“Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini” è una locuzione latina, che tradotta letteralmente, significa «quello che non hanno fatto i barbari, lo hanno fatto i Barberini!».

Parafrasando tale espressione e scusandomi per il mio latino maccheronico, potrei dire “quod non fecerunt marxisti fecerunt politici dementes”, riguardo l’argomento – per me tragico – di questo articolo: la distruzione del capitalismo buono. Questo fenomeno è comune a tutto l’Occidente, in particolare quello europeo, ma è in Italia che ha raggiunto inviolate vette di eccellenza.

Chiarisco subito ciò che penso del capitalismo buono: è una cosa meravigliosa. È grazie ad esso, oltre naturalmente ad altre condizioni che ben conosciamo, che l’Occidente ha potuto prosperare e distanziare sensibilmente tutte le altre culture quanto a benessere, tecnologia, diritti, libertà.

La disponibilità di capitale è fondamentale. Occorrono ingenti somme finanziarie per costruire strade, ospedali, scuole, teatri, per mantenere le forze armate, per pagare i politici. Tali risorse provengono dai tributi versati dai cittadini, tributi che saranno tanto più elevati quanto più ricca sarà la società.

Ma oggi ci stiamo fortemente impoverendo, e la colpa non è soltanto dell’euro.

Tra le diverse cause la principale ed allo stesso tempo la più assurda è la volontà di perseguire con tutti i mezzi quell’accumulo di ricchezza che garantirebbe la prosperità di qualunque Stato.

In Italia l’attacco ideologico è avvenuto, già nel secondo dopo guerra, dalla sinistra social comunista con il determinante contributo del suo braccio secolare, cioè il sindacato, e con la tacita compiacenza di una pusillanime Democrazia cristiana che si appellava a strumentali interpretazioni dell’insegnamento evangelico per giustificare l’odio nei confronti dei “padroni”.

A parte poche eccezioni, il sistema industriale italiano è sempre stato costituito da pochissimi gruppi industriali di grandi dimensioni, pochi di medie dimensioni e da una miriade di piccoli e piccolissimi imprenditori ed artigiani nelle cui giugulari il fisco ha sempre affondato i propri vampireschi canini per sovvenzionare le industrie di stato ed alimentare un’insaziabile ed ipertrofica clientela di impiegati statali (che non vanno colpevolizzati in quanto tali, sia chiaro!).

Imposte e sindacato, ecco la miracolosa ricetta per abbattere l’odiato nemico dei lavoratori.

Se nonostante ciò l’Italia reggeva ancora a fatica, ci ha pensato l’euro a dare il colpo di grazia. È stata distrutta la grande industria, parte della media e della piccola, ma soprattutto è stato annientato il capitalismo.

E allora? E allora confidiamo negli investimenti esteri, che però se avessimo un minimo di pudore e coerenza dovremmo rifiutare: infatti, la maggior parte di quei capitali proviene da paesi tutt’altro che democratici, dove i lavoratori spesso sono quasi schiavizzati e dove non si fa alcun processo a chi accumula denaro.

Qualche esempio?

Poco prima della caduta del governo Monti, l’allora premier fece un viaggio nei paesi del Golfo per incentivare gli investimenti sul nostro suolo. Ora, non so se il professorone sapesse che nei paesi del Golfo non si pagano imposte, che tali Stati sono praticamente proprietà privata degli sceicchi che nessuno ha eletto e che colà il rispetto dei diritti umani non è neppure linguisticamente traducibile.

Chi possiede la Wind, terzo gestore di telefonia italiano? Prima un magnate egiziano, proveniente dunque da un paese di endemica povertà. Per lo meno, Sawiris non è islamico. Quindi, la proprietà è passata ad un gruppo russo. Russo!!! Qualcuno per caso ricorda se c’è un qualche storico legame tra Russia e comunismo?

La Cina sta comprando porzioni sempre maggiori di Africa, detiene importanti quote del debito pubblico USA (con cui ricatta l’amministrazione Obama), i suoi miliardari investono in Europa ed in Italia. Ma la Cina non è un paese che tuttora si dichiara comunista?

Potremmo andare avanti per giorni, ma vorrei citare un ultimo caso emblematico: l’acquisto della squadra di calcio dell’Inter da parte di un magnate indonesiano. Non statunitense o russo, ma indonesiano, cioè proveniente da uno degli stati più poveri e mal governati al mondo, ove coscienza vuole che impiegasse le sue ricchezze per migliorare la vita dei suoi concittadini. So che vi importerà poco, ma consentitemi questo sfogo: ero tifoso dell’Inter, ora non me la sento più di regalare il mio coinvolgimento emotivo ad un certo signor Thohir.

Ma torniamo agli stati del Golfo. L’imbecillità dell’Occidente (soprattutto europeo), che ha sempre rifiutato di sviluppare una politica energetica che tendesse all’autosufficienza, compreso l’irresponsabile rifiuto di sicure centrali nucleari, ha fatto sì che ingentissimi capitali si accumulassero nelle zone più problematiche del globo dove, per un tragico scherzo del destino, è presente la maggior concentrazione di idrocarburi del pianeta.

Cosa fanno i vari sceicchi con ciò che hanno guadagnato senza fatica e senza merito? Aiutano i loro fratelli poveri? Soccorrono i migranti in mare? Domande retoriche, risposte scontate.

Mentre i nababbi del Golfo continuano con il loro shopping miliardario in Italia (Costa Smeralda, moda, banche, Mediaset, lusso, alberghi), il mondo arabo e mussulmano continua a vivere nella povertà e nel malgoverno, ma al massimo Riad e dintorni erogano solo i fondi per i Fratelli Mussulmani e, naturalmente, per le nuove moschee. I palestinesi sono sempre più stretti nei loro campi profughi poiché nessuno dei fratelli ricchi li vuole in casa propria, i somali preferiscono attraversare deserti e mari insidiosi perché dalle parti della Mecca, cioè ad un passo da casa loro, non sono i benvenuti. Però gli sceicchi sono molto sensibili alle ben più fortunate comunità arabe delle banlieu parigine e delle periferie di Mazara del Vallo, a cui mancano solo imam e moschee che i facoltosi sauditi e quwaitiani non lesinano di certo. Che vogliano trasformare quelle comunità islamiche in quinte colonne?

In conclusione, Marx ha vinto, il capitalismo buono di casa nostra è morto. Poiché lo Stato non può emettere moneta e neppure incrementare il debito pubblico per acquistare euro, siamo costretti a vendere pezzi d’Italia al miglior offerente. Quando ci va bene (raramente) gli acquirenti sono americani, tedeschi e francesi; quando ci va male (sempre più spesso) sono sceicchi, ex comunisti (russi) e comunisti (cinesi).

Tutto ciò mi sconvolge, come possiamo accettare dall’estero ciò che rifiutiamo da casa nostra? Forse dovrei seriamente studiare sociologia per capire i meccanismi che portano sistematicamente i governi italiani all’imbecillità di massa.