(http://www.lindipendenza.com) - “Per avere un buon governo bisogna dunque rompere la fratellanza siamese fra Stato arcaico e partiti Stato-centrici, e bisogna cambiare l’uno e gli altri. Per capire come, e in particolare per capire se i partiti vadano trasformati o superati, è necessario partire dalla macchina delle politiche pubbliche e dal metodo di governare che vorremmo. Lo farò nel modo sommario che queste note richiedono e consentono…”
Queste parole non le ha dette un estremista giacobino, un Grillo o Vendola, nemmeno un Maroni. Sono di Fabrizio Barca (http://www.fabriziobarca.it/un-partito-nuovo-per-un-buon-governo-fabrizio-barca/3-quale-governo-della-cosa-pubblica/) economista, esponente di primo piano del PD, ex ministro del governo Monti.
Barca punta il dito contro un caposaldo del nostro sistema costituzionale – i partiti – proprio nel momento in cui lui ri-entra ufficialmente, iscrivendosi in aprile al circolo PD del centro storico di Roma, quello di via dei Giubbonari. Come a dire che non riesce a resistere al fascino del partito che ha conquistato il fantastico premio in seggi alla Camera alle ultime politiche, sa benissimo chi sono e come governano, visto quello che scrive sull’unione siamese tra stato e partiti, a suo modo cerca di migliorare le cose.
Questo genere di unione, che i partiti intendono interamente a spese dello Stato, ha portato nel 1992-93 all’esplosione giudiziaria di tangentopoli, e alla discesa in campo di Berlusconi che ha risollevato le esauste truppe del famigerato “pentapartito” (DC-PSI-PRI-PSDI-PLI) di centro sinistra, fino a portarle alla riconquista di Palazzo Chigi. Ora, la condanna di Berlusconi chiude questo ciclo politico, ma non quello dell’area democristiana e socialista, l’ex-pentapartito, saldamente al governo con Letta e con gli ex-comunisti.
Insomma, cambiano i leader ma le cose non migliorano, restano sempre gli stessi a gestire le risorse pubbliche, in una specie di sodalizio “attivi come prima”.
Passati vent’anni da tangentopoli è arrivato un altro sistema, che ha preso il nome dalla città dove il caso è emerso sulla stampa in tutta la sua chiarezza: “Sistema Sesto”. Attenzione, invece di Sesto San Giovanni, avrebbe potuto chiamarsi tranquillamente sistema Milano. In che cosa consiste è presto detto. Nel 1994 Filippo Penati diventa sindaco di Sesto e si ritrova a gestire il risultato della chiusura di parecchi stabilimenti, come la Falk e la Magneti Marelli. Sono delle enormi aree che ritornano sul mercato immobiliare, da regolamentare tramite piano regolatore. Da sindaco a gestore il passo è breve. Negli ultimi anni queste vicende sono emerse con chiarezza per merito di uno dei protagonisti di quel periodo che alla fine si è ribellato alla “gestione” familistica della cosa pubblica da parte di gruppi di potere, che utilizzano i partiti per fare affari personali. Piero Di Caterina tre anni fa ha iniziato a raccontare come fosse realmente il sistema di gestione del Comune di Sesto, la procura di Monza ha svolto delle accurate indagini e a maggio giugno sono partiti i processi alla cosiddetta “banda dei quattro” del Sistema Sesto, capitanata da Penati, ex braccio destro dell’ex-segretario PD Bersani. Proprio domenica scorsa, 11 agosto, esce un pezzo su La Stampa, edizione novarese, che riguarda un componente del gruppo che è sotto processo a Monza, Antonino Princiotta. La notizia è questa:
“Indagato e poi imputato in Lombardia, funzionario con più cariche a Novara. La bufera giudiziaria legata al «Sistema Sesto», per la quale è in corso il processo di primo grado in tribunale a Monza (tra gli imputati principali l’ex presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati), non ha minimamente intaccato l’autorevolezza e la carriera novarese di Antonino Princiotta, 60 anni, attuale segretario generale della Provincia di Novara. La Giunta gli ha appena rinnovato l’incarico all’Autorità d’ambito (retribuito con 12 mila e 500 euro lordi).”
Si sa che i posti di lavoro scarseggiano. La cifra per molte operaie-operai, di questi tempi equivale quasi ad uno stipendio annuale, ma non è questo il caso del Princiotta. Nell’articolo si racconta che lo stipendio del 2011 è stato di 187mila euro, percepiti per il lavoro di segretario generale e di direttore generale della Provincia, più altri incarichi e consulenze. Il sito web dell’Ente riporta anche gli ultimi dati dei compensi percepiti nel 2012 che, come purtroppo sanno gli italiani, è stato un anno durissimo, ma non per lui, che prende il volo e supera quota duecento, arrivando a 214mila euro lordi, più i nuovi incarichi aggiuntivi segnalati da La Stampa generosamente elargiti dalla provvidenza politica. Certo, lui dice di essere bravo e di sapersi organizzare bene nel fare tutti questi delicati e impegnativi lavori, retribuiti con cifre che potrebbero fornire un dignitoso compenso a sei-sette ricercatori universitari. Non è questa la sede per valutare se siano più utili alla società civile una squadra di ricercatori o il dirigente pluri-incaricato.
E’ solo un esempio di come funziona un sistema malato, quello che a Roma Fabrizio Barca vorrebbe cambiare e che Piero Di Caterina a Sesto ha denunciato pubblicamente in un libro – ADD Editori – scritto a quattro mani con Laura Marinaro dal titolo “Il sistema corruzione” sottotitolato “Come rubano i nostri soldi e perché dobbiamo dire basta”. Il sodale di Penati, Antonino Princiotta, come è descritto dai giudici di Monza, segretario generale alla Provincia di Milano dal 2004 al 2009, sempre con numerosissimi incarichi, quando nel giugno 2009 la sinistra perde le elezioni, si ritrova come presidente il pidiellino Guido Podestà, che allora era anche coordinatore regionale del PDL. Ebbene, succede che il nuovo eletto si rende conto subito dello stato disastroso in cui si ritrova l’Ente dopo la gestione del gruppo sestese. Cerca di capire e fare piazza pulita, riesce a fatica a rimuovere Princiotta, che inspiegabilmente riscuote simpatie tanto a destra come a sinistra. Essendo segretario di carriera, è garantito dall’Agenzia, per cui non rischia nulla, viene solo messo a disposizione, in attesa della chiamata politica da parte di altri enti. Che puntualmente arriva, con la velocità della luce. Podestà sollecita la fuoriuscita e un altra provincia lo chiama. Lì avviene un colpo di teatro: chi lo chiama è una provincia di fresca elezione dove ha vinto il centro destra con la Lega Nord, che a rigore non avrebbe nessun vantaggio a regalare una posizione di potere importantissima alla sinistra. L’unica spiegazione plausibile è quella del sistema Sesto, che veleggia tra la destra e la sinistra, passando per il centro.
Ben venga il Di Caterina e la sua neonata Associazione Cosa Pubblica-Libra se questo può servire a richiamare l’attenzione sulla devastante corruzione che tartassa gli italiani, a fare un po’ di chiarezza in questa politica inquinata da vari “sistemi”, che tutto vogliono meno che la buona gestione della cosa pubblica.