Il pareggio di bilancio previsto dal Fiscal Compact? Da gettare nella spazzatura della storia. Azzerare il debito pubblico non è solo insostenibile, è anche illegale: perché viola il Trattato di Lisbona, che il debito pubblico lo ammette eccome, anche se limitato al 3% del Pil secondo una teoria “cabalistica” che si vuole risalente a una semplice boutade dell’allora presidente francese Mitterrand: «Il numero 3 suonava bene, ed era perfetto per togliermi di torno i ministri che mi assediavano con le loro continue richieste di soldi». Fondato sul contenimento ossessivo della spesa pubblica, il regime finanziario europeo non deriva da alcuna scienza economica, ma solo dall’ideologia dominante che prescrive di colpire lo Stato per favorire i grandi monopoli economici privati. E persino nella sua applicazione formale le autorità europee stanno violando la legge. Lo sostiene un giurista di peso internazionale come il professor Giuseppe Guarino, già docente di Cossiga ed esaminatore di Napolitano e Draghi, nonché ministro democristiano (finanze e industria) dall’87 al ’93. “Il teorico dell’euro-caos”, lo ribattezza la versione tedesca del “Financial Times”.
 
Il guaio, dice Guarino a Marco Valerio Lo Prete, che l’ha intervistato per il “Foglio”, è che nessuno, in Italia, osa neppure contraddirlo: semplicemente, i “malati” fingono di ignorare la diagnosi del “medico”. Il professor Guarino esibisce cifre imbarazzanti: l’Europa dell’Eurozona sta continuando a franare, fino a crollare. Un destino segnato in partenza: «Nel quarantennio che va dal 1950 al 1991, la media del tasso di crescita del Pil era stata del 3,86% in Francia, del 4,05 in Germania, del 4,36 in Italia». Le percentuali, dopo i primi sei anni del trattato dell’Unione Europea, sono invece impietose: «La Francia scese all’1,7%, la Germania all’1,4 e l’Italia passò all’ultimo posto». E i dati che vanno dal 1999 al 2011, aggiunge Guarino, sono addirittura drammatici: «La media per i tredici anni dell’euro è diminuita per la Francia all’1,61%, per la Germania all’1,32, per l’Italia allo 0,68. Un crollo verticale».
 
La causa? Va ricercata nella disciplina giuridica dell’Eurozona e dell’Unione Europea in generale: «Non esiste precedente storico di Stati che, per perseguire obiettivi di crescita, si siano rigidamente vincolati al rispetto della parità di bilancio». Vincoli – insiste Guarino – imposti illegalmente. Fino all’incredibile Fiscal Compact, firmato nel marzo 2012 dopo esser stato negoziato nel dicembre 2011, cioè nel momento di massima tensione sui mercati per le sorti dell’Europa. Fiscal Compact che, all’articolo 3, introduce l’obbligo, per gli Stati, di mantenere «in pareggio o in avanzo» la posizione di bilancio della pubblica amministrazione. Norma suicida, avvertono gli economisti neo-keynesiani come Krugman e Stiglitz: tagliando la spesa pubblica, va a rotoli l’intero sistema economico, incluso il settore privato, come la realtà quotidiana si sta incaricando di dimostrare. In più, aggiunge Guarino, il Fiscal Compact è addirittura «inapplicabile», alla lettera, perché è scritto che può essere davvero applicato «soltanto finché compatibile “con i trattati su cui si fonda l’Unione Europea e con il diritto dell’Unione Europea”». Problema: pur molto restrittivi, i trattati costitutivi dell’Ue non arrivano a vietare la possibilità di indebitarsi.
 
Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009 “fondendo” il trattato sull’Unione Europea e il trattato che istituisce la Comunità Europea, «fissa al 3% il limite che l’indebitamento non può superare», ricorda Guarino. «Il Fiscal Compact, invece, riduce il limite a zero punti». In altre parole, il Fiscal Compact «sopprime la sovranità fiscale degli Stati firmatari, in violazione del Trattato di Lisbona al quale pure si richiama». Forse, osserva Guarino, il Fiscal Compact è stato una “scorciatoia”, visto che l’unanimità tra i 27 paesi membri necessaria a modificare il Trattato di Lisbona non sarebbe mai stata raggiunta. «Fatto sta che questo trattato rimane illegale: non ha la forza costituzionale per modificare il Trattato di Lisbona». Quell’obbrobrio giuridico, primo responsabile delle spietate politiche di rigore che stanno letteralmente piegando le economie del Sud Europa, è estraneo persino al diritto fondamentale europeo, perché «l’azzeramento del deficit non è previsto dal regolamento 1175 del 2011, vigente tuttora in materia di politica di bilancio».
 
Per Guarino, l’aggiramento delle leggi grazie a normative varate sottobanco è un po’ il “vizietto” delle autorità europee: fino al 6 dicembre 2011, giorno d’entrata in vigore dell’attuale Regolamento numero 1175, era già stato applicato un altro regolamento «viziato da incompetenza assoluta», il numero 1466 del 1997. Quell’anno, proprio mentre si concludeva la fase transitoria che avrebbe dovuto rendere più omogenee tra loro le economie dell’Eurozona in vista dell’introduzione della moneta unica, «la Commissione si arbitrò di sostituire l’articolo 104 C del trattato dell’Unione Europea con due regolamenti, uno dei quali è appunto il 1466 del ‘97». In sintesi: il parametro dell’indebitamento al 3% – uno dei famosi “parametri di Maastricht” – veniva sostituito «con il parametro dello zero per cento, cioè il pareggio di bilancio», archiviando Maastricht e il parametro precedente, cioè un “sano” debito pubblico fino al 60% del Pil, su cui si fondò la crescita del benessere reale in tutta Europa, per decenni.
 
«I ministri della Repubblica italiana continuavano a parlare di “parametri di Maastricht”», protesta Guarino, ma «in realtà operavano ottemperando a vincoli ancora più stringenti». Il pareggio di bilancio anticipato in modo semi-clandestino dal regolamento del ’97?  Fu «un attentato alla Costituzione europea», ad opera di membri della stessa Commissione, tra i quali oltretutto figuravano Mario Monti, “ministro” europeo per le regole sulla concorrenza, e la stessa Emma Bonino: incaricata di occuparsi di politica dei consumatori, pesca e addirittura aiuti umanitari, proprio mentre Bruxelles varava misure che avrebbero provocato la catastrofe umanitaria della Grecia e il tracollo socio-economico degli altri Piigs, causando l’incredibile retrocessione di una potenza industriale come l’Italia. La motivazione di quella mossa? Forse doveva servire da “pungolo” per condizionare gli Stati meno rigorosi, in vista della convergenza verso l’adozione dell’euro: «Si trattò di consensi formalmente volontari ma sostanzialmente coatti», cioè estorti, e senza mai la necessaria trasparenza, né una vera validazione democratica, tantomeno referendaria.
 
E’ lo stesso schema che oggi si ripete per il giro di vite finale, quello più drammatico, imposto da Fiscal Compact che condanna l’Italia a tagliare di tutto, dalle pensioni alla scuola, dagli enti locali alla sanità, precipitando il paese nell’abisso della povertà e dell’insicurezza sociale. Nel 1997, ribadisce Guarino, fu un semplice regolamento burocratico ad avere la pretesa di correggere le norme di un trattato che pure era legalmente sovraordinato, con la Commissione Europea che si arrogò il diritto di inserire l’obiettivo del bilancio in pareggio o addirittura in attivo. Nel 2012, firmato il Fiscal Compact sul rigore assoluto di bilancio, grazie alle fortissime pressioni della Germania guidata da Angela Merkel, Bruxelles «ha tradito le norme vigenti del Trattato di Lisbona e quelle appena stabilite nel Regolamento 1175 del 2011». Ma attenzione, lo strapotere tedesco è miope: «Negli anni 90, nel momento in cui tutto il mondo accelerava per avvantaggiarsi della rivoluzione informatica, la Germania ha scelto di autovincolarsi, di immobilizzarsi per fare da modello a tutti gli altri, ed ecco i risultati. Così sta forse acquistando la preminenza in Europa perdendo quella nel mondo, un errore in cui è già incappata altre volte nella storia. Il punto è che oggi è tutta l’Europa a rischiare l’irrilevanza».
 
Secondo Guarino, si impone una svolta: per salvare l’economia, ma anche “in nome della legge”. Ovvero: «Il Fiscal Compact non si applica, se vogliamo rispettare i trattati europei. Né va portata avanti la sua trasposizione nella Costituzione italiana, con la riforma dell’articolo 81 sul pareggio di bilancio». Quanto alla possibile reazione dei “mercati”, cioè il potere di ricatto dello spread, Guarino parla di «grande imbroglio» e rivela che il differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi si può far salire e scendere semplicemente «muovendo una decina di miliardi di euro». Speculazione pura, manipolazione politica persino a buon mercato. Così, Guarino suggerisce la prima mossa da compiere, per un esecutivo davvero responsabile: «Esigere l’applicazione dei trattati vigenti, cioè del Trattato di Lisbona firmato nel 2007 e in vigore dal 2009. Quel trattato garantisce la possibilità di un indebitamento annuo pari al 3% del Pil». Questo, in base alle attuali norme – che il Fiscal Compact calpesta. Senza contare che i rivolgimenti politici in corso, a partire dall’Italia, potrebbero costringere la Germania e tutta l’Unione Europea ad archiviare per sempre l’ideologia suicida del taglio della spesa pubblica, se si vuole davvero una “ripresa” dell’economia e dell’occupazione che scongiuri, per l’Europa, il ripetersi di scenari come quelli che portarono alla Seconda Guerra Mondiale.