(Il Giornale) - E’ compatibile la democrazia sostanziale, ossia il coinvolgimento di una pluralità di soggetti in una scelta che viene presa a maggioranza, con il Magistero della Chiesa? Potrebbe il Papa, quale vicario di Gesù Cristo vero Dio e vero uomo, essere non più un monarca assoluto della Chiesa dogmatica ma il presidente di uno Stato del Vaticano democratizzato? La domanda – posta dalla rivista Foreign Policy – è legata alla decisione del Papa di consultarsi direttamente con i fedeli nel mondo tramite un questionario con 38 domande su famiglia, sessualità, coppie di fatto, unioni gay e contraccezione, trasmesso alle Conferenze episcopali nel mondo ma pubblicato anche sui siti web vaticani. In questo modo Papa Francesco ha avviato una discussione su dei temi cruciali che sono stati definiti nell’enciclica “Humanae vitae” di Paolo VI. Monsignor Bruno Forte, Segretario del Sinodo straordinario che nell’ottobre 2014 vaglierà questi temi, ha detto che non sarebbe un dramma se i fedeli rispondessero in maggioranza in modo difforme da quanto insegnato dalla Chiesa, perché l'ascolto è comunque necessario, poi ogni decisione verrà presa dal Papa.

Quest’approccio democratico si accompagna a una tendenza relativista del Papa sia sui temi del sesso: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?” (Dichiarazione ai giornalisti del 29 luglio scorso sull’aereo di ritorno dal Brasile),  e “Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile” (Intervista a Civiltà Cattolica dello scorso 19 settembre).

Nella stessa intervista alla rivista dei gesuiti il Papa da una singolare concezione dell’identità della Chiesa: “Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. E' inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto”. Questa concezione identitaria si è tradotta, nell’intervista concessa a Eugenio Scalfari lo scorso primo ottobre, in una inedita concezione della missione della Chiesa: “Convertirla? Il proselitismo è una solenne sciocchezza. Bisogna conoscersi e ascoltarsi”. E lo scorso 16 novembre, in un messaggio ai fedeli del pellegrinaggio di Nostra Signora di Guadalupe ha detto: “È vitale per la Chiesa non chiudersi, non sentirsi già soddisfatta e sicura con quel che ha raggiunto. Se succede questo, la Chiesa si ammala, si ammala di abbondanza immaginaria, di abbondanza superflua, in certo modo ‘fa indigestione’ e si debilita”.

Certamente è una Chiesa diversa quella concepita non come la verità che s’incarna in Cristo ma come un processo aperto alle istanze che arrivano dall’esterno, sollecitate persino attraverso un questionario diffuso nel mondo intero attraverso il web, paragonata a un ospedale da campo dove ci si prende amorevolmente cura di tutti i feriti e non come un faro che irradiando certezza conduce alla retta via e previene le devianze, dove il proselitismo diventa una “solenne sciocchezza” e non l’essenza stessa della missione della Chiesa che è l’evangelizzazione. Sarà questa la strategia vincente per riconquistare i fedeli che gremiscono le piazze e disertano le chiese?

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