La sempre più virulenta crisi che stiamo subendo e che sta attanagliando irreversibilmente l’intero sistema economico-produttivo, imprese e famiglie; impone necessariamente ed ineludibilmente attente riflessioni che dobbiamo senza esitazione alcuna condurre a scelte di campo chiare e radicali.
L’esponenziale aumento del tasso di povertà degli italiani, l’incessante crescita della disoccupazione, per lo più giovanile, e l’aggravarsi dei dati delle insolvenze e dei fallimenti, con le tragedie sociali che ne derivano, in seguito agli ormai quotidiani suicidi e gesti di disperata follia da parte di imprenditori e padri di famiglia, incapaci di affrontare le angherie del sistema bancario e le vessazioni di Equitalia, ci chiamano ad una inversione di tendenza, se non ad una rottura insanabile, con i dogmi liberisti fino ad ora distribuiti dall’alto e fatti ingoiare, senza la minima possibilità di valutazione e di critica, all’intera opinione pubblica, sempre più condizionata dai soloni di turno, dagli economisti da salotto o dai tanti scribacchini a libro paga della cupola bancaria.
Ma per capire a fondo il contesto attuale, occorre fare un passo indietro e tornare all’autunno/inverno 2001-2002 quando, sospinti dai suddetti manipolatori mediatici, milioni di cittadini europei venivano pervasi dall’euforia e da prospettive allettanti e illusorie.
Con l’avvento della moneta unica, che tutti aspettavano con riverenza in fila agli sportelli dei bancomat, gli scenari paventati erano rappresentati, quantomeno per il nostro paese, da una maggiore competitività sui mercati, da un più consistente potere d’acquisto, ma soprattutto andavano a descrivere quadri con economie più stabili, panieri con prezzi invariati e salari inalterati.
L’euro è arrivato, sono passati oramai più di 10 anni e oggi non abbiamo bisogno degli economisti o di accademici per comprendere i suoi effetti, evidenziarne gli aspetti negativi o i benefici, vedere da che parte pende la bilancia; tanto che la signora Maria, che ne vive sulla propria pelle, o meglio sulle proprie tasche, non deve riflettere a fondo o pensare a quali alchimie per capire che con 2 milioni di vecchie lire si viveva, e anche decentemente, e con 1000 € al mese, tra affitto o mutuo e bollette, si fa la fame. E la signora Maria non è uscita dalla Bocconi e non ha frequentato Harvard.
Il problema è che l’euro non è arrivato da solo, ce l’hanno imposto, nessuno ce l’ha chiesto, nessun referendum, nessuna consultazione popolare; tutto deciso tra Basilea, Francoforte e Bruxelles, da burocrati e banchieri che nessuno ha votato e che i più tantomeno conoscono.
Imposto dall’alto, come una spada di Damocle che pende su milioni di cittadini europei; cosi come oggi il MES e il FISCAL COMPACT che sanciscono e pianificano le politiche economiche e finanziarie dei paesi europei per i prossimi 20 anni, senza che singoli organismi nazionali, governi e tantomeno parlamenti, possano alzare un solo flebile alito di voce.
Tutto deciso in europa, dai banchieri di Francoforte e dalle commissioni di Bruxelles, mentre i singoli paesi perdono qualsiasi libertà d’azione.
Questo contribuisce ad aggravare ulteriormente la situazione, quando in Italia, nel solo 2012, le aziende hanno dovuto pagare 5,5 miliardi in più di tasse, in un Paese che vanta il più alto livello di pressione fiscale d’europa, con quasi 25 punti in più rispetto alla media UE; dove i prestiti, nell’ultimo anno, sono crollati di oltre 40 miliardi e le sofferenze aumentate di oltre 14 miliardi, senza dimenticare il numero dei fallimenti.
Innanzi a questi dati, come possiamo parlare di rilancio?
Sinceramente non attraverso i decreti balneari del governo barzel-Letta targato PD – PDL.
Innanzi ad un contesto in cui sembrano più importanti lo spread, l’inflazione e i mercati, piuttosto che la gente che non sa di che vivere o le aziende che chiudono, sfido qualsiasi “ illustre” sedicente economista a confutare il dato di fatto oramai inequivocabile che l’euro ha prodotto disastri, fame e miseria, famiglie allo stremo, aziende al collasso e messo al tappeto un intero sistema economico.
Ma ipotizzando, anche una sua scomparsa, quali peggiori effetti potremo avere e soprattutto, quali nefasti scenari oltre a quelli esistenti?
Si impone necessariamente una via d’uscita e la presa di decisioni forti che ci consentano una reale e concreta inversione di tendenza che può avvenire solamente attraverso una rottura con tutto ciò che ci ha condotto in questo baratro.
“L’uscita dall’ euro è impensabile, produrrebbe effetti devastanti” ci dicono, o meglio, ci fanno credere, convincendo così tutti, anche la signora Maria, il negoziante sottocasa o il collega di lavoro.
Ma torniamo indietro di qualche lustro, più precisamente nel 1992 quando, qualcuno si ricorderà, la lira uscì dallo SME (Sistema Monetario europeo).
Non mi pare che la gente andasse a piedi o in bicicletta perché non si poteva più permettere di fare il pieno alla macchina o si andasse a fare la spesa con le carriole stracolme di banconote a causa dell’inflazione.
Al contrario, dati alla mano, il 18 settembre 1992 la lira esce dallo SME e in un anno si svaluta del 25%; lasso temporale in cui i tassi di interesse iniziarono a diminuire, ma soprattutto iniziò a crescere la competitività interna; il tutto fino al 1996, momento in cui la nostra moneta rientrò nel serpentone monetario (SME).
Oggi un’uscita dall’euro porterebbe ineludibilmente a benefici in termini economici di competitività, crescita economica e finanza pubblica.
Innanzitutto, attraverso la svalutazione della moneta diviene possibile un riequilibrio della bilancia commerciale, perseguibile attraverso la crescita delle esportazioni, garantita dal rapporto di cambio della divisa nazionale, soprattutto per un paese manifatturiero come l’Italia.
Possiamo assurgere quale altro esempio storico, quello della ben nota “Quota 90” dove, prima dell’introduzione della stessa, il rapporto di cambio tra lira e sterlina, allora divisa di riferimento internazionale, era di 120 a 1; ovvero per 1 sterlina necessitavano 120 lire.
Successivamente, con l’introduzione della Quota 90, salutata come l’avvento benefico di una rivalutazione della propria moneta, il rapporto di cambio viene sancito in 1 a 90.
Ma quali furono gli effetti?
Se fino ad allora producevo in Italia un articolo che costava 90 lire, potevano venderlo, guadagnando, ad 1 sterlina sui mercati internazionali.
In un secondo momento, lo stesso prodotto che costa sempre 90 lire, sono costretto a venderlo a 1 sterlina e 25 non essendo così più competitivo.
Stessa cosa avviene oggi con l’euro, grazie al quale il nostro paese si trova fortemente penalizzato nelle esportazioni e nel settore del turismo, dove è più conveniente fare le vacanze in qualche villaggio esotico piuttosto che in qualche località balneare della penisola.
Per quanto riguarda la bilancia energetica non è questione di rimanere nell’euro od uscirne per avere benefici o meno, ma di impostare una politica energetica indipendente, che salvaguardi gli interessi nazionali e la naturale proiezione geopolitica del nostro paese, improntato alla collaborazione ed intensificazione dei rapporti commerciali coi paesi che si affacciano sul Mediterraneo, senza trascurare l’interesse dell’intera europa ad intensificare il rapporto con la Russia.
Per quanto concerne i tassi di interesse, perché non spiegano come mai mentre il costo del denaro della BCE è al minimo, questo non corrisponde a quelli effettivi proposti sul mercato degli istituti bancari, che rasentano ormai il 10% …?
Tutta colpa dello spread sui titoli di Stato, questo ci raccontano.
Ma perché non ci dicono che con il controllo della Banca Centrale, oggi privata e dei titoli di Stato, si annullerebbe così il problema dello spread; senza trascurare che con l’uscita dall’euro la bilancia commerciale, per effetto dell’aumento delle esportazioni, andrebbe prima in pareggio per poi passare in attivo, andando così a sanare gli interessi passivi sul debito estero e ricreando consequenzialmente anche cospicue riserve di valuta estera.
Da sfatare anche la diceria che i mutui slitterebbero alle stelle: calmierando i tassi di interesse sul mercato monetario, ne andranno a beneficiare anche i mutui che, ridenominati nella nuova moneta, magari con cambio 1:1, verranno pagati appunto con una divisa con maggiore potere d’acquisto.
In una prima fase potremmo considerare l’adozione di una doppia circolazione monetaria, mantenendo l’euro e re-introducendo la Lira sul mercato interno.
Questo sarebbe possibile, come da centenaria esperienza avvenuta dal 1784 al 1975, attraverso l’emissione diretta da parte dello Stato con l’ausilio di strumenti già in suo possesso quali l’IPZS (Istituto Poligrafico Zecca dello Stato), il Ministero del Tesoro, in seno al quale occorrerebbe creare solamente un apposito dipartimento, ed il CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio), con il compito di vigilanza.
L’erogazione può avvenire attraverso la realizzazione di opere pubbliche, senza così creare inflazione e generando nuovi posti di lavoro e nuove infrastrutture sempre più necessarie al paese, e attraverso le banche, che irrorate della liquidità necessaria al solo puro costo tipografico e di gestione (intorno allo 0.1%), possono così destinarla al mercato (famiglie ed imprese) al costo massimo del 2,5% onnicomprensivo.
Solo in questo modo possiamo interrompere la spirale del debito pubblico, parlare di rilancio dell’intero sistema economico e produttivo e soprattutto gettare le fondamenta per un futuro che non veda i nostri figli schiavi della grande usura