Il “Ramadan” è molto più e molto peggio che danno e sofferenza individuale.

Diventa una questione di pubblica sicurezza, e -in senso ampio di

sicurezza nazionale.

La sete, prima che la fame, è una sofferenza insopportabile perché è un

danno gravissimo per l’organismo umano. Il dolore è un mezzo con cui madre

natura ci evita di essere danneggiati. I danni organici da disidratazione sono

solo in parte reversibili.

La disidratazione interviene già dopo poche ore da che non si beve, aumenta

tutti i sintomi da digiuno, dall’acetone alla perdita di attenzione che diventa

grave e pericolosa. I colpi di sonno sono continui. Diventa alto il rischio di

coliche renali. Il cervello è stanco, non memorizza, si diventa aggressivi e se

la disidratazione prosegue abbiamo qualche neurone, cellula nervosa, che

non ce la fa e muore.

Chi rispetta il “Ramadan”, come chi fa lo sciopero della sete, ha meno cellule

nervose.

Chi rispetta il “Ramadan” non è in grado di lavorare correttamente. Potete

fare la prova: state senza mangiare e senza bere -un giorno solo- da prima

dell'alba a dopo il tramonto. Quanto riuscite a lavorare o a studiare? Quanto

riuscite a pensare con il vostro cervello che pensa solo all'acqua? Ancora più

interessante: rispettare il “Ramadan” è obbligatorio anche in certi posti

d’Europa. Nei quartieri islamici inglesi, francesi e olandesi i poliziotti hanno

l’ordine di non bere o mangiare o fumare nelle ore -diurne- del “Ramadan”,

nemmeno nelle loro auto. Altrimenti vengono aggrediti da islamici “offesi”.

Nel “Ramadan” vi sono picchi di incidenti stradali, di incidenti sul lavoro, ma

soprattutto di violenza. Complimenti ai “veri” islamici, cioè quelli praticanti.

So bene che un digiuno senza bere molta acqua è nocivo per l'organismo,

ma lo sapevo già ai tempi di quando ero ancora musulmano.

 

Il digiuno di Ramadan è obbligatorio per ogni musulmano che abbia

raggiunto la pubertà (quindi, attorno ai 12 anni, a seconda dei soggetti).

L'educazione islamica (basata su fonti dottrinali attendibili) suggerisce di

educare i bambini al digiuno già attorno ai nove anni, ossia renderli partecipi

del digiuno almeno nei primi giorni del Ramadan, anche solo per mezza

giornata -non sono obbligati a farlo- ma gli viene richiesto di "provare".

Ovviamente, per un bambino allevato in una comunità islamica il fatto di

dover iniziare a digiunare è un vero e proprio rito di passaggio dalla società

dei bambini a quella degli adulti, e in genere viene vissuto da loro come

un'esperienza molto intensa ed emozionante. Si sentono come piccoli soldati.

 

 

La maggior parte degli imam insegna che il Ramadan è un toccasana per

la salute, che purifica il corpo. Ovviamente sono stupidaggini perché solo un

digiuno con molto e frequente rifornimento idrico ripulisce il corpo, dato che

l'acqua espelle le tossine tramite orina e sudore, mentre in assenza di acqua

le tossine tornano in circolo. Il punto è che la maggior parte dei musulmani è

convinta che il digiuno purifichi l'organismo, oltre che … l'anima. I media dei

paesi islamici avvallano questa tesi facendo parlare ai talk-show “medici” e

“scienziati” islamisti che ribadiscono la menzogna del "fa bene al corpo".

 

 

Maometto (e men che meno Allah) non era certo un medico (sono stati i

Fratelli Musulmani e altri gruppi modernisti a introdurre tutto il dibattito

"scientifico" a sostegno dell'islam, cercando prove scientifiche nel Corano,

etc). Nella letteratura classica invece si evince chiaramente che lo scopo del

Ramadan è quello di PATIRE, di modo che il ricco conosca la fame e si

ricordi di chi sta peggio di lui, e chi gode di salute conosca la spossatezza di

modo che possa ricordarsi degli indigenti, etc . Soprattutto, è un sacrificio

personale per dimostrare la propria devozione ad Allah -un po' come i monaci

cristiani che si auto-flagellavano o indossavano il cilicio.

D'altro canto, va tenuto conto che gli arabi del deserto erano abituati a periodi

di esposizione al caldo e privazione dell'acqua per molte ore. Quindi, nel

contesto originale dell'islam il digiuno del Ramadan era solo una dilatazione

di quella che avrebbe potuto essere una giornata tipica di un viaggiatore nel

deserto, solo un po' più dura e un po' più lunga.

 

 

Vi sono pene severe per chi non rispetta il “Ramadan” e sarebbe invece

tenuto a farlo. Ovviamente, chi per ragioni di salute non è in grado di

digiunare è esentato (o del tutto, oppure è tenuto a recuperare in seguito i

giorni saltati). Quanto al chirurgo, ha il diritto di astenersi dal digiuno se ritiene

che digiunando metterebbe a repentaglio la salute del paziente. Il che,

implica senza dubbio il riconoscimento che il ”Ramadan” nuoce alla salute.

 

 

La critica “formale” al Ramadan è peraltro un'arma a doppio taglio. Anche

gli ebrei hanno i loro digiuni religiosi obbligatori, e uno di essi prevede più di

24 ore completamente senza acqua ne cibo. Quindi questa critica al digiuno

potrebbe non trovare molto sostegno poiché finisce per attaccare anche la

comunità ebraica, salvo altre. Occorre essere più precisi.

 

 

Il problema del digiuno imposto nel “Ramadan” si fa sentire quando in

Occidente ci si rende conto che anche i minori vengono obbligati a digiunare.

Dato che la pubertà può arrivare in qualsiasi momento tra i 9 e i 15 anni, vuol

dire che molti bambini e ragazzini (minorenni) vengono obbligati dai genitori a

digiunare per il Ramadan. Questa è una situazione spinosa perché il minore

si colloca tra i doveri di tutela della società e i “diritti educativi” dei genitori.

Quando è che la società deve intervenire e opporsi a certa “educazione” dei

figli da parte dei genitori? Non vi sono risposte univoche, ma siamo tutti

d’accordo che vi sono casi in cui lo Stato ha diritto e dovere di intervenire,

come nei casi di violenza sui bambini, fosse anche violenza a scopo

"educativo".

E nei casi di violenza “psicologica” grave.

Le minacce rivolte a un bambino possono avere su di lui effetti mentali

pesanti, coercitivi e duraturi.

Sicuramente, il digiuno può creare gravi problemi di salute per un bambino

che va a scuola. D’altronde la società italiana non è islamica, quindi le scuole

non prevedono programmi speciali per “accogliere” il mese di Ramadan, e

può benissimo succedere che un ragazzino svenga durante un compito in

classe o durante l'ora di educazione fisica a causa del lungo digiuno forzato.

Del resto, qui vale la Legge, non le religioni. Non dimentichiamolo.

 

Io ritengo che il mese di Ramadan sia un ottima occasione per attirare

l'attenzione sull'islam e sui suoi connaturati intenti aggressivi. La

argomentazione migliore è quella di ricordare che la giurisprudenza islamica

è costruita attorno ai famosi 5 pilastri: (1) la shahadah (attestazione di fede),

(2) la salah (preghiera), (3) il siyam (digiuno), (4) la zakah (tasse), (5) lo hajj

(pellegrinaggio).

I testi di giurisprudenza (chiamata fiqh, e non shari'ah, come molti

erroneamente credono!) sono elaborati attorno a questi 5 pilastri e ne

rispettano l'ordine. Quindi, il primo capitolo è sempre quello della 'aqidah (i

dogmi monoteisti) poiché l'attestazione di fede implica l'accettazione

incondizionata dei dogmi. Poi vengono i capitoli della taharah (la purità

legale) poiché se non si è in stato di purificazione non si può pregare. Poi vi è

il capitolo sugli orari delle preghiere, seguito da quello sulle preghiere vere e

proprie. Segue il capitolo sui digiuni. Poi c'è il capitolo della zakah, che

include anche la dhimmah che è la tassa per i cittadini non musulmani

sottomessi (la "gente del libro").

A questo punto (prima del pellegrinaggio, in genere) seguono i capitoli della

da'wah e dello Jihad. Questo per un valido motivo: dopo aver raccolto le

tasse, il Califfo è obbligato a dichiarare il Jihad. Il semplice fatto di aver

raccolto i soldi dei musulmani lo obbliga a dover dichiarare guerra agli

infedeli. I giuristi concordano sul fatto che sia un obbligo assoluto che il

Califfo conduca almeno una battaglia ogni anno. Le ragioni sono semplici:

scopo dell'islam è combattere la miscredenza: "e combatteteli fino a che non

vi siano più tribolazioni e tutta la religione apparterrà ad Allah" (Corano

2:193). Ora, siccome prima di sferrare un attacco è necessario proporre la

conversione all'islam oppure la sottomissione alla dhimmah, in genere il

capitolo sulla da'wah viene prima di quello sullo Jihad.

Se la missione di "conversione" ha successo (ossia, la nazione aggredita si

converte o accetta la dhimmah) questa viene contemplata come un

adempimento dell'obbligo a dichiarare il Jihad -la conversione e la

sottomissione sono considerate vittorie superiori a quella bellica.

Il punto è che voglio far comprendere alle persone del Contro-Jihad che

l'islam è costruito su questo ciclo annuo in cui vengono ripercorsi i 5 pilastri,

culminando con il pellegrinaggio, e che questo ciclo -se vi fosse un Califfo prevederebbe

una guerra di espansione ogni anno. Gli sciiti fanno eccezione,

da quanto mi risulta loro non fanno guerra se non per difesa, quindi per loro il

dovere si ferma alla da'wah. Ma per i sunniti il Jihad in occorrenza della tassa

annuale è un pilastro di fede. Ha a che fare con il ciclo della purificazione: il

digiuno purifica l'anima, la zakah purifica le proprietà e il denaro, il Jihad

purifica il pianeta. Infine, il pellegrinaggio (il cui obbligo è in realtà limitato a

una sola volta nella vita, tutti gli altri pellegrinaggi sono incoraggiati e lodati

ma non obbligatori) purifica l'annata passata dato che per poterlo fare

bisogna aver sciolto tutti i debiti personali.

Quindi, la salah è una questione privata, tra il muslim ed Allah. Il Ramadan è

una questione di gruppo dato che coinvolge tutta la famiglia e dato che le

preghiere notturne del Ramadan (il tarawih, in cui viene letto tutto il Corano

nell’arco del mese, un trentesimo per notte) sono collettive. La tassa è una

questione politica, tra il muslim e il suo Califfo. Jihad e Da'wah sono una

questione planetaria, tra i musulmani in quanto nazione, e tutte le altre

nazioni "nemiche" di Allah e della “vera” fede. Il pellegrinaggio è una

questione sia privata che di gruppo.

 

 

Un aspetto importante di tutto questo, che spesso sfugge agli occidentali e

ai critici dell'islam, è come tutti questi legami che ho esposto siano

palesemente spiegati nei testi classici islamici. Il fatto che i 5 pilastri siano

obbligatori fa sì che i musulmani siano incitati a creare una situazione che li

renda praticabili. Per esempio, i migranti che si trovano a vivere in un paese

straniero, non islamico, sentono il dovere di costruire una moschea. Pregare

da soli o in casa va benissimo, anche se pregare in gruppo è sempre meglio.

Ma la preghiera del venerdì può essere fatta solo in una moschea vera e

propria, e non in una casa privata. Quindi il primo passo che una piccola

comunità di migranti sente di voler intraprendere è quello di acquistare un

locale da adibire a moschea.

Creata la moschea, serve l'imam, e spesso la comunità nascente si adopera

ad "importarne" uno da qualche scuola del Golfo o dal loro paese d'origine. A

questo imam viene data una casa e uno stipendio, e in cambio lui dirigerà la

preghiera del venerdì, organizzerà il Ramadan, etc .

Quanto alla zakah, la situazione è complessa. Siccome non vi è un Califfo,

non è chiaro a chi debbano essere versati quei soldi. A mio avviso (e sono

sempre stato di questa idea, anche quando ero musulmano) l'assenza di un

Califfo rende impossibile pagare la zakah. Ma la maggior parte dei sapienti

islamici ha decretato che pagarla è un obbligo, anche se non c'è il Califfo.

Quindi nasce il problema politico del decidere a quale sovrano versare i soldi.

Ovviamente, tutti i regimi arabi ed islamici sostengono che il loro presidente o

re è il "Principe dei Credenti". Questo titolo non è lo stesso del Califfo, ma il

fatto che ci si dichiari "Principe dei Credenti" ci va molto vicino. Per esempio,

il titolo onorario del Re Saudita e di quello marocchino è proprio "Principe dei

Credenti". Questo sarebbe sinonimo di Califfo, ma loro non sono così scemi

da dirlo apertamente perché se lo facessero sarebbe come proclamarsi capo

indiscusso di tutti i musulmani del pianeta.

Ad ogni modo, nei fatti avviene che ciascuna moschea decide a quale

Governo dirottare i soldi che riceve dai suoi seguaci. Alcuni li mandano in

Arabia Saudita, altri al Re del Marocco. Altri invece li mandano ai loro leader

dello Jihad, come Bin Laden, o ad altri condottieri famosi. Altri ancora optano

invece per darli a qualche organizzazione che rappresenti le moschee del

paese in cui abitano -tipo il consiglio delle moschee italiane, etc . In effetti, la

giurisprudenza islamica semplicemente non contempla la situazione in cui il

posto del Califfo sia vacante. Per i musulmani pre-coloniali era

semplicemente impensabile che il Califfato potesse un giorno cadere -la loro

fede in Allah gli impediva anche solo di contemplare teoricamente un simile

disastro politico. Quindi non vi sono direttive univoche su come gestire la

situazione.

Però qualsiasi musulmano un po' istruito è in grado di comprendere che, una

volta edificata la moschea e importato un imam, il passo successivo è quello

di rendere possibile la purificazione di questi soldi attraverso il Jihad. Oggi, in

Europa, questi soldi, quando non vengono mandati in Arabia Saudita,

vengono in genere utilizzati per la da'wah nel paese di dimora, oppure spediti

ai combattenti dello Jihad come forma di sostegno -a volte entrambe le cose.

I governi che accettano i soldi della zakah raccolti in Occidente, li rigirano ai

ministeri che si occupano di gestire la zakah (la quale, oggigiorno, viene

trattata separatamente dalle tasse generiche). Questo denaro viene utilizzato

per sfamare poveri, aiutare indigenti, e per produrre materiale per la da'wah e

pagare missionari che promuovano l'islam; in genere un po' di tutto questo.

Ma la cosa importante è capire che la raccolta della zakah è un'attestazione

del potere personale e politico del Califfo. Tradizionalmente, il Califfo doveva

mandare i suoi emissari "di porta in porta" a raccogliere la zakah, e solo i

dhimmi dovevano invece andare a pagarla di fronte alla moschea. Nel primo

caso, il Califfo deve mostrare il suo potere di controllare il territorio,

mandando gli esattori fino alla porta di casa dei suoi sudditi -tieni conto che

all'epoca, mandare un emissario dal Cairo fino alle regioni dell'Africa, dell’India e della Russia era un'impresa mirabile, soprattutto se consideri che

questi emissari dovevano a volte viaggiare settimane per raggiungere un

individuo che abitava isolato nel deserto, ma era un dovere. L'idea che il

musulmano vada a pagare la tassa in un ufficio, o anche solo in moschea, è

un insulto dal punto di vista della giurisprudenza classica. Io, quando ero

muslim, mi rifiutavo di portare il soldi della zakah in moschea, andavo invece

dall'imam locale e l'ammonivo che era obbligato a mandarmi gli emissari fino

a casa. E se rispondeva che non era in grado di farlo io gli rispondevo che

allora il suo ufficio di imam era invalidato, che era un impostore.

 

 

D'altro canto, il dhimmi deve invece recarsi di fronte alla moschea, in segno

di sottomissione, e l'esattore li attende seduto e li fa mettere in fila indiana, e

quando il dhimmi paga la tassa l'esattore gli tira la barba verso il basso per

umiliarlo pubblicamente (è un precetto islamico). In questo caso, l'idea che un

musulmano debba scomodarsi per prendere i soldi di un dhimmi è a dir poco

inconcepibile: i musulmani "gli stanno facendo un favore" nell'accoglierlo

come cittadino di second'ordine, e la tassa che paga è il minimo contributo

che possa fare per questo “privilegio”.

 

 

Tornando alle considerazioni generali, nell'islam i cicli sono molto importanti:

le preghiere seguono il ciclo diurno/notturno, il Ramadan segue il ciclo

annuale. I 5 pilastri della fede, e le leggi dell'Islam sono costruiti attorno a

questi cicli. Non solo, sono anche costruiti attorno alle esigenze di formare

una comunità che al più presto diventi politica e pratichi Jihad. Così come i

divieti e le prescrizioni alimentari fanno sì che i musulmani migranti si ritrovino

a dover mettere su macellerie e negozi alimentari halal, allo stesso modo si

trovano a dover istituire moschee, importare imam dotti nella fede, e infine

mettere su un apparato logistico che consenta la raccolta delle tasse. Eccolo,

lo “Stato nello Stato” (del quale la moschea è il fulcro).

 

 

L'atto stesso di pagare una tassa a un leader (assente e simbolico o reale

ed esistente che sia) è di per sé un atto di ripudio dell'autorità del governo

ospitante. Quando gli ebrei andarono da Gesù per chiedergli se dovessero

pagare la tassa a Cesare o a Dio, stavano ponendo un quesito di chiara

natura politica: a chi va la nostra alleanza? Ai Romani che ci governano o a

un nostro leader religioso? In quel caso, la domanda era un trappola per

Gesù: se avesse risposto “a Dio”, sarebbe stato arrestato per incitazione alla

disobbedienza verso l'autorità romana. Se avesse risposto “a Cesare”, gli

ebrei lo avrebbero tacciato di servilismo ai Romani. Astutamente, egli rispose

"Dai a Cesare ciò che è di Cesare e dai a Dio ciò che è di Dio" lasciando la

questione al buon senso delle persone, senza compromettersi giuridicamente

né in un senso né nell'altro.

Però il musulmano che vive in Occidente è costantemente messo alla prova

dalla vita comunitaria: va in moschea e sente che manca il Califfo, si sente in

difetto perché si rende conto che la zakah -uno dei 5 pilastri della fede- è una

questione non chiara, i suoi soldi non vengono purificati come si deve.

Legalmente, avviene che i soldi della zakah spesso vengano donati a

organizzazioni come Islamic Relief, che offrono assistenza ai bambini vittime

della guerra in Afghanistan, Iraq, etc . Lì vi è un messaggio chiaro: il tuo

cuore (e il tuo portafogli) devono essere con quelli che praticano il Jihad. Che

poi spesso queste organizzazioni siano delle facciate per finanziare il Jihad

anche in Occidente è cosa risaputa, e molte di queste sono state chiuse o

bandite. Il fatto è e rimane che vi è un chiaro messaggio politico il quale

collega la moschea al fronte dello Jihad, così come la preghiera e la tassa

della zakah ci rimandano alla stessa guerra santa.

L'islam è architettato affinché riproduca sempre ed inevitabilmente la

situazione dei tempi di Maometto, che ai nostri giorni vuol dire ricostruire il

Califfato e riprendere il Jihad come sforzo collettivo per purificare il pianeta

Terra "finché la religione non appartenga tutta ad Allah".

Questa situazione crea una forte tensione: da un lato, non è possibile

comportarsi come se si fosse nelle prime fasi della missione di Maometto,

ossia i tempi della da'wah, quando Allah non aveva ancora formalizzato il

Jihad e tutta la giurisprudenza, no: la rivelazione coranica è stata completata

e le leggi vanno seguite, punto e basta.

D'altro canto, però, i sapienti ammettono che i musulmani si trovano,

ciascuno a seconda della situazione in cui vive, a dover attingere agli esempi

delle varie fasi della vita di Maometto. Per esempio, chi vive in un paese che

era stato un tempo sotto il Califfato (esempio la Tunisia, etc ) si trova in una

situazione in cui l'islam è stato "schiacciato" dagli infedeli, e si sente

governato da fantocci che si spacciano per musulmani ma che governano

con canoni filo-occidentali. In questi casi il Jihad è un obbligo incombente

perché una terra che è stata conquistata dall'islam non può essere più ceduta

ai miscredenti. E quindi in simili luoghi la regola è di organizzarsi,

clandestinamente o apertamente, per aizzare le genti a un colpo di Stato.

Per il muslim che vive in Occidente, invece, solitamente viene

proposto il

modello della "Casa di Arqam". Si riferisce agli albori dell'islam, quando

Maometto e i suoi (pochi) seguaci stazionavano in casa di Arqam (alle porte

della Mecca), uno dei primi convertiti, e intercettavano i pellegrini politeisti per

fare la da'wah. Quindi vedono il Paese che li ospita come una nazione di

"ignoranti" ai quali deve essere spiegato l'islam. Però al contempo si sentono

divisi perché sanno che dall'altra parte del mondo, altri musulmani stanno

lottando per riportare il governo islamico nei paesi che erano parte del

Califfato. Se poi il paese occidentale in questione è in qualche modo

coinvolto con politiche legate alle guerre nei paesi islamici, allora vi è una

ulteriore tensione di sottofondo verso quanto concerne le autorità locali.

 

 

Nessun periodo dell'anno è circostanza altrettanto forte per simili

considerazioni e critiche (sulla tattica e sulla strategia islamiste) quanto lo è il

Ramadan coi suoi significati e intenti. E “noi” (il Contro-Jihad) dovremmo

cogliere l'occasione per ricordarci soprattutto come questo mese sia

preparatorio per la raccolta delle tasse che sono destinate allo Jihad

espansionistico, con le sue pericolose implicazioni.