Se il tempo me lo consentisse cercherei di studiare in modo approfondito psichiatria e psicologia, per capire cosa sta succedendo a tante menti italiane (e non solo) apparentemente colte e lucide. Certo, si possono avere differenti opinioni politiche; si possono manifestare differenti sensibilità; si possono immaginare differenti future evoluzioni storiche, ma la negazione dei fatti è un comportamento che ha a che vedere solo con la malafede o, per bene che vada, con la perdita delle capacità cognitive sostituita da valutazioni “di pancia” innescate da tossici condizionamenti ideologici ed umanitaristici. I recenti avvenimenti sui massacri dei cristiani dimostrano quanto in Italia il politicamente corretto impedisca una serena valutazione sulle cause di tali tragedie e sul modo di porvi un qualche limite. L’assassinio di dodici africani cristiani ad opera di pii musulmani su un gommone proveniente dalla solita Libia è l’ultima e più lampante dimostrazione dello stravolgimento dei fatti ad opera di politici e religiosi nostrani. Già senza che si avessero notizie più dettagliate sui fatti, è scattata la gara tra i giustificazionisti. In prima linea, naturalmente, politici e giornalisti di sinistra capeggiati dall’ineffabile lady Boria Boldrini che, a conferma della sensibilità e del buon gusto che da sempre la caratterizzano, ci ha pure ironizzato su (“Uccisi per motivi religiosi? Non penso discutessero di teologia!”). Ma che politici e giornalisti sinistri abbiano un tale comportamento è normale e prevedibile, poiché sulla distorsione delle realtà e sullo sfruttamento di solidarietà ed accoglienza essi costruiscono brillanti carriere mentre i loro amici costruiscono imperi economici senza affrontare la benché minima concorrenza. Ciò che proprio non si spiega, se non ricorrendo agli specialisti della psiche, è il giustificazionismo di taluni religiosi. Essi, infatti, sostengono la teoria secondo la quale, in determinati contesti, l’aggressività aumenta: qualcuno ha addirittura citato, con ammirevole sprezzo del ridicolo, l’effetto “barca a vela”, ossia quel fenomeno che porta alla perdita del controllo dei nervi quando si convive per lungo tempo in spazi ristretti. In pratica, i due gruppi religiosi presenti sul gommone avrebbero litigato solo a causa del contesto nel quale si trovavano, caratterizzato soprattutto dalle avversità cui andavano incontro. Tali affermazioni sono facilmente confutabili, in quanto è proprio nelle condizioni di pericolo che le differenze di varia natura vengono accantonate per dedicare tutte le proprie energie a salvare la pelle, collaborando con chi sta al proprio fianco a prescindere da chi sia e da come la pensi. L’effetto “barca a vela” svanisce quando si rischia di colare a picco. Dal racconto di diversi testimoni sappiamo però che i musulmani si sono inferociti quando qualche cristiano ha cominciato ad invocare l’aiuto di Gesù: ciò è inammissibile per un orecchio islamico, è un atto di sfida a cui rispondere con violenza. Del resto sappiamo che, anche negli stati islamici meno integralisti, i cristiani possono pregare solo nelle (pochissime) chiese colà ancora in piedi o all’interno delle mura domestiche, ma mai all’esterno ed in presenza di sensibili fedeli del credo dominante. La vicenda si è per ora conclusa con dodici cristiani assassinati e quindici musulmani arrestati, che probabilmente verranno condannati (sia pure a pene ridotte dalle attenuanti culturali) e quindi avviati ad una sicura carriera di fondamentalismo all’interno delle patrie galere. Oltre che ad essere mantenuti a spese del contribuente per parecchi anni, a costi decisamente superiori a quelli sostenuti dallo stato italiano per i richiedenti asilo. Ciò che purtroppo non si vuole capire è che quei quindici islamici (probabilmente) responsabili della strage sul gommone non sono criminali incalliti, ma solo persone cresciute con un certo imprinting – ahimè sempre più diffuso – che le ha portate a manifestare ed attuare un comportamento, eccezionale quanto si vuole, ma comunque da esse ritenuto lecito. Sbagliano anche quei commentatori non politicamente corretti che sostengono che tra gli assassini vi fossero anche dei terroristi in arrivo nel nostro Paese. In tal caso, i terroristi non avrebbero scatenato una rissa col rischio di rovesciare il barcone o di farsi arrestare una volta sbarcati: il loro unico interesse, in quei frangenti, sarebbe stato solo quello di approdare in Italia sani e salvi. Al di là dell’ennesima strage di innocenti, l’aspetto terrorizzante della vicenda, come plasticamente dimostrato dai fatti, è che dei normali musulmani in cerca di un futuro migliore, ma culturalmente carichi di astio ed aggressività, possano all’improvviso trasformarsi in feroci assassini per ingiustificabili ragioni di odio religioso. Se ciò succede in mare, nessuno può escludere che lo stesso possa prima o poi ripetersi sulla terraferma. Ma i nostri politici e giornalisti di sinistra continuano a non voler prendere atto della realtà. I barconi non ottenebrano solo le menti di stranieri disperati. Anche tantissimi cervelli nostrani.