Giorni di grande travaglio politico: venerdì 26 ottobre, a Milano, il Consiglio regionale lombardo ha chiuso i battenti in un modo che definire inglorioso è poco, il giorno dopo il Cavaliere ha tentato l’impresa disperata, lanciandosi senza rete in una conferenza stampa improvvisata, domenica 28 ottobre il voto in Sicilia, alla sera la trasmissione Report in TV su Di Pietro e i suoi immobili. I risultati (del voto) sono stati resi noti con calma tra lunedì e martedì, mentre per gli effetti dell’inchiesta di Report si è dovuto attendere qualche giorno in più.

Il lentissimo conteggio dei voti siciliani che, come ha scritto un arguto giornalista, è stato fatto da veri gentiluomini, che amano corteggiare le schede elettorali in un lungo rituale collettivo, prima dello spoglio riservato, ha permesso di attutire la “botta”.
I risultati sono stati all’altezza delle attese, in linea con le previsioni formulate dai sondaggi, con un retrogusto amaro per tutti i partiti, salvo per il Movimento 5 Stelle di Grillo.
Il dato saliente, come è noto, proviene dall’astensionismo che ha raggiunto livelli impressionanti: oltre il 52%. Marco Travaglio su Il Fatto ha titolato “Sorpasso in retromarcia”, che è forse la definizione più azzeccata del voto in Sicilia, un po’ meno condivisibile il suo giudizio sulla mafia, condiviso dall’Espresso: l’organizzazione criminale si sarebbe astenuta. Come facciano a saperlo è veramente curioso. Tutti i partiti sono arretrati, per cui ha vinto il candidato del PD e UDC, Rosario Crocetta, che ha franato di meno, attestandosi al 30,5%.
Vince quindi il candidato Crocetta, che la sinistra aveva scelto di far correre come un outsider, per testare l’alleanza elettorale PD-UDC, che a Roma non vedevano di buon occhio. Invece, il destino ha voluto diversamente, il predestinato perdente vince e diventa un simpatico “guascone” della politica con un profilo nazionale. A Bersani non rimane altro da fare che cavalcare il cavallino siciliano, che va nella direzione opposta a quella che lui ha preso a Roma. A caval donato non si guarda in bocca, per cui non bada a spese nelle definizioni: vittoria storica, risultato rivoluzionario, non era mai accaduto dal dopo guerra. Come a dire, “proprio adesso doveva vincere…”, senza peraltro avere un maggioranza per governare, che vuol dire che nei prossimi mesi ne vedremo delle belle.
Non solo, ha perso anche parecchi seggi, nel 2008 il PD all’opposizione aveva 28 scranni, ora si ritrova presidente con poco più di venti deputati (14 del PD e buona parte del listino di nove assegnato al vincitore). A questi si aggiungono gli altri della coalizione: 11 seggi dell’UDC e 5 dell’MPA di Lombardo, totale 39, insufficienti per arrivare avere il controllo dell’aula composta da 90 deputati. Crocetta appare come qui cagnolini che abbaiano a squarciagola, per difesa preventiva, perché ha pochi seggi, parecchi di questi controllati dai democristiani, alleati molto famelici, che tutto sono meno che moderati.
Sono problemi grossi, che però avrebbero fatto felice Angelino Alfano, che invece ha perso valanghe di voti ed ha visto frantumarsi il PDL, ridotto a un misero 12,9%, passando da 34 a 12 seggi. Essendo lui siciliano, il risultato negativo pesa doppio, si ritrova praticamente con un mini partito e la coalizione di centro destra frantumata.
L’implosione del PDL conferma la linea di Berlusconi, tentato dall’idea di costruire un’ultima “macchina elettorale” per tentare di ribaltare il corso della storia politica italiana. Trapelano anche delle indiscrezioni, sulle cifre investite nella ricerca (160mila euro) di un simbolo grafico miracoloso da un punto di vista comunicativo, come è stato quello di Forza Italia nel ’94.
Se Alfano piange, altri non hanno motivo di gioire: la Federazione di sinistra, PRC+Pdci+SEL, rimane fuori dall’assemblea, come anche l’Italia dei Valori  e il FLI-Nuovo Polo di Fini.
La palma della vittoria simbolica è toccata a Cancelleri, il candidato del M5S, che ha raccolto il 18,2% di voti, mentre la lista M5S diventa il primo partito dell’Isola con il 14,9% davanti al PD attestato al 13,4%. In più i candidati M5S hanno saputo raccogliere il consenso popolare, ottenendo parecchie preferenze individuali.
La campagna di Grillo in Sicilia ha dimostrato che possiede una grande flessibilità politica, che è capace di condurre una competizione elettorale, con doti paragonabile ai protagonisti della storia elettorale italiana: da Guglielmo Giannini, ideatore del movimento dell’Uomo Qualunque nel 1946, al Berlusconi del 1994.
Chissà se sarà capace per le prossime Politiche di evitare le trappole e le insidie dei tanti “politicanti”, quelli che hanno fagocitato tutti i volenterosi che hanno tentato di migliorare la politica italiana.
Sono giorni densi di avvenimenti che potevano sembrare impossibili fino all’anno scorso.
Alla festa di Ognissanti, sul blog di Grillo è comparso il titolo “Antonio Di Pietro Presidente della Repubblica” con una dettagliata spiegazione della proposta.
Lo sconcerto è durato poco, evidentemente c’è stato un equivoco. Finita la campagna di Sicilia, Beppe Grillo è tornato al lavoro. E’ pur sempre un artista, con una notevole vena umoristica.
Ha voglia di giocare e può farlo, non così gli altri reduci della battaglia siciliana, dal PDL all’UDC, da SEL al PD, da Fini e Di Pietro.
L’unica risposta che i partiti di Roma mettono in campo dopo la disfatta elettorale è una parola quasi magica: primarie.
Il PD in effetti vive e campa bene di primarie, a tutti i livelli, per ora i suoi elettori sembrano interessarsi al dilemma Renzi-Bersani, almeno fino a quando non dovranno versare l’IMU.
Così, anche il segretario PDL Angelino Alfano lancia le sue primarie, nascondendo il fatto che la separazione consensuale tra Berlusconi e quel che rimane del  PDL è ormai inevitabile.