L’approssimarsi del referendum greco in merito all’accettazione del piano proposto dai creditori al Governo Tsipras, sta rendendo i mercati piuttosto instabili.
Nelle  trasmissioni televisive, nei dibattiti si sentono esperti, economisti, analisti, esprimere di volta il volta la loro vicinanza al dramma del popolo greco basato sulla retorica della “civiltà millenaria” che viene umiliata dalle pretese della Troika e dall’altra parte, si sentono invece coloro che accusano i greci di aver vissuto al di sopra delle loro possibilità, di essere un popolo di fannulloni e perditempo.
Il governo Tsipras, votato in maggioranza dal popolo greco (non come Renzi che nessuno ha né candidato alla guida del Paese, né successivamente votato) ha cercato di mantenere ciò che aveva promesso in campagna elettorale ai suoi elettori: una Grecia stabile nell’euro ma senza i vincoli dettati dall’Austerity che tanta sofferenza han prodotto alla popolazione greca.
Si trattava e si tratta di una promessa impossibile da mantenere, buona solo per fare propaganda ma che chiaramente ha illuso tutti coloro che  non conoscono il meccanismo di funzionamento dell’Euro ed il sistema di pagamenti TARGET2.
In termini di risultati economici, il Governo Tsipras è stato miserevole, basta guardare alcuni dati: il PIL è passato dal +1,2%  a  +0,2% (ha perso un punto percentuale); gli occupati sono diminuiti, rispetto alla data d’insediamento del Governo di 50.000 unità; la spesa per consumi si è ridotta del 10% .
Un unico merito va riconosciuto al dilettantesco governo Tsipras; l’aver condotto una trattativa (a tratti persino comica) così lunga ed estenuante, che ha permesso a tanti greci di avere il tempo  di svuotare i loro depositi bancari e metterli al sicuro dalle pretese della Troika.

Dunque riassumendo: il governo Tsipras ha fallito sul piano economico e sta fallendo sul piano strategico, poiché ha di fatto portato la Grecia sull’orlo del baratro decidendo di indire un referendum, che in realtà, chiama i cittadini ad esprimersi non già su un piano di rimborso del debito pubblico (peraltro scaduto il giorno 30 giugno), ma sulla permanenza o meno nella moneta comune.
Non c’è che dire: un vero e proprio capolavoro  autolesionista; comunque andrà l’esito del referendum, per la Grecia si apriranno scenari a dir poco preoccupanti. Forse solo il nostro Presidente Renzi, se ne avrà il tempo, riuscirà ad emulare le gesta infauste del giovanotto greco.
Vediamo di analizzare i possibili esiti e scenari del voto di domenica.
Partiamo da quella che ritengo l’ipotesi più probabile; la vittoria di coloro che credono ancora nell’Euro e che vogliono accettare il piano proposto dai creditori. Per paura, instillando panico nella popolazione greca, la macchina da guerra della propaganda della UE sta lavorando a pieno regime. Intimidire i risparmiatori, minacciare i loro depositi, paventare un peggioramento delle loro già precarie condizioni di vita, basterà perché al referendum il popolo greco voterà a favore dell’Euro e dell’Europa.
Questo però determinerà una sfiducia diretta al governo Tsipras, ponendolo dinanzi al suo fallimento, incapace come è stato di impedire la prosecuzione delle misure di Austerity e decretandone infine le dimissioni. (non lo rimpiangeremo certamente!)
Supponiamo invece, che vinca l’orgoglio greco, la retorica della “culla della civiltà” umiliata dalla UE e che quindi si rifiuti il piano proposto dai creditori. Questo equivale sostanzialmente a dichiarare un “default non concordato” sul debito greco. Questo risultato, sembra essere la soluzione ottimale per il popolo greco vessato e maltrattato, rafforzato anche da pareri di illustri economisti come il prof. Giavazzi. 
Sbagliato. Un voto contro il piano di rimborso proposto dai creditori aprirebbe scenari pericolosi. Per capire di cosa stiamo parlando, è bene partire dal dato secondo il quale, i greci, negli ultimi 4 anni han tolto 110 miliardi di euro di depositi dalle banche del paese (il 44% del totale). Ad una tale fuga di denaro, le banche avrebbero dovuto reagire ridimensionando il lato delle loro attività (prestiti, mutui e finanziamenti), ma ciò è di fatto impossibile. Dunque, il sistema bancario greco è stato mantenuto in vita dal trasferimento di moneta, l’ELA (emergency liquidity assistance), per complessivi 89 miliardi di euro, dietro la presentazione di opportune garanzie (ovvero attività bancarie ed all’inizio, anche titoli del debito greco).
Di seguito il punto specifico in cui si tratta delle garanzie da porre in essere per accedere ai fondi ELA : “le garanzie reali/personali a fronte delle quali l’ELA è stata/sarà conferita, inclusa la valutazione delle attività stanziate in garanzia e l’applicazione di eventuali scarti e, se del caso, informazioni dettagliate circa le garanzie personali e i termini di eventuali salvaguardie contrattuali “ (fonte BCE, Procedure per l’erogazione di liquidità di emergenza).

Un minuto dopo il voto del referendum contrario alla proposta dei creditori, i titoli greci e tutti gli asset finanziari greci perderanno di valore a causa del timore di un ritorno alla dracma, compresi quelli posti a garanzia dell’ELA.
A quel punto, la BCE avrà il DIRITTO di mettere direttamente le mani nelle tasche dei cittadini greci, chiedendo il rimborso dei prestiti ottenuti attraverso l’ELA e lo può fare in virtù della legge sulla Unione Bancaria che dal 2010 ha introdotto un sistema di salvataggio per le banche in difficoltà in cui non saranno più gli Stati  a farsi carico delle perdite degli istituti di credito. (“gli oneri connessi alle crisi bancarie saranno posti a carico, nell’ordine, degli azionisti, degli obbligazionisti e dei depositanti per le giacenze superiori a 100 mila euro. Nel complesso i privati dovranno necessariamente coprire le perdite della banca in default per un ammontare almeno pari all’8% degli attivi dell’istituto. Oltre tale soglia, interverrà in seconda battuta il SRF per un ammontare del 5% degli attivi della banca, qualora dovessero necessitare di ulteriori risorse i Governi potranno intervenire attraverso il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).”
Sulla base di questa normativa, che sovrasta anche gli Stati nazionali che non hanno potere di opporvisi fintanto che restano legati al sistema bancario europeo, la BCE può mettere le mani nei depositi dei greci.
La giusta obiezione è: ma il governo greco non può impedirlo, nazionalizzando ad esempio la Bank of Greece e dandole ordine di non eseguire gli ordini della BCE?
Sì, lo può fare a patto di rompere completamente con l'eurozona e con le sue banche centrali. Il che è assai pericoloso nel mondo globalizzato attuale, specialmente nel caso dei greci che hanno solo 2 miliardi di riserve valutarie e devono far fronte ad importazioni che eccedono di 20 miliardi le esportazioni (mancano 18 miliardi di riserve).
La chicca finale: i soldi su cui potrà eventualmente rivalersi la BCE, non saranno con estrema probabilità i depositi dei ricchi e benestanti greci, perché quelli i soldi li hanno già dirottati altrove, comprando case a Londra, mettendoli in cassette di sicurezza in Svizzera, investendoli in oro ed argento, ma saranno i risparmi dei pensionati, dei lavoratori, delle persone comuni, che oltre al danno subirebbero anche la beffa.
In conclusione, il referendum greco, fuor di retorica è un clamoroso atto di follia politica, autolesionista e senza prospettiva. Tanti interrogativi sarebbero da porsi su Tsipras ed il suo governo: ad esempio, perché indire un referendum addirittura dopo la scadenza del termine per il pagamento della rata? Non lo si poteva fare prima? Perché non lo si è fatto? Qual è la strategia del governo greco? Quali sono i passi successivi all’esito referendario?
La soluzione per la Grecia c’è ma non saranno certo degli ex comunisti, europeisti convinti come Tsipras ed i suoi  dilettanti allo sbaraglio a poterla realizzare; purtroppo, ancora una volta,  il popolo greco finirà  per doverne pagare ingiustamente il conto.