(lindipendenza.com) - Le primarie indette per il prossimo novembre dalla sinistra, intesa come PD più SEL di Vendola sono da considerare con molta attenzione, mista a diffidenza. La candidatura di Matteo Renzi sembra calzare a pennello al motto della politica italiana: cambiare tutto per non cambiare nulla.

Il messaggio trasmesso dai solerti TG della sera è chiaro: Bersani è la tradizione, esponente del vecchio PCI, mentre Renzi è il nuovo, giovane e rampante. Entrambi hanno assunto un profilo comunicativo ben preciso: Bersani è bonario, gioca ad imitare il suo imitatore, il comico Crozza, risultando naturalmente gradevole, per l’inflessione emiliana, meno musone dei classici leader comunisti. Renzi è competitivo, con un originale stile toscano-guascone pseudo obamiano.

Uno stile efficace, che sta riuscendo alla grande in una operazione da giano-bifronte: da una parte guarda alla componente libertaria della sinistra, non comunista, mimetizzando con grande abilità la sua vera essenza politica democristiana, dall’altra riesce ad agganciare i due grandi iceberg alla deriva che portano una massa enorme di profughi politici (della destra finiana e berlusconiana non PDL). La rapidità di esecuzione gli consente di muoversi con molta agilità e coprire l’immenso territorio elettorale che ha a disposizione, vista la veloce e inesorabile regressione del PDL.

A settembre aleggiava un sospetto, che oggi è quasi una certezza: i due competitori marciano separati, ma sono sodali in un unico intento che li sorregge. Il comune obiettivo nella loro corsa è quello di fornire un salvagente alla attuale Casta politica, coinvolta nel fallimento dello Stato e delle sue istituzioni.

La fine della seconda Repubblica è certificata dal governo tecnico. A parte la vicenda Monti, risalta il fatto che la gara è stata inventata di sana pianta, mettendo nella stufa le sacrosante regole che il Partito Democratico si è dato all’atto della sua fondazione, per cui non c’era possibilità alcuna di fare delle primarie di coalizione con due candidati dello stesso partito, oltre tutto senza fiatare sul programma politico, cioè su che cosa andranno a fare al governo di questo paese, se non una generica continuità con l’azione del governo Monti. Proprio nel momento in cui il Senato sta per cambiare la legge elettorale e quindi modalità di svolgimento delle prossime elezioni Politiche del 2013.

Questa è la dimostrazione che la competizione in realtà è solo una esibizione preparata e pensata bene, come nel 2005 è stata quella di Prodi e nel 2007 quella di Veltroni. Argomenti a favore di questa tesi sono ogni giorno su tutti i giornali, è sufficiente leggere le dichiarazioni di gruppi o singole personalità del mondo politico della sinistra che si lanciano in dichiarazioni a favore dell’uno o dell’altro. Questo outing collettivo della “casta” non è certo da considerare un rinnovamento della politica, al massimo è una ricollocazione tattica sullo scacchiere politico. Però, a conferma di quanto detto, è evidente che la spregiudicata corsa di Renzi ha fatto molto bene anche a Bersani, rinvigorito come fosse un “usato sicuro”, un’alternativa tranquillizzante a prezzo scontato.

Sono come due zoppi, camminano diritti perché si appoggiano uno contro l’altro, separati non starebbero in piedi. Alcune scelte sono state molto efficaci, come la parola d’ordine “rottamazione”, ripetuta come un mantra, in tutte le salse e a tutte le ore. In un momento come questo, di totale discredito verso la classe politica, chi impugna una tale arma verbale riesce a penetrare in profondità nella mente e nell’animo di molti elettori.

Renzi settimana scorsa ha fatto capire qualcosa in più sulle sue vere intenzioni, nella puntata che ha fatto a Milano negli ambienti della finanza, che solo il web (Corriere.it) ha trasmesso nella sua cruda realtà: ambienti di lusso e folta presenza di personaggi del sottobosco vorace dell’economia e della politica, accorsa con il portafoglio in mano per pagare cifre sconsiderate per gustare una serata sull’arca “montiana”.

Se non fosse stato per questo mezzo passo falso, si poteva anche continuare a far finta di credere alla favola del “rottamatore buono” e dei “rottamandi espulsi”.

Queste primarie di coalizione difficilmente potranno portare un cambiamento reale. Non per essere pessimista o cinico, però ancora una volta ha vinto la regola della politica italiana, quella che nulla cambia veramente, al massimo si ridipinge, perché alla fine non succede mai veramente niente di nuovo. Tutte cose già viste con Prodi e Berlusconi.