(da www.lindipendenza.com) - Bersani è tornato ed ha chiuso. Sono bastati due giorni di esilio tra Bettole e Piacenza,che già mancava un po’ a tutti. Martedì, ritornato a Roma, alla sede del PD ha dato il meglio di se in una attesissima quanto inutile conferenza stampa. A giudicare dal numero di microfoni messi sul tavolo, l’Europa, l’Italia, isole comprese, voleva sapere qualcosa in più sulla faccenda delle elezioni del 25 febbraio scorso, del governo tanto necessario per il Paese, che non se ne vede neanche l’ombra, con Monti sta ancora lì dopo aver perso le elezioni. “Il paese chiede una guida perché ha dei problemi, ma ha bisogno di fiducia e di segnali di cambiamento. Abbiamo lavorato in questi giorni sulla scorta delle decisioni approvate dalla direzione.”

Sulla faccenda dei magnifici 10 “Saggi” che in mattinata si sono riuniti da Napolitano e che fine abbia fatto il suo incarico esplorativo per formare il governo è esplicito: “Immagino che il mio reincarico sia assorbito in questa nuova fase, il che non vuol dire che vado al mare … Io ci sono. Non intendo essere un ostacolo ma io ci sono” ha detto il segretario PD.

Meno male, passata la Pasqua, è sempre lui. Dopo tutto Grillo, forse, non aveva tutti i torti a chiamarlo “mummia”, inteso come immobile. Dopo anni di potere, i comunisti o ex-comunisti sono diversi solo a parole, pochi fatti e zero idee. Non a caso l’unico di loro che ha visione e capacità di azione a vasto raggio lo si trova sul Colle più alto di Roma. Infatti, ha salvato Bersani, e con lui il PD, con uno stratagemma che appare davvero geniale: la nomina pre-pasquale di una commissione composte da dieci magnifici “Saggi”. I TG hanno fatto vedere i loro volti, una specie di nuovo direttorio della Repubblica convocato al Quirinale. Sono state immagini molto crude, del meglio del sottobosco politico romano, gente con il sorriso stampato in volto. Tra loro ci sono politici ma anche i responsabili delle istituzioni di garanzia e controllo del sistema politico e economico (Banca d’Italia, Antitrust, ISTAT-Istituto Nazionale di Statistica…), tutti allegramente coinvolti in una ammucchiata poco decorosa.

Però, a parte la perdita di tempo imperdonabile, l’idea di Napolitano è geniale, per alcuni semplici motivi: si è liberato di Bersani senza scaricarlo e sfiduciarlo pubblicamente, si è anche liberato della patata bollente dell’incarico, rinunciando a trattare la faccenda della formazione del nuovo governo tirando in lungo per quindici-venti giorni, infine si è definitivamente liberato del “Caimano”. Berlusconi stava giocando alla grande, sul filo del rasoio, come da par suo, per cui a Re Giorgio non gli è rimasto altro da fare che nascondere la palla sotto la maglietta, favorito dal fischio dell’intervallo delle festività. Il Caimano si visto sfumare il boccone che già pregustava, lo scambio PD-PDL, tra palazzo Chigi e Colle: voleva che al PDL toccasse fare i nomi per il prossimo Capo dello Stato, in cambio il Premier al PD, inclusa una maggioranza politica delle larghe intese. Chapeau! Come anche Grillo ha ammesso, Napolitano merita l’onore delle armi, anche se non la si pensa come lui.

Quindi due-tre settimane di tregua o di perdita di tempo, se si vuole. Rimane il fatto che tra poco Napolitano concluderà il suo mandato presidenziale e le manovre politiche sono tutte per la corsa al Colle. Il problema del governo è stato accantonato, come un cane che molla l’osso più piccolo per uno più grosso. Visto che la repubblica parlamentare di fatto funziona come un sistema semi-presidenziale, pur a costituzione invariata, allora le manovre sono rivolte al 15 aprile quando le Camere con i rappresentanti delle regioni, i 1007 grandi elettori, si riuniranno per la prima votazione. L’ex segretario PD Franceschini, martedì sera 2 aprile, a Porta a Porta, ha detto che bisogna partire dal suo campo, che esprime almeno 490 membri dell’assemblea: tocca a loro l’onere di fare dei nomi per candidati che possano avere il consenso dei due terzi. Al centro destra non rimane che scendere a patti, convergere su un nome non suo, volente o nolente, altrimenti dalla quarta votazione si andrà al voto con la maggioranza assoluta di  504 grandi elettori.

Il nuovo presidente si ritroverà la “patata bollente” ancora più calda, dovrà ricominciare da capo le consultazioni per il governo, con in mano l’arma del ricatto di nuove elezioni, che a parole tutti vogliono, ma nei fatti è un azzardo che nessuno vuole rischiare, per il timore che la protesta popolare possa concretizzarsi alle prossime urne (intanto si andrà al voto per le comunali a fine maggio e lì si capirà bene l’umore della gente). I nomi che girano per il Quirinale sono tanti, tutti nell’area progressista: Prodi, Amato, Cancellieri, Marini, Violante, Rodotà, Bonino, Onida, Zagrebelsky fino ad arrivare a D’Alema. Si sa che chi entra papa in conclave è facile che ne esca cardinale. Molti di questi non soddisfano il requisito minimo di raccogliere consensi trasversali. Forse, l’unico nome trasversale tra questi, è quello di Emma Bonino, ex vice presidente del Senato nella scorsa legislatura. Negli anni ha saputo costruirsi una carriera politica, senza compromettersi con gruppi di potere invadenti, facendosi apprezzare dalla sinistra e dalla destra, così come li ha sovente scontentati entrambi.

Se il centro sinistra dovesse proporre “Emma for President”,  il centro destra si troverà in forte imbarazzo a negarle l’appoggio, che le aveva concesso nel 1994 per l’Europa. Neanche i cattolici saranno in apprensione, non è più la Bonino degli anni settanta, radicale sfegatata. La ex-bocconiana, oggi, dopo trent’anni  di battaglie, è tra i politici italiani dotati di maggiore esperienza internazionale, con un forte senso dell’equilibrio istituzionale. Laica e rispettosa. Sobria fino all’eccesso, può essere il male minore, adatta ai tempi invocati dal Movimento Cinque Stelle.