A Grillo piace punzecchiare Bersani, ancora di più oggi che è il vincitore delle primarie del centro sinistra. Lo chiama Gargamella, personaggio dei fumetti che rappresenta un mago irascibile che odia i puffi, scrivendo nel suo blog che “Gargamella è felice, ora che è l’allenatore di una squadra vincente”. Poi affonda indicando la possibile formazione della squadrone disposto “con uno schema aggressivo: un 3-4-3, con Penati in porta, Lusi terzino di rifornimento, Del Turco stopper, La Ganga, Tedesco e Bassolino registi a centrocampo”. Il blogger genovese prosegue ricordando che “nell’ultimo ventennio infatti Pdl e Pdmenoelle si sono dati il cambio, una staffetta perfetta, 10 anni al centrosinistra, 10 anni al centrodestra. Parità sul campo e combine su combine: scudo fiscale, conflitto di interessi, distruzione del tessuto economico, debito pubblico. Ora però, Bersani non ha più bisogno del Pdl, può vincere da solo e far fallire definitivamente il Paese con il suo squadrone“.
Questa scaramuccia non è casuale, trae origine dal solito tema, quello della legge elettorale, accantonato il mese scorso e messo in attesa del risultato delle primarie, ora di nuovo in discussione alla prima Commissione del Senato. Da novembre è stato fatto qualche piccolo passo avanti, con dei momentanei accordi, più che altro per la resurrezione della vecchia maggioranza di centro destra Pdl-Lega. Così è stato introdotto un limite minimo del 42,5% per lo scatto del “premione” di maggioranza, i famosi 340 seggi alla Camera.
Il PD si è fatto sentire, ha opposto uno strenuo ostruzionismo di facciata per tenersi ben stretto il sistema attuale, il tanto deprecato “porcellum” con il florido premio e le sue liste bloccate. Nel partito in tanti mugugnano, c’è chi vuole le primarie sul territorio per definire in modo più aperto le liste di candidati per camera e senato, come Pippo Civati e Beppe Fioroni, altri si oppongono, temono per il loro posto sicuro che hanno a Roma, per cui non vogliono mettersi in gioco.
Anche il Cavaliere sotto sotto ha voglia di tenersi l’attuale sistema, che gli permette il totale controllo delle liste di candidati per le prossime politiche. Sembra quasi che per questo sia disposto a tutto, anche alle uscite temerarie sull’election day. Sono diversi giorni che lo sta chiedendo a gran voce. Anche se appare un passo contradditorio indire tutte le elezioni in un unico weekend di marzo o febbraio, per mettere insieme le elezioni regionali del Lazio e della Lombardia, con le Politiche e le comunali del 2013, pena la revoca della fiducia la Governo Monti.
Il costituzionalista Ainis, dalle colonne del Corriere, ieri ha ripreso il conteggio, che ho fatto in un precedente articolo su questo giornale, sui tempi tecnici per l’indizione delle elezioni, spiegando l’insensatezza della posizione politica che “equivale alla minaccia di uccidere un morto. Difficile che il morto si faccia male” perché la legislatura e praticamente finita, ma ci sono ancora sette decreti legge da convertire, la legge di stabilità da approvare e la legge elettorale da mettere a posto, altrimenti il presidente Napolitano ha già detto che non scioglie le Camere, con il rischio di avere una lunga crisi parlamentare dai costi altissimi sul mercato finanziario. Ainis conclude ironicamente dicendo che “è inutile tuonare se non hai energia per fulminare – aggiungedo un’altra immagine - Come diceva Bukowski, puoi anche minacciare il sole con una pistola ad acqua, ma poi ti bagni i pantaloni”. Infatti, ieri giornata di grandi conciliaboli a Roma: il Tar del Lazio, con una sentenza che annulla il decreto della Polverini, ha intimando di svolgere le elezioni il prima possibile, cioè il 3-4 febbraio, rendendo in questo modo inutile tutta la discussione sull’election day, perché sarebbe troppo presto per le politiche, visto che le Camere non possono essere sciolte domani.
Subito dopo la nomenclatura del Pdl si è riunita a Palazzo Grazioli per decidere sulla linea da tenere, ovvero su come chiudere un accordo sulla legge elettorale in commissione al Senato. Lì, in questi giorni, ha furoreggiato l’esponente storico della Lega, Roberto Calderoli, con le sue innumerevoli proposte conciliative e le fantasiose trovate giuridiche, forte dei suoi vent’anni di seggio parlamentare (dal 1992). Una strenua battaglia l’ha fatta lunedì e martedì, quando ha sostenuto a più riprese un emendamento teso a introdurre proprio l’election-day generalizzato (comunali, provinciali, regionali, Camera e Senato). Alla fine ha dovuto mollare, visto che la commissione ha accantonato la proposta che appare estranea agli interessi di Maroni e della Lega Nord.
A parte il funambolismo di Calderoli, la commissione ha approvato emendamenti decisamente non secondari come quello sull’obbligo di depositare lo statuto per tutte le liste che si presentano alle elezioni, subito ribattezzato emendamento anti-Grillo, visto che per scelta è l’unica lista che non ne possiede uno. Inoltre, hanno discusso di un tetto alle spese dei candidati, con sanzioni molto pesanti. Infine il relatore del Pdl ha chiesto una deroga sulle sottoscrizioni, dimezzandone la quantità, almeno per le prossime elezioni. Questo è forse il migliore indicatore sulle reali intenzioni dell’ex-premier, cioè di voler presentare una lista nuova, che quindi non potrebbe usufruire del regime di esenzione vigente legato al nome dei gruppi parlamentari esistenti nel 2008. Anche la contesa sul “premietto”, proposto dal vice capogruppo del Pdl Quagliariello di 50 seggi, aiuta a chiarire le reali intenzioni del PD, visto che verrà assegnato al primo partito, se nessuna coalizione arriverà alla soglia prestabilita.
Nel gioco delle parti, la capogruppo del PD Finocchiaro protesta, chiede una “normativa che garantisca la governabilità del Paese e la libertà di scelta degli elettori”, che è come dire di volere il marito allegro e la botte del vino sempre piena. Ieri ha avanzato delle contro proposte sui dettagli tecnici, in un batti e ribatti infinito. Anche questa settimana probabilmente finirà con un nulla di fatto, senza che la nuova legge elettorale sia approdata alla discussione in aula. Si rischia seriamente, di questo passo, di andare al voto con il porcellum che certamente favorirà, con le sue regole molto indulgenti volute da Berlusconi e Calderoli, lo “squadrone” di Bersani.
Al centro destra rimane da gareggiare per il secondo o il terzo posto, senza premi di consolazione. A meno che non ci sia un imprevisto dell’ultimo minuto.