Dobbiamo prendere atto che è in corso una guerra finanziaria. Siamo vittime di un crimine epocale: l’Italia ricca si sta trasformando in italiani poveri. La famiglia che fino al 2001 con 1 milione e 500 mila lire mensili viveva dignitosamente, con l’equivalente in euro si è ritrovata in povertà. Le imprese muoiono paradossalmente non perché hanno dei debiti ma perché vantano dei crediti, in un contesto dove il principale debitore insolvente è lo Stato che deve circa 130 miliardi di euro alle imprese. Questi soldi lo Stato non li ha, gravato da un debito pubblico di oltre 2000 miliardi di euro che impongono il pagamento di interessi di circa 80 miliardi di euro all’anno. Ma questi soldi lo Stato non li potrà neppure avere, non potendo continuare ad indebitarsi all’infinito emettendo titoli di Stato per ripianare il debito, essendo vincolato sia al rapporto del 3% tra il deficit e il Pil, sia all’impegno di ridurre la spesa pubblica di circa 45 miliardi di euro all’anno per far calare il rapporto tra il debito pubblico e il Pil dagli attuali 133% al 60% così come prescritto dal Fiscal Compact. 

Fermo restando la necessità di abbattere i costi dello Stato, 830 miliardi che sono più della metà del Pil, condizione necessaria per poter ridurre significativamente le tasse, bisogna affrontare seriamente la questione della moneta unica, evidenziando la natura strutturale e non congiunturale della crisi, prendendo atto della singolarità dell’euro, unica moneta al mondo ad essere stata emessa in assenza di uno Stato, chiarendo l’anomalia della Banca Centrale Europea, istituzione privata di diritto pubblico, che per statuto ha come mandato la stabilità monetaria e non lo sviluppo, ciò che esclude la possibilità che possa sia emettere moneta in quantità adeguata a rilanciare lo sviluppo sia di diventare prestatore di ultima istanza per garantire il debito sovrano dello Stato.

Ecco perché realisticamente l’unica soluzione possibile per uscire dalla crisi è il riscatto della sovranità monetaria, legislativa, giudiziaria e nazionale, ridefinendo un modello di sviluppo che metta al centro la persona, la famiglia, le imprese, la comunità locale, i valori, le regole e il bene comune anziché l’euro, le banche, i mercati, il debito, lo spread e il Pil.