La scorsa settimana abbiamo assistito alle “prove tecniche di distruzione “ di uno Stato sovrano ad opera della solita lobby finanziaria globale, che nel giro di poche ore ha di fatto gettato nel panico milioni di persone.

Oggetto di questo attacco è stata l’Argentina.

Prima però di comprendere come  e per mezzo di chi la lobby bancaria globale abbia provato a mettere in ginocchio il paese sudamericano, cerchiamo di capire come vive l’Argentina oggi, quali sono i suoi “parametri vitali”.

Osservando i dati emerge che l’Argentina ha una economia pari a circa 1/3 di quella italiana, con un rapporto debito pubblico/PIL del 44%, un trend dei consumi positivo e soprattutto una bilancia commerciale fortemente in attivo (grazie alle risorse naturali che esporta in tutto il mondo).

La disoccupazione è scesa dal 25% del 2001 al 7% del 2011.

 

Insomma è un paese che sta crescendo, forse in modo non armonico, ma sta viaggiando a ritmi che qui in Europa anche la grande Germania si sogna.

Come  è uscita l’Argentina  dalla crisi finanziaria che l’aveva attanagliata ?

“Il vero fallimento, l’incubo della miseria reale, è durato un anno, dalla fine 2001 a tutto il 2002, quando molte imprese chiusero o fallirono e l’inflazione accumulata dal momento della svalutazione del pesos era pari all’80 per cento, con i salari che venivano lasciati com’erano prima della crisi. In quel momento, la nuova economia mondiale, con la crescita prorompente di Cina e India, salvò l’Argentina, perché l’alto prezzo della soia sui mercati internazionali (più che triplicato) determinò un grande afflusso di valuta estera” come spiega bene Gustavo Grobocopatel, presidente di una grande azienda agricola familiare: “L’India e la Cina sono diventate dei favolosi acquirenti della nostra produzione e la domanda è ancora adesso insaziabile”. Un fiume di denaro si riversò nelle casse esangui dell’Argentina, che con il governo di Eduardo Duhalde aveva chiamato al ministero dell’Economia Roberto Lavagna, un professore molto rispettato, con idee centriste, che mostrò subito una buona capacità di gestire la crisi.

Nel 2001 la gente ritirava in massa i soldi dalle banche per mandarli all’estero. Il governo adottò una serie di misure, note come “corralito”, che congelarono tutti i conti correnti. Ci furono rivolte e proteste, cadde il governo De la Rua (fuggito in elicottero dalla Casa Rosada) il 21 dicembre, e quello di Rodriguez Sáa durò pochi giorni. Duhalde cominciò nel gennaio 2002. Con Lavagna adottò altre misure severe.

Il 25 maggio 2003 il Paese andò alle urne e il presidente Nestor Kirchner (il marito di Cristina, che l’ha sostituito dal 2007), ala sinistra del peronismo, prese il comando e riconfermò subito Lavagna. Il governo incoraggiò la produzione locale e prestiti accessibili per le imprese, organizzò un piano ambizioso per aumentare il gettito fiscale  e destinò una grande quantità di denaro ai servizi sociali controllando la spesa in altri campi. Migliorarono subito le casse del Paese, ma i benefici per la gente cominciarono ad arrivare solo a partire dal 2006, quando il Pil pro capite cominciò a salire dai 4380 dollari del 2005 ai 6610 del 2007 e i cittadini che vivevano sotto la soglia della povertà scesero solo allora, come sostiene uno studio della società di consulenza Equis, al 26,4 per cento dal 57,5 del periodo più buio. Con i governi socialisteggianti di Kirchner, prima Nestor e poi la moglie Cristina dal 2007, anche le assunzioni di dipendenti pubblici aumentano ogni anno del 35 per cento.
Nel 2001 il default, l’assalto alle banche, la miseria. Oggi è tornato il benessere «Ci siamo rialzati con l’agricoltura e i mercati asiatici. Contano le risorse, non la finanza»,commenta Sapegno da Buenos Aires.

Già..il default del debito argentino del 2001.

E’ qui che in nostro racconto si fa avvincente perché, entrano i gioco i poteri forti, le banche, le società di rating.

Quando a fine 2001 venne dichiarato un default da quasi 95 miliardi di dollari, l’Argentina offrì ai possessori di obbligazioni di stato divenute insolventi uno scambio con nuovi bond, di minor valore e una scadenza molto più lunga. Il 93 % accettò, anche perché a corto di valide  alternative.

Il restante 7% rifiutò l’accordo tra cui anche circa 300.000 avidi italiani che per guadagnare qualcosa in più, si accollarono un rischio maggiore investendo su titoli argentini.

Purtroppo per loro, l’investimento non andò a buon fine e dunque subirono perdite in conto capitale di circa il 70%; a loro parziale scusante  ripetiamo che i mercati finanziari sono piuttosto complessi da comprendere nelle loro logiche e l’investimento è materia difficile da definire, anche per chi lo fa per mestiere. Alcune volte va ben altre decisamente meno.

Ma il 28 novembre 2012, un giudice del Tribunale di New York, stabilisce che l’Argentina è tenuta al pagamento immediato di 1,3 miliardi di dollari per rimborsare i bond non ristrutturati del default 2001 detenuti da alcuni hedge fund statunitensi. Precedente, questo, che avrebbe aperto la possibilità di moltissime cause analoghe in tutto il mondo che, se vinte dai creditori, avrebbero stretto l'Argentina nell'impossibilità di pagare, con l'eventualità di una nuova dichiarazione di bancarotta.

Subito dopo, l'agenzia di rating Fitch aveva dichiarato l'alta probabilità di un nuovo default argentino, declassando il debito sovrano  a livello CC, con outlook negativo.

I titoli argentini sulla scia di questo declassamento arrivavano a perdere il 12% ( non poco per un titolo obbligazionario) gettando nel panico la popolazione argentina che vedeva all’orizzonte il materializzarsi di un nuovo incubo.

Tutte le testate giornalistiche, i media, davano grande risonanza alla notizia prefigurando ombre nefaste anche in paesi che oggi stanno intraprendendo la via della ristrutturazione del debito come ad esempio la Grecia e dunque l’area Euro.

Gli sciacalli della grande finanza (BM,FMI) erano già pronti a piombare di nuovo sulla facile preda con le loro misure di austerity, tassazione, riduzione della spesa, quando, accade quello che non ti aspetti.

Nella notte del 29 novembre giunge la notizia che Buenos Aires ha vinto il ricorso d'appello contro la sentenza del giudice di New York che condannava il Paese al pagamento di 1,3 miliardi di dollari. Ovviamente questa seconda notizia è passata in silenzio, senza la grancassa mediatica asservita al potere, relegandola ad un trafiletto quasi insignificante.

Ma invece è importante perché dimostra come ancora una volta, la grande finanza abbia cercato di piegare, limitare la sovranità di Paese, imponendo a questo comportamenti e misure che avrebbero danneggiato la popolazione, l’industria, il benessere appena riconquistato a vantaggio di pochi, dei soliti noti.

Hanno tentato, attraverso una sentenza di limitare di fatto i poteri di uno stato sovrano ricco, che cresce a ritmi elevati,con bassa disoccupazione, con elevato livello d’esportazioni, con una sana e robusta economia “reale” asservendolo alla “grande finanza parassitaria”, portatrice di debito ed interesse, che espropria la ricchezza dalla popolazione per condensarla nella mani di pochi.

Dobbiamo dire anche noi basta a  questi parassiti in doppiopetto, uscire dalla logica della crescita fondata sul debito, tornare ad essere padroni della nostra moneta e del nostro futuro.

Ieri è toccato all’Argentina, domani potrebbe toccare a noi.