www.lindipendenza.com - Oggi dovrebbe arrivare, salvo imprevisti o ritardi, siamo sempre in Italia, l’onda anomala dotata di una notevole forza d’urto sullo stitico sistema politico italiano: la sentenza finale della Cassazione su uno dei processi di Berlusconi.
In un mare increspato da un insidioso vento di libeccio, tutti aspettano di vedere come sarà l’impatto dell’onda, della quale i giornali e i TG raccontano cose terribili, di come sia alta e devastante, peggio dell’ultima del 1992.
Per ingannare l’attesa e passare in modo proficuo il tempo che ci separa dal grande evento, si può ragionare su altri aspetti di dettaglio del nostro sistema politico, delle istituzioni e della Costituzione. Sul disegno di legge costituzionale per la riforma della Carta, che la maggioranza anomala sta approntando in tutta fretta, nei prossimi giorni si capirà se vale la pena scrivere qualcosa, mentre appare più consistente il grosso nuvolone che si è addensato sopra ad una storica e gloriosa istituzione italiana: la Provincia.
Vorrei spendere qualche timida parola in sua difesa proprio su questo giornale, che è molto sensibile all’argomento delle identità territoriali. In difesa di una istituzione storica, che certamente è vecchia, poichè è stata imposta dai Savoia con l’Unità d’Italia centocinquant’anni fa, ma gloriosa.
Questo non vuol dire mettersi sotto la sua finestra con la chitarra in mano a suonarle la serenata.
Anche perché sono parte in causa, per cui conviene ragionare più che gridare. Mi limito ad esprimere una osservazione ed a una constatazione: la prima è che le province sono percepite dalla gente come una entità territoriale vera, un bacino culturale che raccoglie un nugolo di campanili abbastanza omogeneo, mentre la maggior parte delle regioni sono una costruzione astratta o sono già di fatto delle province.
Allora c’è da chiedersi perché tanto accanimento verso di loro, come mai gli strali dei giornalisti e dei commentatori politici si rivolgono sempre in quella direzione. Invariabilmente, se c’è da fare un esempio di risparmio sulla spesa pubblica, sono tutti d’accordo a mettere il dito sull’ente territoriale intermedio, che ora non ha più neanche la dignità della targa automobilistica propria.
La risposta è complicata, però in questo momento ha sicuramente una sua grande utilità, perché emblematica nel far intravvedere gli effetti del “riformismo” all’italiana, le conseguenze cioè di quella che è stata vista e giudicata, anche da me, come un’ottima riforma istituzionale.
C’è da capire come mai l’istituzione “Provincia” è diventata il vaso di cocchio in mezzo ad un gruppo di vasi di ferro. Avendo conoscenza diretta del problema posso avanzare un’ipotesi incentrata sulla la sua classe politica: in generale è poco convincente, poco preparata, sovente più simile ad un gestore di un carrozzone del luna park.
Mi spiego meglio. L’impressione è che il degrado del livello qualitativo dei rappresentanti politici nelle province sia il frutto, simile a quello del “porcellum” per le Camere, di un sistema elettorale molto particolare che utilizza apparentemente delle tecniche all’avanguardia, come il collegio uninominale per i consiglieri e l’elezione diretta del presidente, ma che invece agisce in tutt’altro modo, fino a configurarsi come un vero e proprio inganno alla democrazia, legalizzato, per estorcere il consenso all’ignaro elettore. Due parole su questo sistema, senza addentrarsi troppo nei tecnicismi: il collegio uninominale è utilizzato in modo tale che il risultato è prefigurato, si sa già prima chi passerà e chi rimarrà a casa, aggirando di fatto il giudizio degli elettori. Altrettanto finto appare l’esercizio di democrazia diretta con l’elezione del presidente di provincia. In un quadro politico sostanzialmente bipolare, dove alla fine i due poli sono insieme, come dimostra l’attuale maggioranza di governo nazionale, a livello locale vuol dire “consociazione” e rigida spartizione del potere. Nel giro di due decenni, con la legge 81 del 1993 dell’elezione diretta, è stato attuato lo svuotamento dei poteri dei consigli a favore di “presidenti”, formalmente eletti dal popolo, ma tendenzialmente consociativi, che sono diventati dei “gestori all’ingrosso” di risorse, di posti e di incarichi.
Poco alla volta gli elettori hanno percepito la loro lontananza dalle esigenze e dai problemi del territorio, hanno visto le porte sempre chiuse delle loro dimore pubbliche.
Ora, che cosa possono dire i cittadini contro il governo che settimana scorsa ha avviato un disegno di legge riduttivo sulle Province? Alcuni penseranno che al massimo avrà l’effetto di mettere a mare un po’ della zavorra accumulata nelle Province in questi anni. Altri invece penseranno che il premier l’ha fatto solo per salvare se stesso e tutta la sua dispendiosissima corte dei miracoli della burocrazia romana.
Invece, sarebbe ora di azzerare il contatore e ripartire da capo, escludendo tutta questa casta politica improduttiva, che si è insediata abusivamente negli enti territoriali e nelle loro numerosissime ramificazioni economiche, che sono ancora più importanti delle Province stesse, per salvarne l’indubbia utilità.