(Il Giornale) - Oggi in Italia c’è una maggioranza politica in grado di promuovere un “referendum di indirizzo” (di fatto consultivo) sull’euro, tramite una proposta di legge costituzionale d’iniziativa popolare, così come accadde nel 1989 quando gli italiani tramite un referendum conferirono un mandato costituente al Parlamento Europeo per  trasformare la Comunità Economica Europea nell’Unione Europea.

Questa maggioranza, così come ha evidenziato il sondaggio pubblicato dal Giornale lo scorso 30 ottobre secondo cui il 74% degli italiani è contro l’euro, si radica innanzitutto nel Paese reale che registra la crescente moria delle imprese, svendita del patrimonio pubblico e privato, disoccupazione, povertà, emigrazione e calo della natalità. Ma trova conferma anche nella crescita dell’orientamento dei partiti a occupare lo spazio politico, mediatico ed elettorale degli euro-realisti, euro-critici o euro-scettici. All’interno di questo spazio, seppur con distinzioni tutt’altro che marginali, si trovano Berlusconi, Grillo, Lega Nord, Fratelli d’Italia, la Destra, Forza Nuova, Casa Pound, Io amo l’Italia fino a Rifondazione Comunista.

Che chi ci governa in Italia e in Europa temano questo fronte lo si tocca con mano dal fervore con cui lo scorso primo novembre, in un’intervista alla Stampa,  Letta si è prodigato nel demonizzare il fronte avverso all’euro, chiamando a raccolta “l’Europa dei popoli contro l’Europa dei populismi”.

E’ possibile che questo fronte critico o avverso all’euro dia vita a una coalizione elettorale per sancire con una decisione politica o la rinegoziazione dei trattati che impediscono alla Banca Centrale Europea di emettere moneta per rilanciare lo sviluppo e garantire il nostro debito, in aggiunta all’abrogazione del Fiscal Compact e del Mes che ci obbligano a sottrarre al fabbisogno interno 75 miliardi di euro all’anno, o  in alternativa l’uscita dell’Italia dall’euro? Tenderei ad escludere questa ipotesi perché ciascun soggetto politico rischierebbe di implodere stringendo un’alleanza che gli alienerebbe il consenso del proprio elettorato. Se si considerano infatti le differenze, anche radicali, che ci sono sulla concezione e il ruolo dello Stato, sul modello di sviluppo, sul tipo di società fino alla stessa idea della persona e dei valori fondanti della nostra civiltà, ebbene dobbiamo prendere atto che mancherebbe il collante anche per un’esperienza elettorale.

Tuttavia questo fronte potrebbe convergere nel promuovere un referendum sull’euro, che comporta solo l’accordo su un testo e sulle procedure. Ad oggi non è ammissibile dato che l’articolo 75 della Costituzione esclude il referendum “per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Tuttavia nel 1989, per consentire al Parlamento Europeo di redigere la bozza della Costituzione dell’Unione Europea, fu indetto un “referendum di indirizzo” il 18 giugno 1989 (favorevoli l’88,03%), dopo la presentazione di una legge di iniziativa popolare promossa dal Movimento Federalista Europeo, trasformata in legge costituzionale (n.2 del 3 aprile 1989). Ciò fu possibile perché sia nel Parlamento sia nel Paese reale vi era una maggioranza favorevole all’Europa. Oggi la situazione è radicalmente cambiata e ci sono le condizioni per fare il referendum sull’euro e su quest’Europa. Se siamo ancora in democrazia, se veramente il nostro popolo è ancora sovrano, perché negarci il diritto a decidere del nostro destino? Chi ha paura della libera scelta degli italiani?

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