Tira aria di golpe dalle parti di Ankara? Io penso di sì. Naturalmente non sono sicuro che l’eventualità si concretizzi, ma vari segnali più o meno deboli mi inducono a crederlo.

Facciamo un attimo un passo indietro. Ataturk sarà pure stato un massacratore di cristiani, ma conosceva (e temeva) anche i mussulmani. Pertanto, da agnostico e fortemente laico, alla caduta dell’impero ottomano varò tutta una serie di misure che mettessero al riparo la nuova nazione da ricadute teocratiche.
Tra esse, la creazione di un forte esercito a sua immagine e somiglianza, a cui attribuì prerogative – inserite nella Costituzione – che consentivano ad esso di intervenire ogniqualvolta che la stabilità sociale o la laicità dello stato si trovassero minacciate. 
Tali prerogative, complice anche l’Unione europea che non le riteneva coerenti con la candidatura turca all’adesione al club, vennero quantomeno ridimensionate. E depotenziate grazie alle inchieste di una magistratura sempre più religiosamente e politicamente vicina al nuovo Califfo.

Ma tredici anni di governo sono pochi, anche per un ducetto autoritario come Erdogan, per trasformare a proprio vantaggio un importante centro di potere come le forze armate turche che, a quanto ci è dato di sapere, sono assai critiche nei confronti dell’attuale governo islamista.
I golpe militari sono un fatto ricorrente, in Turchia. Ne ricordo almeno quattro (1961, 1970,1980 e 1997), più o meno cruenti, ma certo largamente condivisi dalla popolazione.
Oggi la repubblica di Mustafà Kemal si trova in un periodo assai critico, forse il più critico dalla sua nascita.

La società turca, per cominciare, è fortemente polarizzata tra i kemalisti laici conservatori all’opposizione e gli islamici sempre più integralisti al governo, questi ultimi spasmodicamente impegnati nella rapida e forzata islamizzazione del Paese. Ma anche tra le fila dei teocratici troviamo una forte polarizzazione tra i sostenitori dell’attuale presidente e quelli del suo ex amico ora acerrimo nemico Gülen.
I curdi, dopo l’apertura di credito al governo di Ankara, si sono sentiti presi in giro anche a seguito del trattamento recentemente riservato dal presidente ai loro fratelli d’oltreconfine, e da ultimo l’economia dà segni di forte rallentamento.

A questo non rassicurante scenario interno, se ne affianca uno esterno ben più preoccupante: l’ambiguità nei confronti dello “Stato islamico” dell'Isis, a parole avversato ma nei fatti sostenuto, e la gestione dei profughi quale arma di pressione e ricatto nei confronti dell’Europa. Ma se quest’ultima ha sempre fatto finta di niente, per ragioni di politicamente corretto e di inerzia diplomatico-culturale, gli ultimi attentati di Parigi hanno liberato in tutto l’Occidente un’energia di attivazione che potrebbe modificare radicalmente i rapporti con l’alleato militare.
Sì, perché la Turchia è ancora assurdamente membro della Nato, ma i suoi interessi sono diametralmente opposti a quelli dell’Europa e dell’America (quella vera, certamente non rappresentata oggi da Obama).
Hollande è di fatto alleato di Putin contro l’Isis, e non ha più manifestato l’intenzione di far cadere il regime siriano di Assad; la Germania, dopo aver promesso ad Erdogan soldi ed Europa in cambio del controllo (tuttora inesistente) dei profughi siriani, ha capito che l’unica cosa da fare è dare una mano alla Francia; e, nell’attesa che il cripto-islamico di Washington consumi gli ultimi mesi in un ostinato e pernicioso non interventismo, anche l’Italia si sta muovendo.

La Turchia, in definitiva, sarà sempre più isolata dall’Occidente, con gravi ripercussioni sull’economia e sull’affidabilità quale nazione democratica ed anti-teocratica.
A questo punto, l’apparato militare non può assistere supinamente al disastro causato da Erdogan. L’uscita dalla Nato non garantirebbe più ai generali evidenti vantaggi quali l’accesso a tecnologie militari senza pari nel Pianeta ed un prestigio internazionale di cui essi hanno sinora goduto, ed anche l’adesione alla UE, cui hanno sempre anelato, sarebbe definitivamente archiviata.
Come allora i militari turchi pensano di uscire da questa imbarazzante situazione? Accentuando l’inaffidabilità del governo turco. L’occasione l’ha fornita loro Putin, su un piatto d’argento. L’abbattimento del bombardiere russo è stato un colpo di genio, legale sotto il profilo del diritto e del tutto inopportuno sotto quello diplomatico. Proprio ciò che convincerà, da un lato, l’Occidente circa la velocemente progressiva involuzione della Turchia verso un neo-ottomanesimo peraltro spesso dichiarato da Erdogan & C. e, dall’altro, la società turca dei pericoli soprattutto economici sulla rottura dei rapporti con Russia, Europa e, a breve, anche con gli USA.
Il prossimo golpe in Turchia è solo questione di tempo. Speriamo solo che i generali kemalisti si dimostrino più preparati degli omologhi egiziani.