Durante una conferenza svoltasi a Perugia il 10 marzo 2001, il professor Auriti esordì dibattendo non della moneta o della Sovranità Monetaria, ma sul tema della globalizzazione, prendendo come spunto una frase contenuta nel documento di presentazione della conferenza stessa che recitava:  “Non si può essere contro la globalizzazione, perché si è nella globalizzazione “.

Ma in effetti, cos’è la globalizzazione e soprattutto cosa comporta, quali sono le conseguenze della mondializzazione a livello di Stati Sovrani ed a livello individuale?

Cominciamo col distingue due differenti forme di globalizzazione:

1 – il Sacro Romano Impero;

2 – il Commonwealth inglese.

Quale era la vera differenza tra le due tipologie di globalizzazione?

Non era nella struttura organizzativa, poiché alle Provincie dell’Impero Romano, facevano da contraltare le Colonie inglesi; l’unica vera differenza risiedeva e risiede nella moneta.

Dopo la costituzione della Banca d’Inghilterra nel 1694, i popoli sono stati trasformati da proprietari della moneta in debitori, perché alla moneta proprietà, si è sostituita la moneta debito emessa dalla Banca.

E’ questa la differenza più importante che c’è tra il “cittadino” romano ed il “suddito” di Sua Maestà.

Infatti, fino a quel momento, chiunque avesse trovato una pepita d’oro in terra se ne sarebbe appropriato, senza indebitarsi verso la miniera. Dal 1694 in poi, al posto della pepita si è sostituita la moneta, al posto della miniera c’è la banca centrale, ed al posto della proprietà il debito.

Questo ha trasformato tutti  i popoli del mondo in debitori per l’intero ammontare di moneta in circolazione.

Una volta compreso dunque che la globalizzazione attuale è nulla più che un Commonwealth ampliato su scala planetaria, con il medesimo meccanismo di funzionamento mirante alla creazione illimitata di debitori verso il sistema bancario (di fatto uno schema Ponzi), chiediamoci se e cosa è cambiato nella vita di ciascuno di noi  dal momento in cui la globalizzazione delle merci, capitali e lavoro è diventata un dogma.

Al solito, portiamo esempi concreti e cifre per giungere a conclusioni difendibili.

La teoria alla base del WTO vuole che negli ultimi anni, il “free market” abbia consentito a tutti i paesi del mondo di poter competere senza limitazioni nella creazione di beni e servizi, nella circolazione delle idee, dei capitali e della manodopera, realizzando un unico immenso bazar in cui tutti stanno meglio.

Più opportunità, più mercato, più profitti, più ricchezza.

Peccato che siano solo balle!! Frottole!! imbastite ad arte per abbindolare le masse, raccontate dai politici, giornalisti, economisti così tante e tante volte da diventar vere alle orecchie di chi le ascolta.

Il presupposto di voler integrare in un solo sistema economico l’Europa con l’Asia, con l’Africa, con il Medio Oriente, sia in termini di lavoratori che di merci, è quanto di più sbagliato la mente umana potesse arrivare a concepire. Oggi, solo oggi, ci accorgiamo in Italia, in Germania, in Europa, che questa globalizzazione migratoria ed economica è assolutamente negativa.

Facciamo un esempio:

nel 1985 la General Electric era la prima  azienda americana per capitalizzazione di borsa, aveva quasi 800.000 dipendenti e di questi circa 700.000 lavoravano negli USA.

Oggi, ai corsi attuali, la prima azienda americana per capitalizzazione è la Apple, che da lavoro a circa 860.000 dipendenti dei quali solo 60.000 circa lavorano in USA. Di questi 60.000 solo 1/3 è composto da tecnici, sviluppatori e manager, impiegati presso la sede a Cupertino; il resto sono venditori e dettaglianti.

Gli 800.000 dipendenti Apple oltre confine sono sostanzialmente in Asia (Cina e Giappone); dunque certamente le condizioni economiche di cinesi e giapponesi sono migliorate grazie al lavoro creato da Apple, ma forse per gli americani le cose andavano meglio prima, quando a lavorare erano loro.

Oltre ciò, abbiamo che gli stipendi medi dei lavoratori occidentali ( non stiamo parlando di manager, consulenti,direttori,…) sono diminuiti per effetto della concorrenza di manodopera disposta a svolgere gli stessi lavori per salari pari ad  1/5 di quelli pagati in Europa ed USA.

Non è difficile capire che se metti in competizione 300 milioni da lavoratori che costano diciamo in media 30 o 40.000 dollari l’anno, con 2 miliardi di lavoratori disposti a lavorare per 4-5.000 dollari, avrai come effetto nel medio termine, una convergenza verso un salario medio di 20.000 dollari o inferiore, che rappresenta un bel passo avanti per un asiatico, ma anche una bella batosta per la manodopera occidentale ed il suo tenore di vita.

Come potremo mai ringraziare abbastanza  la “globalizzazione” per le meravigliose conseguenze che ha generato nel giro di appena un ventennio?

Non bastasse ciò, Cina , Corea, India, Vietnam oltre ad avere un costo del lavoro pari ad 1/5 di quello occidentale, hanno sistemi fiscali più morbidi, con aliquote molto inferiori alle nostre (ad esempio, in Corea del Sud le imprese pagano circa il 27% d’imposte ), hanno dazi e barriere all’importazione diretti ed indiretti.

Non ha senso realizzare un sistema in cui paesi già industrializzati, come l’Europa, debbano aprirsi indiscriminatamente al commercio con il resto del mondo, arrivando a squilibri nelle partite correnti di dimensioni colossali.

Tutte le teorie economiche classiche prevedevano dei saldi nelle partite correnti pari a zero, perché altrimenti, se consideriamo ad esempio il Gold Standard, avere un saldo negativo avrebbe significato dover dar fondo alle riserve auree del Paese.

Adam Smith teorizzò che il saldo commerciale di una nazione dovesse tendere alla parità perché nel caso contrario, avrebbe col tempo prodotto un graduale impoverimento industriale ed agricolo della nazione stessa.

Anche J.M. Keynes, a Bretton Woods nel 1944, attraverso l’adozione dei DSP (diritti speciali di prelievo), pensava ad un  nuovo sistema economico in cui gli scambi tra Paesi dovessero tendere all’equilibrio.

Dunque non possiamo dire che non potevamo non  prevedere una simile sciagura per il nostro sistema economico, perché sia l’economia classica,sia voci critiche se ne sono levate molte, spesso però sapientemente soffocate dal frastuono mediatico a favore del WTO e del free market.

La più autorevole fra tutte è senza dubbio quella del Premio Nobel per l’Economia del 1988 Maurice Allais, che in molte occasioni sostenne la pericolosità di giungere ad un unico mercato senza tener nel giusto conto le variabili economiche e sociali proprie di ciascuna realtà.

Purtroppo, il conformismo mediatico  e culturale che impera ha di fatto censurato,svilito,non considerato le idee geniali ed in qualche modo profetiche di quello che forse è stato il più grande economista del secolo scorso, al punto che, durante le discussioni per la costituzione del WTO, Allais scriveva amareggiato “...io sono l'unico premio Nobel per l'Economia che ha la Francia e in questo dibattito sono un telespettatore qualunque, non partecipo mai a nessun dibattito in televisione...".

Il seguente grafico, elaborato dall’economista francese,  mostra gli effetti della globalizzazione sul numero dei posti di lavoro creati nell’industria in Francia dal 1950 al 1997:

Come appare evidente, dal 1973, il tasso di crescita dei posti di lavoro nell’industria si è ridotto del 40% passando dal 27 al 16,2% in rapporto alla popolazione attiva.

Per quanto concerne gli aspetti della globalizzazione visti più in generale per l’Europa e gli Stati Uniti, credo sia utile tener presente questo grafico, nel quale si vede come chiaramente dal 1990 in poi, il trend della crescita media dei posti di lavoro che era del 2% annuo si sia quasi completamente azzerata.

 

Chi è ancora a favore di questa globalizzazione alzi la mano!!