Alla Camera dei deputati, martedì pomeriggio 10 settembre, si è svolto un siparietto tra un deputato del M5S, Di Battista, e la presidente Boldrini. Gli atti parlamentari riportano il vivace dialogo:

DI BATTISTA (M5S) “Quando noi sosteniamo che il PD è uguale al PdL, non è vero, ci siamo sbagliati: il PD è peggio del PdL (Commenti)!”

PRESIDENTE.” Non offenda!”

DI BATTISTA (M5S).” Perché se il malaffare ha rovinato questo Paese (Vivi commenti)…”

PRESIDENTE.” No, non offenda! Non offenda! La prego!”

DI BATTISTA (M5S) ”. … è l’ipocrisia che uccide la speranza! Concludo…”

PRESIDENTE. “Usi un linguaggio consono, senza offendere, per favore!

DI BATTISTA (M5S). “D’accordo. Concludo dicendo, Presidente, con tranquillità: puniteci, sanzionateci se ce lo meritiamo; ma prima sbattete fuori dalle istituzioni i ladri che rappresentano il Popolo della Libertà (Proteste dei deputati dei gruppi Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente e Partito Democratico)!

ANTONIO LEONE (PDL). “Ma chi c… ti credi di essere? Come ti permetti?”

PRESIDENTE. “Basta! Lei non può usare toni offensivi! Il rispetto delle regole passa anche da questo, onorevole Di Battista! Non continuiamo a provocare, per favore (Vivi commenti)! Colleghi, per favore! Adesso procediamo con i nostri lavori!”

I due partiti PD e PDL, secondo l’esponente di SEL che ha sostituito Fini, sono stati incautamente appaiati dal deputato grillino. L’inspiegabile risentimento della Boldrini è un segnale importante, che va interpretato, visto che PD e PDL sorreggono da anni gli stessi governi. Non rimane altro da fare che esaminare i due oggetti della disputa.

In Italia più volte gli scienziati della politica si sono scervellati, in questi ultimi periodi con un certo successo, alla costruzione di partiti belli e accattivanti (I Democratici, la Margherita, l’Elefantino…) adatti alla raccolta del voto, sovente finalizzati al mantenimento di gruppi di potere consolidati. Operazioni di incanalamento del consenso popolare che hanno avuto un boom nei primi anni novanta, con la comparsa sulla scena prima di Forza Italia, di AN e del PDS. La sinistra aveva coniato anche il termine spregiativo di “partito di plastica” rivolto a Forza Italia, per indicare un partito composto da un mix di pezzi veri e finti, specificamente assemblato ad Arcore, una specie di “frankenstein”. Il mito di Frankenstein richiama l’ambizione di costruire un essere umano in laboratorio partendo da singoli pezzi, è un monito all’aspirazione degli scienziati di poter tecnicamente fare qualsiasi cosa. Il politologo e editorialista de La Repubblica, Ilvo Diamanti, ha proposto una chiave di lettura sui due partiti, condivisa da molti esponenti dell’area progressista: PDL=partito personale, PD=partito impersonale.

E’ una dicotomia che nasconde, più che far capire. E’ vero che il Cavaliere guida il PDL e lo personalizza scegliendosi il suo gruppo dirigente e per questo è una specie di “oligarchia”. E’ altrettanto vero che da vent’anni il maggior partito che occupa il centro sinistra, prima il PDS, poi i DS e la Margherita, infine il PD, è sempre stato gestito e controllato dalle stesse persone, che si configurano in aree politiche ben strutturate (dalemiani, veltroniani, ex sinistra-petrolifera-DC ecc..). A tali “correnti” corrispondono importanti posti di potere, nel mondo pubblico, in fondazioni e centri studi, per cui si può parlare di elite strutturate, una pluralità di oligarchie, che rappresentano una “poliarchia”, per usare un termine proposto dal politologo americano Robert Dahl nel suo importante libro “La democrazia e i suoi critici”, pubblicato in Italia nel 1990 proprio dagli Editori Riuniti. Lo schema, a mio modesto parere, andrebbe rivisto in questo modo: PDL=oligarchia, PD=poliarchia (gruppi di elite)

Il deputato del M5S ha probabilmente colto tale assonanza, quella di essere partiti di elite, creati in laboratori specializzati, in questo caso a Arcore e Bologna. Volendo si può anche rintracciare il marchio di fabbrica in alcuni dettagli. Come per un capo di abbigliamento è l’etichetta a fornire le informazioni costruttive, così per un partito è lo statuto a fornire la carta di identità del manufatto. Visto che si parla tanto del futuro del PD, per la dura lotta per la segreteria, vale la pena prendere in mano lo statuto del Partito Democratico, disponibile sul sito web. E’ molto consistente, 47 articoli, densi di corposi commi, che valgono già di loro. Ad esempio il primo articolo è composto da 10 commi numerati, il secondo da 9, comprendente una sottoclassificazione a punti con lettera. Un lavoro da specialisti, che di solito pensano a tutto, con norme minuziose.

In questo caso, presi dalla pignoleria, alla fine si sono dimenticati la cosa più importante, i valori. All’articolo 1, quello dei principi e delle idealità, si legge: ”Il PD è un partito federale costituito da elettori ed iscritti…”. Scritto così appare più un gioco di parole, un ossimoro. Sappiamo ora che il PD è un partito federale, un partito dei territori, teoricamente potrebbe inglobare anche la Lega 2.0 di Maroni. Il testo nei successivi commi prosegue in modo neutro, per cui potrebbe essere un partito collocabile sia a destra che a sinistra, come al centro. Non c’è alcuna traccia di parole storiche della sinistra come lavoro, operai, giustizia, socialismo e marxismo. Dei simboli e delle radici storiche della “sinistra” non c’è rimasto niente. Il laboratorio bolognese ha confezionato un partito post moderno, sganciato dalla sua base valoriale storica, quella laburista.

Quando il PD si ritrova davanti ad una scelta, sovente si imballa. Oppure si presta a fughe valoriali incontrollate. Ad esempio, il vice presidente del PD Scalfarotto, accompagnato da una lunga fila di colleghi, è riuscito a portare in questi giorni in aula alla Camera la proposta di legge “di contrasto alla omofobia e alla transfobia”, che arriva prevedere il carcere per chi esprima opinioni sui travestiti e cose simili. Una mamma al parco con i suoi figlioli, rischia grosso se spiega con parole sue cosa sono quegli uomini vestiti in modo bizzarro che camminano su tacchi a spillo, vestendosi da donna con vistosi reggiseni. Con un tale testo il PD vorrebbe introdurre un reato di opinione, un mix aberrante di pseudo libertarismo e imposizione dittatoriale, difficile da spiegare ad un operaio turnista. Viene da pensare che ben pochi militanti abbiano letto veramente lo statuto, forse per la lunghezza e complessità del testo. Rimane il fatto che il modello di partito che è stato studiato e confezionato dai veltroniani, fondatori del PD, è tendenzialmente simile a quello del PDL.

Mi spiego meglio. Il modello teorico del partito guida del centro-sinistra italiano è quello di un partito retto da un segretario forte, che assomma nella stessa persona la leadership del partito e la candidatura alla guida del governo, cioè la premiership. Quindi, il segretario del PD è anche il candidato “capo coalizione” alle elezioni politiche, con l’attuale sistema elettorale, cioè la persona che si presenterà al Capo dello stato per ricevere l’investitura, com’è successo con Prodi dopo le elezioni del 2006 e con Bersani a marzo 2013.

Tale sovrapposizione di ruoli è simile a quella del PDL, incentrato sulla figura del Cavaliere. Quindi, il PD è stato impostato per una guida oligarchica, solo che non ci riesce, se non per brevi periodi. Veltroni nel 2009 ha mollato alla prima difficoltà, Bersani nel 2013 si è incaponito con gli otto punti fino a sbattere la testa contro il muro.

PD e PDL non sono soli, anche il movimento M5S di Grillo e Casaleggio, quest’ultimo reduce dal forum Ambrosetti a porte chiuse a Cernobbio, sta dimostrando di avere una guida molto simile, tendenzialmente “oligarchica”, come altri partiti che siedono in Parlamento.

In conclusione, una democrazia dei partiti come la nostra, disciplinata dalla Costituzione del ’47, ha bisogno di partiti veri, aperti e possibilmente trasparenti, per poter tirare fuori dal pantano l’Italia. Altrimenti con i partiti Frankenstein sarà sempre una finta democrazia, sotto il giogo di una casta politica immobile.