www.lindipendenza.com - In questi primi giorni di settembre è arrivata l’impennata delle polemiche, come primo effetto collaterale del rientro dei protagonisti della politica italiana. Difficile non pensare che sarebbe stata un’ottima soluzione prorogare ancora un po’ le loro ferie, pazienza, sarà per il prossimo anno. A leggere i giornali pare proprio che manchi poco alla fine del nostro piccolo mondo. Nel Mediterraneo sulla vicenda della Siria, Mr. Obama sta rimediando figuracce a catena, accompagnato su questa strada da Hollande che, stanco di fare il socialista pacifista, vuol dimostrare ai francesi che non si merita il soprannome di “budino”. In Italia la presunta fine è prorogata a lunedì 9, verso sera, dopo cena. Doveva essere il 1 agosto, ma tanti avevano prenotato qualcosa, chi l’albergo, chi il volo, ed allora il rinvio è stato necessario.
Ieri, l’Unità.it ha pubblicato un dispaccio dal fronte:
”Rotondi avvisa che i ministri e i parlamentari PDL hanno le dimissioni pronte, il partito di via dell’Umiltà ripete i suoi ultimatum al PD: cambi idea sulla decadenza di Berlusconi o cade tutto. Per Cicchitto i Democratici, sull’argomento, vanno avanti “solo a slogan tranne Violante”. Al che interviene il ministro per i rapporti con il Parlamento Franceschini che osserva: il premier Letta va al G20 e queste minacce di crisi danneggiano l’Italia tutta. Poi Silvio Berlusconi ordina la frenata: tutto di nuovo congelato, si aspetterà ancora.”
Su un altro giornale, in contemporanea Vannino Chiti, vicepresidente del Senato in quota PD, in un’intervista al Corriere della Sera, sbotta:
“Diamine! Se il Congresso è finito prima di cominciare, allora è finito il Partito Democratico. Da anni il PD non discute di valori, di socialismo, di come stare in Europa, di che partito intende essere, di regole. Spero sempre che questo torni ad avvenire, almeno al Congresso”.
L’argomento principale sul tappeto non è la guerra di Obama alle nostre porte, ne la crisi economica, bensì la decadenza di Berlusconi dal Senato e, in sub-ordine, il Congresso del PD per eleggere il nuovo segretario. Due argomenti apparentemente molto distanti, che riguardano uno il PDL e l’altro il PD, eppure si intuisce che potrebbero essere intrecciati, in un modo che è tutto da scoprire.
In un precedente articolo sulla sentenza di condanna si è parlato della linea di separazione tra il procedimento giurisdizionale e quello politico. Il primo si è concluso, in malo modo, come ha rilevato un autorevole commentatore, Piero Ostellino, sul Corriere del 4 settembre, perché dalla lettura della sentenza a suo parere la condanna è relativa ad una nuova fattispecie giuridica di delinquente – “l’ideatore di reato” – colui che avrebbe inventato il meccanismo che ha consentito a Mediaset di frodare il fisco. Come tale sempre responsabile, anche se non presente nei posti di comando, alla faccia dello stato di diritto. Detto questo, Ostellino pareggia subito il conto, mettendo il dito sulla scarsa attitudine del Cavaliere ad agire come dovrebbe fare un buon politico, adoperandosi fattivamente a risolvere in termini generali il nodo della mala-giustizia.
Il processo, con la sentenza del 1 agosto, è finito ed ora tocca alla politica, come prescrive la Costituzione, all’art. 66, dire la sua parola. Non è una cosa da passacarte, è una valutazione importante, per cui c’è da capire perché il segretario reggente del PD, Guglielmo Epifani, sostiene che è solo una semplice presa d’atto di un meccanismo, che l’espulsione del Caimano dal Senato è praticamente automatica. Essendo una persona molto equilibrata, si può dedurre che difenda un proprio interesse di bottega, per cui è il caso di dare un occhio alla attività di Epifani. Sicuramente ci tiene a tutelare la carica di segretario del PD. La carica è molto importante, permette di controllare il grande giro di nomine pubbliche nelle società, negli enti e in una miriade di associazioni, fondazioni, centri studi e le candidature alle elezioni politiche. Il giorno che Epifani è stato eletto, l’11 maggio 2013, dopo che Bersani ha mollato il posto, apparentemente per la vicenda andata male del voto per il presidente della Repubblica, il patto è stato quello di gestire una macchina in riserva sparata, quasi senza benzina, del resto avrebbe dovuto fare solo qualche chilometro, niente di più. Si sa come vanno queste cose, si è reso subito conto che la macchina è confortevole, una volta al volante non si vuole più scendere, anche se c’è già il nuovo proprietario che aspetta sul marciapiede ed inizia ad innervosirsi. Sia chiaro, può capitare a tutti. Stavolta è capitato proprio a lui che si riempie la bocca di “legalità” e cose simili, a mettere sotto i piedi lo statuto del PD, che parla chiaro al riguardo: entro sei mesi dalla scadenza della assemblea nazionale, eletta il 7 novembre 2009, il presidente (del PD) indice le elezioni per la segreteria e l’assemblea nazionale. Il presidente, la Bindi, non ha fissato la data e si è dimessa, lasciando ai vice la patata bollente. Il politologo Luciano Fasano, che ha lavorato sullo statuto e studia il funzionamento delle primarie, sostiene che il gruppo del segretario con i bersaniani siano ormai una netta minoranza nel partito, per questo hanno tutto l’interesse a dilazionare i tempi, ostinandosi a non fissare la data del congresso, in cerca di un qualche bastione dove posizionarsi per fare l’ultima resistenza. Una specie di Valtellina rossa.
In questo modo, piegando a piacimento lo statuto del PD, pensano di ritardare la caduta, di non mollare i posti di comando del partito. Però, le primarie per la segreteria sono un evento ineluttabile, che può essere fermato solo di fronte ad un grosso evento esterno, come può essere il voto anticipato (oppure una scissione).
Se così fosse, le primarie cambierebbero direzione e valenza, invece di essere per la segreteria diventerebbero primarie di coalizione per la premiership, cioè per assumere il ruolo di capo-coalizione del centro sinistra, con il porcellum, l’attuale sistema elettorale. Il gruppo composito degli ex-DS concederebbe volentieri mano libera a Matteo Renzi per il governo, in cambio del controllo sul partito con la proroga di fatto di Epifani.
Perché tutto ciò avvenga c’è bisogno che la Giunta per le elezioni del Senato voti per la decadenza immediata del Caimano, il quale impaurito dalle notizie sull’apertura della caccia libera da parte delle procure di mezza Italia, potrebbe fare un tale casino (dimissioni, proclami ecc…) da fare sfuggire di mano a re Giorgio la situazione, che è già andato fuori misura con la vicenda della nomina dei quattro senatori a vita.
Qui il cerchio PD – PDL si chiude, si ritorna al punto di partenza. Una volta che la Giunta avrà votato per buttare fuori Berlusconi dal Senato, si può stare certi che la vittima designata non starà ferma, inizierà a far casino, a strepitare, quel tanto che basta per fare perdere la trebisonda a re Giorgio e agli elettori. Così due dei protagonisti, Napolitano e Berlusconi, uscirebbero rapidamente di scena. Il nuovo competitore che attende nervoso sul marciapiede, l’ex-rottamatore Renzi, verrebbe messo su un binario non pericoloso.
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