo ancora fermi alla campagna elettorale del  2006, con Bersani al posto di Prodi, da un emiliano finto-buono all’altro, e i calcoli sui seggi traballano ancora come allora. Il furbesco disegno politico di Bersani e compagnia, che ha fatto di tutto per votare con il sistema elettorale attuale, il “porcellum”, per vincere facile, non tiene più.
Ogni giorno che passa il Caimano divora pezzi dei suoi avversari e recupera voti. Adesso può permettersi di andare a caccia del pezzo più pregiato, la mitica “Anatra Zoppa” del Senato. Si muove da solo, come al solito, non ha bisogno della sua lista di candidati, che sono ancora sconosciuti. Agisce con una rapidità impressionante, nello schema consolidato di “uno contro tutti”, del referendum pro o contro la sua persona, come sostiene Giorgio Galli nel libro Stella e Corona (Solfanelli Editore, II ed. 2012).
Ufficialmente la campagna elettorale non è ancora iniziata ed è già virtualmente finita, perché l’attenzione è ormai rivolta a dopo le elezioni, a fare calcoli su calcoli su cosa potrà succedere a marzo quando si riuniranno per la prima volta le Camere.
La questione in sospeso è la seguente: il vecchio Caimano riuscirà a riprendere ancora una volta la stolta “Anatra zoppa” del Senato? La risposta è già contenuta nella domanda, nel senso che fino ai primi di dicembre, un mese fa, nessuno dei democratici del PD e dei montiani del trio ”Sciagura” pensava fosse possibile una simile folle rincorsa.
Invece, eccoci qua a fare le somme con il bilancino per stimare la futura maggioranza al Senato. Sarà un caso, ma di questo difetto del sistema elettorale, ne ho parlato nel citato libro, Stella e Corona, che evidentemente i bersaniani non hanno comperato, ne preso a prestito dalla biblioteca.
Oggi su La Stampa, il titolo d’apertura in prima pagina richiama un’intervista al presidente Napolitano che dichiara di non voler procedere alla nomina di altri senatori a vita, nonostante le forti pressioni che riceve al riguardo. Che è vero che ci sono ben due posti liberi per arrivare al numero di cinque consentiti dalla Costituzione, di nomina presidenziale. Toh! Ma che strane cose hanno per la testa al Colle.
A meno che sia una comunicazione in codice; se così fosse, questa è una notizia di quelle grosse. Re Giorgio ha voluto far sapere, con il garbo e la decisione che gli sono consueti, che lo stanno tirando per la giacca, che qualcuno gli sta soffiando sul collo per accaparrarsi i preziosi seggi.
Napolitano dopo la brutta figura che ha fatto con la nomina di Mario Monti a senatore a vita, dimostra voler chiudere in modo saggio il suo mandato, di non prestarsi a manovre di palazzo.
Il fatto è che se siamo arrivati a questo punto, con la conta dei senatori a vita, vuol dire che si sta concretizzando l’ipotesi del pareggio al Senato.
Inizialmente i conteggi sulla futura composizione della maggioranza al Senato davano sempre in vantaggio la coalizione PD-SEL, con 170 seggi su 315. Dopo un mese, gli scenari sono in forte evoluzione, per il recupero in corso della coalizione PDL-Lega, composta anche da una miriade di partitini come Fratelli d’Italia. Alla Camera Bersani dovrebbe vincere facile e prendersi il premione di 340 seggi su 630, come dispone il porcellum, mentre al Senato i premi sono regionali, per cui bisogna sommare gli esiti di ogni regione.
Quelle più grandi contano parecchio.
A questo punto entra in funzione l’azzoppa coalizioni, che funziona: se le due principali coalizioni  sono più o meno pari come voti, i seggi assegnati possono cambiare di molto. In Lombardia, quella che perde il premio, anche per solo per un voto, prende 12 seggi, ha stimato D’Alimonte sul Sole24Ore, invece di 27. L’inverso in un’altra regione, con un effetto di compensazione accentuato dalla presenza di varie minoranze. D’Alimonte ha calcolato varie situazioni, se Bersani non ce la dovesse fare a vincere in Lombardia e Veneto, otterrebbe una quota in Senato molto risicata, intorno ai 155-157 seggi su 315.
Queste cifre possono far aprire una campagna acquisti o determinare una nuova coalizione di governo.
“Per quanto lontane siano le elezioni, 45 giorni sono tanti, resta altamente improbabile che la sua (Berlusconi n.d.r.) pur trascinante campagna elettorale gli valga un riaggancio al favoritissimo Pd. Ma la statura comunicazionale dei contendenti, l'insopportabile Monti e il moscio Bersani, resta nettamente inferiore…”  commenta Sergio Luciano su Affaritaliani.it, che conclude “E se per assurdo si verificasse l'impensabile, cioè appunto il riaggancio del Cavaliere, allora sì che il popolo piddino dovrebbe mille volte schiaffeggiarsi per aver bloccato in panchina l'unico che, quanto a chiacchiere, poteva battere il Cavaliere: Matteo Renzi.”
Bersani in questo momento non appare avere idee fresche, ha già dato tutto da un punto di vista comunicativo nei mesi scorsi, è come un fondista che non è in grado di fare lo sprint finale. Senza una sua maggioranza autonoma al Senato, Bersani è spacciato, non potrà fare il premier, con il sollievo di quanti, soprattutto nella parte appiedata del suo partito, lo ritengono non adeguato al ruolo di capo del governo.
Condizione che condividerà con altri suoi colleghi, Monti, Grillo, Ingroia e Berlusconi, che notoriamente, per varie ragioni, non sono proponibili a tale ruolo. Tutti i capi coalizione in corsa sono destinati a non essere proposti come futuri premier. Però, siamo una repubblica parlamentare, i governi si presentano in Parlamento, come da Costituzione, non alle urne.