Papa Francesco non è certamente uno sprovveduto, non si arriva al soglio di Pietro solo per volontà dello Spirito Santo. E neppure si diventa vescovi o cardinali se non si possiedono doti quali intelligenza, scaltrezza, cultura, diplomazia. Pertanto sarebbe riduttivo attribuire le esternazioni  dell’attuale pontefice all’impulsività del carattere o alla sua adesione ad un integralismo evangelico attribuito al grande santo di cui porta il nome.

Bergoglio è un gesuita e, se è vero ciò che si dice intorno ai seguaci di Ignazio di Loyola, il comportamento del papa argentino-piemontese  è tutt’altro che istintivo. Ora, quale sia la strategia di Francesco penso costituisca un mistero anche per gli analisti vaticani più esperti, ma sulla sua tattica è noto che vi sia una polarizzazione molto vicina a quella di tipo politico: questo pontefice fa di tutto per apparire (lui ed i suoi collaboratori) di sinistra.

Papa Francesco non è certo un sempliciotto ma, come recentissimamente ha fatto notare Pietro Ostellino,  manca pressoché totalmente dell’etica della responsabilità. Detto in parole povere, il vescovo di Roma dovrebbe valutare gli effetti delle proprie azioni e dichiarazioni prima di darne attuazione. Detto in parole poverissime, egli dovrebbe ricorrere maggiormente al buon senso. E, mi permetto di aggiungere, ricordarsi che tra le virtù cardinali ce n’è una denominata prudenza, ed un’altra nota come temperanza.

Terminata questa lunga introduzione, che peraltro potrei riproporre quasi ad ogni azione compiuta da Papa Francesco, vorrei esprimere tutto il mio stupore per il gradimento da egli dimostrato nel ricevere in dono dal presidente della Bolivia un crocifisso inchiodato sul simbolo più caratteristico del comunismo.
Ma il mio stupore non è tanto dovuto all’aver unito i principali simboli del persecutore e del perseguitato, il che potrebbe anche aver senso nella logica di una cristiana riconciliazione, quanto nella geometria di fabbricazione del presunto oggetto di arte religiosa.
Non volendo dilungarmi su un argomento che richiederebbe approfondimenti in questa sede non proponibili, mi limito a dire che, ancor oggi, l’importanza dei simboli e dei gesti simbolici è non meno rilevante che nel passato. Chi studia Comunicazione lo sa bene.

Ora, poiché la forma e la struttura degli oggetti può veicolare messaggi forti, dobbiamo stare bene attenti all’uso che ne facciamo. Infatti, il dono avvelenato del presidente Morales a papa Bergoglio è costituito da una grossa base sagomata a falce e martello sulla quale è fissato un piccolo crocifisso, pertanto il messaggio che il manufatto trasmette in modo esplicito è: la base di tutto è il comunismo, il cristianesimo non può che poggiare (come fisicamente avviene nell’opera donata a Francesco) sulla dottrina elaborata da Karl Marx.
Pertanto, dal punto di vista simbolico, quali che fossero le intenzioni dell’”artista” e confratello del papa padre Espinal, inchiodare un piccolo crocifisso su una falce-martello di dimensioni decisamente maggiori  dimostra una chiarissima volontà di rovesciamento delle basi valoriali.

Significa, ribadisco, adottare il comunismo come base valoriale fondamentale, sulla quale poggiare tutte le altre, tra cui quella cristiana.
Significa voler scomunicare tutti coloro che non si riconoscono nella dottrina del filosofo di Treviri.
Significa, anche limitandoci al solo aspetto filosofico e culturale della vicenda, falsare le geometrie del Pensiero universalmente riconosciute, che riconoscono la religione come il fondamento di tutte le basi valoriali.
Ma il rischio è, soprattutto, quello di far passare il lupo per agnello: perdono e riconciliazione sì, però la memoria storica non va mantenuta (e manutenuta) soltanto il 25 aprile.

Se volessimo rendere un servizio alla verità storica (soprattutto recente), potremmo anche prendere dei simboli quali falce-martello, croce uncinata, etc.: non per metterci su un crocifisso, bensì l’Uomo crocifisso. Sarebbe però politicamente scorretto, e pertanto inattuabile.
Non so che fine abbia fatto il dono avvelenato del presidente Morales. Spero che, almeno, a nessuno venga in mente di corredarlo del motto “Ad maiorem comunismi gloriam”.