Milano, 6 luglio 2013 - «Mi auguro che quanto avvenuto in Egitto faccia riflettere il sindaco Giuliano Pisapia circa i suoi intendimenti a costruire una moschea a Milano». Magdi Cristiano Allam, eurodeputato di «Io amo l’Italia», occupato a seguire in tempo reale l’evoluzione delle tensioni al Cairo, chiede a Palazzo Marino e in particolare al primo cittadino di cambiare linea. «Aver accreditato come interlocutore istituzionale Davide Piccardo, espressione ideologica dei Fratelli Musulmani a Milano, è un pericoloso sbaglio - spiega - Non è certo quello che serve per evitare che gli errori che hanno sconvolto e determinato la realtà sociale nei Paesi a maggioranza islamica si ripetano anche qui».


Milano non è una realtà a maggioranza islamica. Cosa teme esattamente?
«Se il tuo interlocutore corrisponde a una realtà bocciata nei Paesi a maggioranza islamica, come successo in Egitto, l’Italia deve tenerne conto. E scegliere interlocutori diversi, espressione cioè di un Islam compatibile con lo stato di diritto e con la nostra civiltà. Specie una città come Milano dove le istanze degli immigrati di religione musulmana sono molto forti e presenti».


Lei ha delle alternative?
«L’Islam nella sua dimensione militante si declina al plurale. Parte degli italiani musulmani appartengono alla Coreis, una comunità moderata che a Milano ha sede in via Meda e fa riferimento all’imam Pallavicini. Credo che il dialogo vada instaurato con una pluralità di soggetti, evitando di privilegiarne uno solo».
 

Perché Milano non dovrebbe avere una moschea?
«Di luoghi di culto islamici ce ne sono molti. A Milano sono almeno sette. Non sappiamo bene cosa avvenga al loro interno. E comunque, in un clima di emergenza alimentata dal terrorismo e dall’integralismo che stanno dilagando dall’altra parte del Mediterraneo, occorre mettere un freno e chiedere garanzie. Per esempio che le moschee operino nel pieno rispetto delle nostre leggi e nella condivisione dei valori fondanti della nostra civiltà».
 

Come stanno vivendo queste ore gli egiziani che vivono a Milano?
«Sono felicissimi per quanto avvenuto. Specie i cristiani copti, una comunità di 10.000 adepti che si sente sollevata dalla sconfitta dei Fratelli Musulmani. Molti degli egiziani che vivono a Milano sono integrati, gestiscono ristoranti e pizzerie e non vedono di buon occhio l’integralismo».
 

Che lettura dà di quanto avvenuto?
«Erodoto definì l’Egitto ’dono del Nilo’. Oggi, come 7.000 anni fa, gli egiziani dipendono dal loro fiume. Solo un governo centralistico e autocratico può garantire l’uso corretto dell’acqua, fondamentale alla sopravvivenza del Paese. In questa chiave si capisce perché la gente approvi l’intervento dei militari. Agli occidentali spetta il dovere di spingere i governanti a promuovere lo sviluppo e sconfiggere la povertà».